Saluto

Emiliano Morrone annuncia il suo addio alla direzione della Voce di Fiore

lunedì 11 dicembre 2006.
 

Caro Gianni,

caro Vincenzo,

caro Saverio,

caro Federico,

cara Maria Costanza,

caro Domenico,

caro Mauro,

Caro Biagio,

caro Totti,

cari lettori,

ho deciso di lasciare la direzione della Voce di Fiore. Stavolta, non si tratta d’una trovata, d’una provocazione, d’una battuta, d’un motto, d’un refrain o qualcosa di artisticamente mediatico. La mia vita stava intrecciandosi troppo con questo giornale, da me fondato e da voi tutti tenuto, curato, migliorato, posizionato. La mia decisione è irrevocabile. Sono stanco, ho visto e compreso molto. Soprattutto, non è più possibile occuparsi della Calabria, che, per colpa di chi rappresenta lo Stato, sta andandosene a morire, e in modo indicibile. I nostri sforzi, i nostri contatti, le nostre connessioni, i nostri richiami, il nostro impegno civile, la nostra lotta, onesta eticamente e politicamente appassionante, non servono, se questo Mezzogiorno italiano non reagisce col coraggio e con l’impegno di tutti, col sacrificio e col senso dello Stato. Purtroppo, lo sa bene Federico come ciascuno di noi, dalle nostre parti, giù, a Sud, l’individualismo e il familismo, l’opportunismo e l’illegalità hanno la meglio su tutto e tutti. Pensavo che dopo Falcone e Borsellino, dopo i martiri, tanti e non conosciuti, della giustizia e della verità, qualcosa questo Stato la muovesse e decidesse di fermare la mano armata della mafia, sia quella cruda che quella del silenzio, delle amministrazioni corrotte, delle apparenze ingannevoli. Diciamocela tutta, questa Calabria ha rapporti straordinari con l’una e l’altra mafia; questa Calabria della sofferenza e dell’assurdo è impregnata di collusioni e massonerie di vario ordine e grado, le quali travalicano di molto il senso letterale della parola. Questa Calabria delle ingiustizie e dei patimenti, delle delusioni e degli accordi privati sta allontanando i suoi figli e sta distruggendo la mente, il cuore e l’anima di chi ci vive con coscienza e amore. Non sopporto più la retorica del cambiamento, la falsità di quanti in tv giurano che ci sarà un riscatto e notificano provvedimenti e innovazioni. Io non mi sento più un cittadino calabrese. Lascio la direzione di questo giornale in modo impuro, mollo, abbandono, volto le spalle. Ma consapevolmente. Questa nostra regione non merita nulla. Ed è per questo che vado via da ogni iniziativa, dalla politica, dall’inutile giornalismo impegnato, dal movimentismo, dalla cultura, da tutto. Figuriamoci: in un sistema di corruzione e malcostume invasivi, non c’è impresa che riesca. Non c’è Callipo che possa parlare, non c’è Bregantini che possa raccomandare, non c’è Loiero (!) che possa insegnare. Ringrazio voi miei collaboratori e i lettori, tutti, che ci hanno stimolato, seguito, aiutato. Troverò un altro direttore che possa assumersi la responsabilità in tribunale di questa testata. Perdonatemi: ho bisogno di seguire un’altra strada, di dedicarmi a qualcosa di veramente concreto, che mi dia almeno qualche ragione. Considero la battaglia per il Sud italiano qualcosa di perso in partenza. E, credo, se tu, Gianni, hai lasciato il consiglio comunale di San Giovanni in Fiore, evidentemente te ne sei reso conto assai per tempo. La città di Gioacchino è un modello, infatti, molto rappresentativo della realtà calabrese e meridionale. Per ora, volevo darvi questa notizia, invitandovi a un dibattito aperto, ma senza chiacchiere. In questi giorni, scriverò compiutamente circa i motivi precisi della mia scelta.

Con grande cordialità.

Roma, 7 dicembre 2006

Emiliano Morrone


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