Catanzaro, 27 feb. (Adnkronos) - Un avviso di garanzia e’ stato notificato, questo pomeriggio, all’onorevole Maria Grazia Lagana’ Fortugno, della Margherita. A confermarlo all’ADNKRONOS e’ la stessa parlamentare, che tuttavia si dice all’oscuro dei contenuti dell’avviso di garanzia che e’ stato notificato alla figlia.
"Mai fatto affari, sono indignata"
di ANTONIO MASSARI (La Stampa, 28/2/2007)
SONO indignata», dice al telefono l’onorevole Maria Grazia Laganà, membro della commissione antimafia e vedova del vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Francesco Fortugno, ammazzato dalla ‘ndragheta nell’ottobre 2005. «Non so neanche di che si tratta», continua, mentre sta raggiungendo da Roma la sua abitazione di Locri. «L’avviso di garanzia è nelle mani di mia figlia. So di averlo ricevuto dalla procura di Reggio Calabria, ma non ho ancora avuto modo di leggerlo». L’accusa: truffa aggravata ai danni dello Stato nel settore della Sanità.
La procura antimafia fa riferimento alla fornitura di farmaci all’azienda ospedaliera di Locri, di cui Maria Grazia Laganà è stata vicedirettrice sanitaria. «Non so che dirle - continua la Laganà -. Non ho mai partecipato a nessuna commissione appaltatrice. Non avevo nessun potere». Giunta a Locri, l’onorevole, che ha annunciato una conferenza stampa per oggi, ha incontrato per oltre un’ora i suoi avvocati. Appartenente a una famiglia molto attiva nella politica, in particolare nella vecchia Democrazia Cristiana, non aveva mai espresso l’intenzione di candidarsi fino all’omicidio del marito. Alla base della sua candidatura c’era il desiderio di conoscere la verità sull’assassinio. E a questo proposito, da circa un anno, come componente della commissione antimafia, aveva ingaggiato una forte polemica sul fronte giudiziario. In particolare, ha attaccato a più riprese la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria per come sono state condotte le indagini. Nel suo mirino il «versante politico» dell’inchiesta. Non ci si può limitare - ha detto - a indagare sugli esecutori. Non ha mai creduto che gli unici responsabili potessero essere Salvatore Ritorto, 27 anni, considerato l’esecutore materiale dell’assassinio, e gli altri indagati nel processo, tutti appartenenti al clan Cordì. La vedova Fortugno cerca «il mandante politico».
Per raggiungere lo scopo ha chiesto che le indagini venissero avocate dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Solo cinque giorni fa aveva chiesto che la procura acquisisse «tutti i procedimenti pendenti o definiti riguardanti l’attuale consigliere regionale Domenico Crea», che risulta intercettato nei colloqui con i Marcianò, indagati per l’omicidio. E non solo: ha chiesto anche che fossero acquisiti gli atti relativi «a eventuali strutture di Sanità privata a lui facenti capo». Precedentemente aveva sollevato presunte incompatibilità ambientali nella Dda di Reggio Calabria, giungendo a uno scontro sul quale la stessa Procura nazionale antimafia aveva mostrato piena solidarietà. Il vicepresidente della commissione, Giuseppe Lumia, solo due settimane fa, ribadiva il concetto: «L’omicidio Fortugno è il punto centrale per valutare il livello della minaccia e il grado di collusione tra ‘ndrangheta, settori delle istituzioni e dell’economia: vogliamo capire, e lo faremo fino in fondo, il perché dei ritardi sulle indagini».