Wolff - Fuhrmann |
L’OUTING DELLA MINISTRA
“IO AMO UNA DONNA”
KARIN WOLFF, 48 ANNI, DEMOCRISTIANA DI FERRO, HA PORTATO LA FIDANZATA A UNA FESTA DEL QUOTIDIANO BILD.
Assia - La vicepremier «confessa» e la Germania applaude. *
Mentre nell’Europa dell’Est sale la marea omofobica; mentre in Italia la politica al femminile ribolle di proclami sulla famiglia tradizionale uniti a gite dal parrucchiere; mentre succede tutto questo, in Germania una democristiana vicepremier di un Land importante - nonché ministro della Cultura, nonché portatrice di un taglio semicorto a bassa manutenzione - dichiara pubblicamente di stare con una donna. Lei è Karin Wolff, 48 anni non botulinati, numero due dell’Assia (capitale Wiesbaden, città principale Francoforte), protagonista di un coming out sobrio ma clamoroso. Ha portato la fidanzata, Marina Fuhrmann, medico osteopata, a una festa della Bild, primo quotidiano popolare tedesco. Ottenendo un titolone sensazionale in prima, «Ministra della Cdu-Io amo una donna!», e un commento più che incoraggiante visto il giornale non liberalissimo: «Che donna coraggiosa ». Coraggiosa nel raccontare la banalità della storia. Ha conosciuto Fuhrmann due anni fa andando nel suo studio per un mal di schiena. Hanno cominciato a frequentarsi, sono diventate amiche, dopo più di un anno si sono messe insieme. Hanno «molti interessi in comune, lo sport, la musica, la lettura».
Wolff ha aspettato a farsi vedere con lei, ma «è normale; è normale cercare di conoscersi bene prima di presentare un nuovo partner». E prima di farsi fotografare insieme, in tailleurs pantalone crucchissimi-da-cerimonia, brindando con calici di vino bianco; sorridendo con l’aria pacificata-miracolata di chi ha trovato il Vero Amore nella mezza età (e un vero amore che cura la schiena incriccata, molte quarantenni etero la invidiano, di sicuro).
Insomma, una bella coppia. Non bella secondo i canoni attuali, anche in politica; ma rasserenante, affettuosa, civile. Le due signore sembrano difficili da classificare come malate bisognose di cure psichiatriche; come ha definito tempo fa i gay una potenziale omologa di Wolff, Paola Binetti, cristiana del futuro Partito democratico (nessuno pretende che si fidanzi con una osteopata, per carità). E sono impossibili da archiviare come nuove icone della cultura edonista-senza Dio-senza valori. Wolff non è di sinistra, è laureata in Teologia evangelica a Magonza, ha insegnato religione. Come ministro però ha preso posizioni ultra-laiche. Sul velo islamico nelle scuole - in Germania sono i Lander a stabilire se si può portare o no - ha dichiarato: «Non si tratta di folklore o di un simbolo di conciliazione. Il velo è professione di fede e perciò non ha spazio nelle nostre classi». Semplice.
Come è stata semplice la sua uscita da politica democristiana lesbica; e chissà se in Germania, o in Europa, il caso Wolff aiuterà qualche sua collega a uscire dall’ipocrisia e dalla auto-negazione; rendendo più semplice la vita di tante altre donne. Certo, scriveva il tedesco Bertolt Brecht, la semplicità è difficile a farsi (oddio, lui parlava del comunismo, oggi ci si accontenta di molto meno, anche di unioni con chi si vuole alla luce del sole, per dire).
VATICANISSIMA!
