Sempre ne sento parlare ...

MERDA D’ARTISTA (di Hans Magnus Enzerberger, di Piero Manzoni, ecc.) - a cura di pfls

martedì 29 maggio 2007.
 

LA MERDA

di Hans Magnus Enzerberger *

-  Sempre ne sento parlare
-  come se avesse colpa di tutto.
-  Ma guardate come mite e modesta
-  ella si asside tra noi!
-  Perché insozziamo
-  il suo buon nome
-  e lo applichiamo
-  al presidente USA
-  alla polizia, alla guerra,
-  e al capitalismo?

-  Com’è peritura,
-  e com’è duraturo
-  ciò che chiamiamo col suo nome!
-  Lei, l’arrendevole,
-  ci viene sulla punta della lingua
-  per designare gli sfruttatori.
-  Lei che abbiamo espressa,
-  dovrebbe ora esprimere
-  anche il nostro furore?

-  Non ci ha forse recato sollievo?
-  Di morbida consistenza
-  e particolarmente non violenta
-  fra tutte le opere umane
-  ella è forse la più pacifica.
-  Ma che male ci ha fatto?

* da Gedichte 1955-1970, Surkamp 1971 (In "Quaderni Piacentini", n. 46, 1972).



PIERO MANZONI

La Merda d’artista

Il corpo magico dell’artista

Il 12 agosto 1961, in occasione di una mostra alla Galleria Pescetto di Albisola Marina, Piero Manzoni presenta per la prima volta in pubblico le scatolette di Merda d’artista ("contenuto netto gr.30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961"). Il prezzo fissato dall’artista per le 90 scatolette (rigorosamente numerate) corrispondeva al valore corrente dell’oro.

Le scatolette di Manzoni hanno numerosi precedenti nell’arte del Novecento, dall’orinatoio di Duchamp ("Fontaine", 1917) alle coprolalie surrealiste. Salvador Dalì, Georges Bataille, e prima di tutti Alfred Jarry con "Ubu Roi" (1896), avevano dato dignità letteraria alla parola "merde". L’associazione tra analità e opera d’arte (e tra oro e feci) è poi un tema ricorrente della letteratura psicanalitica che Manzoni può avere recepito attraverso la lettura di Jung.

La novità di Piero Manzoni è avere collegato queste suggestioni ad una riflessione sul ruolo dell’artista di fronte all’autoreferenzialità dell’opera d’arte.

La chiusura tautologica dell’Achrome (una semplice superficie bianca che non significa altro se non se stessa) e l’invisibilità della Linea, sigillata nel suo contenitore, generano la speculare autoreferenzialità del corpo dell’artista.

Spossessato dell’oggetto, ed ancora incantato dal ricordo del suo status eroico di artefice e produttore, l’artista trova una compensazione della perdita invadendo lo spazio che il processo comunicativo aveva tradizionalmente assegnato all’opera. Il corpo stesso dell’artista si offre al pubblico come un’opera d’arte, e le vestigia del corpo divengono reliquie.

Alla domanda che la gallerista Iris Clert rivolse a Piero Manzoni, su quale fosse il suo apporto ai Corpi d’aria, Manzoni rispose: "il fiato d’artista, signora". Nascono così la Merda d’artista (venduta a peso d’oro), il Fiato d’artista (i palloncini gonfiati dall’alito vitale di Manzoni) e il progetto del Sangue d’artista. [...]

ARCHIVIO OPERA PIERO MANZONI


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