Eu-ropa, Eu-ropa, Eu-ropa!!!

L’EU-ROPA ha detto "basta": l’odio verso i gay è razzismo!!! A GERUSALEMME, "GUERRA SANTA" CONTRO Il GAY PRIDE, CON LA "VIVA APPROVAZIONE" DEL VATICANO !!!

giovedì 9 novembre 2006.
 

Diritti civili

«Guerra santa» anti-gay a Gerusalemme. L’omofobia vince in Israele. Nel silenzio del mondo

Gruppi ebrei ultraortodossi scatenati contro il «pride» di venerdì a Gerusalemme: barricate e scontri con la polizia. Contro la sfilata, già notevolmente ridimensionata, rabbini, imam e cattolici. E i politici, da Olmert al socialista Peretz, tacciono

di Michele Giorgio (il manifesto, 08.11.2006)

Gerusalemme. Dopo violente manifestazioni notturne e scontri con la polizia, ora contro gli organizzatori della gay parade di Gerusalemme potrebbe essere pronunciata anche la pulsa denura (in aramaico «frusta di fuoco»), la maledizione che, nelle intenzioni dei rabbini più fanatici, dovrebbe causare la morte del destinatario entro un anno, come accadde al primo ministro Yitzhak Rabin assassinato da un estremista di destra 11 anni fa.

Ma il rabbino Shmuel Papenheim e gli ultraortodossi di Eda Haredit, schierati contro gay e lesbiche che chiedono di tenere il 10 novembre la loro marcia, non avranno bisogno di invocare gli «angeli della distruzione» affinché non perdonino i peccati del maledetto - la Open House di Gerusalemme - e scatenino su di lui tutte le disgrazie menzionate nella Torah.

Gli oppositori, sempre più numerosi, della marcia dell’orgoglio gay di fatto hanno già vinto. Quello che doveva essere il World Gay pride si è ridimensionato fino a diventare una marcia locale alla quale prenderanno parte solo poche migliaia di persone. Ed è una magra consolazione il fatto che accanto a gay e lesbiche ci saranno tante altre persone che temono questa ulteriore virata a destra, sotto la spinta del fondamentalismo ebraico, fatta dalla società israeliana.

Non solo. La polizia (che impiegherà 12 mila uomini) ha concordato - in realtà ha imposto - ad Open House un nuovo tracciato per la gay parade che sarà totalmente all’interno della zona dei ministeri, dove non ci sono rioni residenziali. Ma il Ko definitivo potrebbe giungere oggi se l’Alta Corte accoglierà una petizione contro la marcia presentata dal vicepremier Eli Yishai (Shas, ultraortodossi sefarditi) ribaltando il via libera dato due giorni fa dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz.

Tacciono nel frattempo il «laico» primo ministro Olmert e il «socialista» ministro della difesa Amir Peretz, preoccupati di non urtare i potenti vertici religiosi. E in silenzio sono rimasti anche alcuni dei più osannati (anche in Italia) intellettuali di Israele, come gli scrittori Abraham Yehoshua e Amos Oz, pronti a scendere in campo lo scorso luglio per benedire «la guerra giusta» contro il Libano e invece muti mentre i fondamentalisti ebrei fanno il bello e il cattivo tempo a Gerusalemme.

Il World Gay pride era previsto già ad agosto del 2005, ma la coincidenza con l’evacuazione di coloni e soldati israeliani dalla Striscia di Gaza aveva indotto la Open House a rinviare di un anno la marcia, alla quale avrebbero dovuto prendere parte omosessuali di angolo del pianeta.