Papi e omosessualità, cosa nasconde il Vaticano?
di Giovanbattista Brambilla (giovedì 05 luglio 2007 , di Pride)
All’annuncio dell’uscita del libro "No, no, no! Ratzy non è gay", di Angelo Quattrocchi, Malatempora Editore di Roma, mi sono immaginato ciò che il viperino Roger Peyrefitte (1907-2000), se fosse ancora tra noi, avrebbe potuto commentare sulla relazione tra Papa Ratzinger e don Georg. Sin dalla quarta di copertina si legge: Perché è omofobo da sempre? Perché si è preso un segretario così bello che lo segue ovunque e gli aggiusta il mantello? Perché ha una dottrina così rigida e una sartoria così garrula, praticamente un coming-out sartoriale? In questo libro le risposte.
Augurandomi che tutto possa essere palesato, mi viene in mente il petardo che il francese Peyrefitte fece esplodere nel 1976 dichiarando, sulle pagine dalla rivista francese "Lui", l’omosessualità di Paolo VI (1897-1978) in risposta alle sue condanne ai gay (assai blande, ad onore del vero, rispetto quelle mitragliate da Ratzinger).
Peyrefitte disse che quando Giovanni Battista Montini era l’Arcivescovo di Milano aveva amato l’attore Paolo Carlini (1922-1979), da cui prese in suo onore il nome quando fu eletto pontefice. Ed in effetti erano secoli che nessun papa assumeva tale nome. Seguì una manifestazione del FUORI in Piazza San Pietro, presto dispersa a causa dello slogan inalberato dai “diversi”: Paolo, combattiamo anche per te... La Domenica delle Palme, dal suo balcone, Paolo VI addolorato denunciò: "Le cose calunniose e orribili che sono state dette sulla mia santa persona...".
Le chiese di tutto il mondo organizzarono veglie per mondare con la preghiera tali accuse. Peyrefitte rispose: Sono rattristato che la Chiesa si intrometta in affari che non la riguardano, perché non credo che l’omosessualità metta in pericolo la Chiesa cattolica, ma sono anche commosso perché io penso che per Sua Santità sia stato un modo indiretto di fare una pubblica confessione.
Non pago, nel 1978, Peyrefitte spettegolò su Pio XII Pacelli (1876-1958) col suo nuovo libro “Scene di caccia” ( Garzanti editore), attribuendogli una relazione appassionata con l’architetto dei palazzi vaticani.
Ma dicerie del genere fanno parte della storia pontificia. Il primo papa a farsi una nomea fu (guarda caso!) Benedetto IX Tuscolo (1021-1052), eletto a soli 12 anni in piene lotte politiche medioevali, fu accusato di simonia (cioè la pratica di vendere e comprare cariche ecclesiastiche), d’orge gay e soprattutto d’aver venduto ad una cifra strabiliante il trono per più di un anno al romano Giovanni Graziano, col nome di Gregorio VI. Deposto poi dall’imperatore Enrico III, finì con l’avvelenare il suo sostituto tedesco Clemente II e ritornare al potere fino al 1048, per poi morire scomunicato 4 anni dopo.
Ma l’epoca d’oro dell’omosessualità in Vaticano arrivò con grande sfarzo e ritmo incessante negli splendori del Rinascimento.
Paolo II Barbo ( 1417-1471), veneto nipote di un papa, riuscì a far pacificare i principi italiani, fece guerra ai turchi e minacciò di scomunica il re di Francia che non voleva pagargli le tasse. D’una vanità senza limite, effeminatissimo, si vestiva con tessuti d’oro guarniti di diamanti, ribattezzandosi Formosus cioè “Il Bello”. La sua favolosità era talmente risaputa che il popolo lo soprannominò “Nostra Signora Paola”. Collezionista di statue, gioielli, e bei giovani. Morì proprio a causa d’un attacco di cuore durante un rapporto sessuale con un paggio. Uno dei suoi successori propose di chiamarlo Maria Pietissima, per la sua inclinazione a scoppiare in pianto durante le crisi di nervi.
A lui succedette Sisto IV della Rovere ( 1414-1484) ed è il papa da cui prende il nome la Cappella Sistina. Nominò cardinali giovanissimi e celebri per la loro bellezza, tra cui il diciassettenne, nipote e amante, Raffaello Riario.
