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Una globale crisi di nervi

Vertice dopo il rock del Live 8
mercoledì 6 luglio 2005.
 

Il G8 non somiglierà al Live 8. Non potranno avere, gli otto Grandi riuniti da domani in Scozia, l’entusiasmo e l’ottimismo delle moltitudini che hanno scomunicato a suon di musica l’estrema miseria dell’Africa. Perché a dominare il vertice dei potenti che si tiene nel paradiso golfistico di Gleneagles sarà piuttosto una sensazione collettiva di crisi incombente, sarà una segreta paura dell’ingovernabilità che si profila nella gestione del mondo.

Beninteso prima che cali il sipario il Gruppo degli Otto griderà al successo, e nelle ultime ore sono effettivamente cresciute le probabilità di un’intesa (generica) contro l’inquinamento dell’atmosfera da aggiungere all’accordo (da verificare) per il raddoppio degli aiuti all’Africa. Ma gas serra, povertà e malattie sono soltanto gli aspetti più visibili, perché voluti come priorità dal padrone di casa Tony Blair, di una sofferenza sistemica che investe frontalmente l’Occidente, che scuote la sua sicurezza da prosperità e ne mette persino in dubbio il primato politico.

L’Africa? Giusto, anche se questo è il quinto G8 dedicato ai suoi tormenti (il primo fu quello triste, ma in ciò meritorio, di Genova). Anche se cifre roboanti di nuovi aiuti nascondono talvolta stanziamenti già decisi da tempo. Anche se è diffusa l’opinione che una pioggia di denaro non sia in grado di risolvere la questione-chiave delle classi dirigenti africane. Anche se la liberalizzazione degli scambi, vera manna mai scesa sul Continente nero, resta nel cassetto.

La guerra alle emissioni nocive che provocano disastrosi cambiamenti climatici? Sacrosanto, ma se Bush farà qualche concessione all’amico Blair non arriverà né a sottoscrivere Kyoto né ad accettarne lo spirito. E del resto molti di quelli che hanno firmato sono in ritardo sulla tabella di marcia. E poi, il finto consenso degli Otto servirà davvero allo scopo di coinvolgere la Cina e l’India, con le loro enormi e crescenti emissioni di gas nocivi? La Cina, a proposito. Da invitata esterna al G8, sarà la più presente nelle menti e nelle parole dei partecipanti titolari.

Come gestire la sua ascesa di grande potenza economica, domani politica e dopodomani militare? Torneremo al bipolarismo, o a un multipolarismo che richiederebbe l’esistenza dell’Europa? E ha ragione David Dodge, governatore della Banca centrale canadese, quando denuncia l’inadeguatezza del G8 e lamenta la scarsa attenzione dedicata al crescere degli «squilibri globali » che si affiancano alla globalizzazione proprio a causa dell’irruente ascesa della Cina e degli altri grandi Paesi emergenti? E c’è dell’altro. C’è il prezzo del petrolio, già alto ma che le Cassandre proiettano verso quotazioni da far tremare le vene dei polsi. C’è la marcia dell’Iran verso una capacità nucleare che Bush definisce «inaccettabile »: sarà scontro, ma che tipo di scontro con il neoeletto Mahmud Ahmadinejad? E non andrà a fuoco l’intera regione, dove peraltro poco o nulla migliora in Iraq e in Afghanistan? C’è la Russia in mal di democrazia, e disturba non pochi il sapere che l’anno venturo sarà proprio Putin a ospitare il G8. E c’è, in una cornice più ampia, la nostra conosciuta e malconcia Europa. Quattro membri titolari su otto, di cui basterà dire che è stata indetta una riunione per decidere della loro identità futura.

Le sfide della povertà e dell’inquinamento irrisolte malgrado i progressi, l’urgenza di governare la globalizzazione in procinto di diventare un boomerang, il timore di una crisi nucleare con l’Iran, e poi la Cina, la Cina e ancora la Cina. Anche a voler rimanere all’essenziale, il G8 di Gleneagles reca il timbro pesante dell’insicurezza.

Franco Venturini

www.corriere.it


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