Quest’anno, come molti si attendevano, i problemi sono cominciati all’inizio dell’estate. A meno di un mese dal grande raduno internazionale a Gerusalemme, i rabbini (con il sostegno indiretto di religiosi cristiani e musulmani) hanno cominciato a moltiplicare gli sforzi per impedire la «profanazione di massa» della Città Santa, fino ad arrivare alla distribuzione nei rioni ortodossi ebraici di Mea Shearim e di Gheula di volantini in cui si proponeva addirittura una ricompensa di 20 mila shekel (quasi 4.000 euro) a chi «avrebbe provocato la morte di quanti vengono da Sodoma e Gomorra». «Trecentomila animali corrotti, noti peccatori della comunità di Sodoma, vogliono invadere la nostra Città Santa e corrompere i nostri figli», si leggeva nei comunicati firmati dal gruppo «La Mano rossa per la salvazione». Altri volantini riportavano istruzioni su come preparare bottiglie incendiarie «Schlissel-Special», dedicate a Yishai Schlissel, l’estremista ebreo che qualche anno fa si era lanciato a testa bassa con un coltello contro una marcia di omosessuali nel centro di Gerusalemme, ferendo in modo grave uno dei partecipanti. Pochi giorni dopo illustri rabbini, fra cui il centenario Elyashiv e la guida spirituale di Shas, Ovadia Yossef, hanno ordinato ai loro seguaci di scendere nelle strade per impedire con la propria presenza la «marcia disgustosa». Simile il giudizio del sindaco di Gerusalemme, Uri Lupoliansky, un ebreo ortodosso, contrario alla marcia gay ma privo degli strumenti legali per impedirla.

Di fronte ad oppositori tanto importanti, gli organizzatori due mesi fa avevano chiesto alla polizia il permesso di sfilare a Gerusalemme il 21 settembre, ottenendo però ancora una volta una risposta negativa poiché la data era «troppo vicina» al Capodanno ebraico. Dopo negoziati estenuanti e il giudizio favorevole della Corte Suprema, la polizia aveva accettato di spostare la gay parade al 10 novembre, ma giunti alla fine di ottobre le minacce agli organizzatori si sono fatte più gravi e insistenti. Due esponenti della destra estrema israeliana, Baruch Marzel e Hillel Weiss (portavoce del Nuovo Sinedrio, una congregazione di 70 rabbini che si propongono come alternativa alle istituzioni civili) hanno esortato a lanciare una «guerra santa» con ogni mezzo contro gli omosessuali per impedire loro di «profanare» la Città Santa.

Un appello prontamente raccolto da migliaia di ebrei ultraortodossi. Nelle ultime notti le strade di Mea Shearim sono state invase da zeloti anti-parade, che hanno bruciato cassonetti dell’immondizia e attaccato le forze di polizia. I rappresentanti di Open House hanno provato a resistere a questa offensiva fondamentalista che, fatto significativo, lascia indifferente la maggioranza della popolazione israeliana. «Quella di venerdì sarà una manifestazione per i diritti civili e la libertà di espressione, la comunità gay non sarà soffocata dalle minacce. Continueremo a lottare per una società migliore», ha assicurato Noa Satat, una dirigente della comunità omolesbica di Gerusalemme, Noa Satat. Ma il potere dei rabbini ha avuto il sopravvento sui diritti.

Gay e lesbiche di Israele non solo hanno dovuto rinunciare al World pride ma dovranno accontentarsi di una marcia di profilo molto basso che eviterà totalmente il centro cittadino e rimarrà confinata in un’area non residenziale, piena di uffici ministeriali che venerdì saranno vuoti.

Eppure gli omosessuali israeliani possono considerarsi fortunati. La loro protesta almeno ha trovato spazio sulle pagine dei giornali, mentre non è accaduto lo stesso alla manifestazione dei falasha, gli ebrei etiopici . Due giorni fa in centinaia sono scesi in strada per denunciare lo stato di discriminazione in cui si trovano, ma la polizia ha bloccato il loro corteo con la forza perché «illegale».

All’origine della tensione è una inchiesta televisiva da cui, la settimana scorsa, è emerso che le donazioni di sangue degli ebrei etiopici non vengono utilizzate a causa dell’assurdo timore di malattie molto diffuse in Africa, prime fra tutte l’aids. I donatori originari dell’Etiopia non vengono informati che il loro sangue viene congelato e che difficilmente sarà utilizzato. Già dieci anni fa migliaia di ebrei etiopici si scontrarono per giorni con la polizia dopo aver scoperto che le loro donazioni di sangue venivano gettate. «In questi dieci anni non abbiamo fatto alcun progresso», ha commentato con amarezza l’ex deputato laburista Adisso Massala, nato in Etiopia. Protestano anche i leader religiosi della comunità falasha, che si sentono discriminati rispetto ai rabbini ortodossi ashkenaziti e sefarditi.