Anche il futuro Giulio II della Rovere (1443-1513), noto come "il Papa guerriero", era suo nipote e si deve a lui le decorazioni di Michelangelo per la Sistina. Fu soprattutto un politico nella guerra tra Francia e Germania, tanto che l’imperatore di tedesco per avere come alleato l’inglese Enrico VIII gli rese nota la pederastia del papa. Nel 1511 il Concilio di Pisa lo depose, fu definito "sodomita" e accusato di aver infettato la chiesa con la sua corruzione.
Ma tra i due fu proclamato papa Alessandro VI Borgia (1431-1503), bisessuale e padre dei celebri e famigerati Lucrezia e Cesare Borgia (anch’esso bisex, di cui si dice aver violentato il bellissimo e forzuto principe di Faenza Astorre Manfredi).
Forse tutto ciò fa parte della propaganda anglicana, da una parte, e del predicatore Savonarola, dall’altra. Difficile scoprirlo ma il crudele papa Borgia morì avvelenato e il suo cadavere fatto sparire senza tante cerimonie.
Ma ritorniamo a Giulio II, a lui succedette immediatamente uno dei papi più chiacchierati: Leone X de Medici (1475-1521). Il suo favorito fu il nobile fiorentino Andrea Degli Albrizzi. Dopo un salto temporale di dodici anni e due papi, ritornano le chiacchiere sull’omosessualità d’un nuovo pontefice: Paolo III Farnese (1468-1549). Bisessuale e padre di Pier Luigi Farnese ( 1503-1547), il quale aveva il permesso pontificio di rapire e stuprare tutti i ragazzi che gli piacevano. Il papa si limitò a deplorare blandamente l’incoscienza giovanile del figlio e lo nominò Duca di Parma e Piacenza. Restò famoso il cosiddetto “oltraggio di Fano”, riportato pure dallo storico Benedetto Varchi (1503-1565). In occasione di una ispezione Pier Luigi si recò a Fano, dove fu accolto con tutti gli onori dal vescovo Cosimo Gheri, un ragazzo poco più che ventenne. Il giorno successivo il Farnese incontrò nuovamente il vescovo e manifestò le sue intenzioni: cominciò, palpando e stazzonando il vescovo, a voler fare i più disonesti atti che con femmine far si possano. Tuttavia il vescovo non era disponibile e si opponeva in maniera decisa. Pier Luigi lo fece legare e, sotto la minaccia dei pugnali delle guardie, lo violentò. Non sopportando l’umiliazione per l’oltraggio subito, dopo poche settimane il vescovo morì. Qualcuno pensa che il ragazzo fu fatto avvelenare dallo stesso Pier Luigi, per non far trapelare la notizia dello stupro.
Succedette al Farnese lo sfarzoso Giulio III del Monte (1487-1555), preso di mira dal famoso Pasquino per le sue tendenze omosessuali. Nominò cardinale il suo mignon, di 17 anni, nipote adottivo Innocenzo del Monte (1532-1577) e organizzò orge con altri porporati di poco più grandi.
Alla sua morte fu eletto, per reazione, un papa d’alta moralità e spiritualità che però schiattò dopo un mese. Così fu eletto un notorio omosessuale Paolo IV Carafa (1476-1559) ma, guarda caso, a lui si deve la creazione del Ghetto a Roma, l’Indice dei Libri Proibiti e i tribunali dell’Inquisizione che tanti gay mandarono al rogo. Alla sua morte i romani si vendicarono buttando la sua statua nel Tevere.
Dopo 21 anni salì al soglio il bolognese Gregorio XV Ludovisi (1554-1623), la vox populi lo diceva fròscio. Tanto che il Tallemant des Réaux (1619-1692) riportò pettegolo: Poiché il Ludovisi aveva nominato marchese il suo bardassa (ndr: amante passivo) giocando sul doppiosenso di “marchese”(cioè: mestruazione) si sparse questa battuta: “Mai culo aveva fatto marchese”!