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«La strada per i nostri diritti in Israele è ancora lunga»

Reluca Gana, portavoce di Hopen house, l’associazione che organizza il corteo: siamo ottimisti perché esiste ancora uno stato di diritto. Agli ortodossi dico: una società pluralista si costruisce sulla tolleranza

Gerusalemme- Gay e lesbiche di Israele in questi ultimi mesi hanno avuto non poche delusioni, addolcite solo dal semaforo verde dato alla loro marcia a Gerusalemme dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz. Il colpo più basso non sono state tanto le manifestazioni violente degli ebrei ultraortodossi - l’«intifada degli zeloti» - e le minacce subite, quanto l’impossibilità di tenere la marcia nelle vie del centro della zona ebraica (ovest) di Gerusalemme, come accadeva fino a qualche anno fa. Venerdì prossimo poche migliaia di omosessuali e lesbiche, contro le decine di migliaia che si attendevano per l’iniziale World Gay pride, sfileranno in zone periferiche fino all’ateneo di Givat Ram, rimanendo a distanza dalle aree residenziali della città. Ne abbiamo discusso con Reluca Gana, portavoce di Open House, l’associazione di Gerusalemme che assiste gay e lesbiche e che in questi giorni ha condotto le trattative con la polizia.

Se non ci saranno sorprese dall’Alta Corte di Giustizia, venerdì finalmente si svolgerà la vostra parade. Ritenete che il bicchiere sia mezzo vuoto o mezzo pieno dopo questa estenuante maratona di negoziati con la polizia e di battaglie legali?

Mi piace guardare a questi ultimi avvenimenti in modo positivo e pertanto il bicchiere è a mio avviso mezzo pieno. Lo dico perché istituzioni importanti come l’Avvocato dello stato Menachem Mazuz e la Corte suprema hanno sancito la piena legalità della nostra richiesta. Sappiamo che esiste ancora uno stato di diritto e questo ci tranquillizza.

Fino ad un certo punto però. La vostra marcia da World Gay parade si è trasformata in una sfilata di modeste dimensioni che dovrà essere protetta da migliaia di poliziotti. Inoltre le proteste degli ebrei ultraortodossi non hanno scosso o fatto indignare la maggior parte della popolazione israeliana e ciò è una battuta di arresto per chi mira proprio a cambiare la società.

Senza dubbio il quadro della situazione può anche essere letto in questa maniera ma, come sottolineavo in precedenza, preferiamo guardare le cose con ottimismo: se le violenze degli ebrei haredim (ultraortodossi) non hanno provocato indignazione, è altrettanto vero che la maggior parte della gente non si oppone alla nostra marcia. La verità è che la strada che porta ai diritti e alla tutela di gay e lesbiche in Israele è ancora molto lunga. E’ una campagna impegnativa che inevitabilmente prevede stop dolorosi lungo il percorso. Non nascondo che fino a qualche mese fa eravamo sicuri di poter tenere a Gerusalemme il World Gay pride e non è stato facile dover rinunciare a un appuntamento tanto rilevante che, ne siamo certi, avrebbe aiutato l’opinione pubblica a capire meglio le nostre rivendicazioni. Eppure andiamo avanti e Open House sa di essere diventata un punto di riferimento importante nella società civile israeliana.

Venerdì sarà una giornata di forte tensione, gli ortodossi ebrei stanno organizzando manifestazioni di protesta non solo a Gerusalemme ma anche in altre città. Vi aspettate incidenti, vi sentite in pericolo?

Il capo della polizia di Gerusalemme ci ha assicurato il massimo della protezione e abbiamo sentito che verranno schierati più di 10 mila agenti. La marcia inoltre non passerà accanto ai quartieri dove vivono i religiosi, quindi ci sentiamo tranquilli. Invito tuttavia gli ebrei ultraortodossi a riconsiderare le loro azioni, una società pluralista si costruisce sulla tolleranza, un bene comune che favorisce anche loro e non solo gay e lesbiche.

il manifesto, 08.11.2006


Nota della Santa Sede per esprimere "viva disapprovazione". "Il governo israeliano si muova per impedire la manifestazione"

Gerusalemme, Vaticano contro il gay pride "Grave affronto per milioni di ebrei"

La polizia: necessario rinvio per tutelare sicurezza L’Arcigay: "Scandalose pressioni da Roma" *

CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano chiede a Israele di cancellare la sfilata dei gay prevista a Gerusalemme per dopodomani. In attesa che la Corte Suprema si pronunci sui ricorsi dell’ultimo minuto presentati da più parti, la Santa Sede, attraverso il nunzio in Israele, e con una nota ufficiale, ha fatto domanda al ministro degli Esteri, Tsipi Livni, di adoperarsi affinché venga impedita la manifestazione nella Città santa per ebrei, cristiani e musulmani.

Se non annullato, l’evento sarà probabilmente rinviato a venerdì prossimo. La sorveglianza di una manifestazione così folta in un contesto ad alto allarme terroristico richiede la presenza di migliaia di agenti. "Abbiamo fatto presente che sarà necessario rinviarlo", ha detto il capo della polizia di Gerusalemme, Ilan Franco. "Possiamo aspettare un settimana se oggi la situazione della sicurezza non lo permette", ha spiegato Noa Satat, leader della comunità omosessuale di Gerusalemme.

Nella nota inviata dal Vaticano viene ribadita la posizione della Chiesa sulle persone omosessuali, espressa nel Catechismo della chiesa cattolica. "La Santa Sede esprime la sua viva disapprovazione per tale iniziativa perché essa costituisce un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani, i quali riconoscono il particolare carattere sacro della città e chiedono che la loro convinzione sia rispettata".

Nei giorni scorsi l’annunciato evento aveva causato una sorta di "intifada" tra gli ebrei ultra-ortodossi decisi a non far passare l’affronto. In serata la sala stampa ha diffuso il testo della nota della nunziatura in cui esprime il "dispiacere" per la notizia della convocazione del Gay Pride auspicando che il governo "voglia esercitare la sua influenza perché sia riconsiderata la decisione di autorizzare".

E ancora: "Alla luce di tali elementi e considerando che in precedenti occasioni sono stati sistematicamente offesi i valori religiosi - si legge nella nota - la Santa Sede nutre la speranza che la questione possa venire sottoposta a doverosa riconsiderazione".

Da una settimana ormai, tutte le notti, il celebre quartiere degli zeloti a Mea Sharim, nel cuore di Gerusalemme, vive ore di rivolta. Centinaia di ultra-ortodossi, nelle tradizionali redingote nere, barba e cappello, si scontrano con la polizia, lanciano pietre, danno fuoco ai cassonetti dell’immondizia per protestare contro una manifestazione che vedono come blasfema.

I rabbini di Edah Haredit, una corte rabbinica ultra-ortodossa, potrebbero lanciare prima di venerdì la temibile maledizione cabbalistica della Pulsa de Nura (la Scudisciata di Fuoco, in aramaico) contro gli organizzatori della Parade e contro le autorità che ne hanno reso possibile lo svolgimento, ha detto oggi il loro portavoce Shmuel Papenheim.

La Parade, organizzata dall’associazione Open House, si svolgerà nella zona dei ministeri lontano dai quartieri abitati dagli ultra-ortodossi in centro. Gli attesi 2-3.000 manifestanti saranno protetti da almeno 12.000 poliziotti. Si prevede che migliaia di zeloti cercheranno di opporsi al suo svolgimento.

Il Rabbinato capo di Israele ha invitato a una protesta pacifica e a "riunioni di preghiera contro questa abominevole marcia". Da giovedì mattina sedute di preghiera contro la Gay Pride si svolgeranno in particolare al Muro del Pianto.

"E’ scandaloso che, come avvenne a Roma nel 2000, anche in occasione del secondo World Pride, che si terrà tra pochi giorni a Gerusalemme, il Vaticano prema sulle istituzioni statali per un divieto". E’ quanto afferma il presidente di Arcigay, Sergio lo Giudice.

"Il Vaticano - prosegue - conferma di essere la più grande organizzazione internazionale omofoba del pianeta. Preferiremmo che l’ accordo fra le tre grandi religioni monoteiste si trovasse sul tema della pace nel mondo e non - conclude Lo Giudice - sulla lotta ai diritti umani delle persone omosessuali". (8 novembre 2006)

* la Repubblica


Sul sito, cfr.

RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA e I TANTI VOLTI DEL PANICO GAY

PAPA WOJTYLA, PAPA RATZINGER E I GAY. Una Chiesa senza speranza né futuro


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