Politica

Quando Blair è più zapaterista di Zapatero - di Stefano Rodotà - a cura di Federico La Sala

lunedì 19 settembre 2005.
 

di Stefano RODOTA’ (La Repubblica, 17/09/2005)

Blair o Zapatero? A leggere certe dichiarazioni o i titoli di certi dibattiti sembrerebbe che la sinistra italiana, e non solo questa, sia di fronte ad un dilemma radicale, alla scelta tra modelli e politiche tra loro incompatibili. E se, invece, scoprissimo un Blair più zapaterista di Zapatero proprio nelle materie che hanno attirato sul Primo ministro spagnolo gli anatemi dei neo-con e teo-con di tutto il mondo?

Se il peccato di Zapatero e l’aver fatto approvare una legge sul matrimonio gay o il ridimensionamento dell’ora di religione, Blair si è spinto assai più avanti. Ricordate le mille polemiche sulle cellule staminali al tempo del referendum sulla procreazione assistita? Ora la Gran Bretagna è terra propizia per quelle ricerche, per la clonazione terapeutica, per la clonazione riproduttiva non umana, e lì si trasferiscono ricercatori impegnati su questi temi. E, come se non bastasse, pochi giorni fa il Governo inglese ha avviato una consultazione popolare sulla riforma della legge sulla procreazione assistita del 1990 per spingere ancora oltre le sue frontiere, fino a prospettare la possibilità della scelta del sesso dei nascituri.

Basterebbe questa piccola ricognizione dei fatti per mostrare la povertà di certe nostre discussioni, ormai ridotte ad insensate contrapposizioni ideologiche, a rappresentazioni da opera dei pupi o da sceneggiata napoletana con "isso, issa e ‘o malamente", dove di solito il "malamente" è chi si permette di coltivare il dubbio, guarda alla ricerca scientifica con rigore ma senza paraocchi, ritiene essenziale la dimensione dei diritti. In questo modo si preclude la comprensione della realtà, si rifiuta l’intelligenza delle distinzioni, si impostano male i problemi, e alla fine si prospettano solo soluzioni autoritarie e sbagliate.

Bisogna guardare da vicino e senza pregiudizi quello che sta accadendo in Gran Bretagna perché nelle vicende appena ricordate si scorgono genuine preoccupazioni democratiche (la consultazione dei cittadini prima delle decisioni parlamentari), strategie industriali (costruire la più forte industria biotecnologica del mondo), contraddizioni nella politica dei diritti (massima chiusura nella materia della sicurezza, massima apertura nel settore della bioetica).

Da questo esercizio può nascere non solo una più adeguata conoscenza del modello inglese, ma pure la possibilità di analisi e confronti che, almeno, non facciano di tutt’erbe un fascio, ridando così dignità a quella ragione che troppi cercano di tirare dalla propria parte.

I cittadini inglesi sono stati chiamati a dire la loro, entro il 25 novembre e usando la posta ordinaria o quella elettronica, sulla riforma della legge sulla procreazione assistita, affrontando una serie di questioni delicatissime: sì o no alla scelta del sesso dei figli; mantenimento dell’obbligo di tener conto del benessere del nascituro e del suo bisogno d’avere un padre da parte del medico che pratica la fecondazione; ammissibilità della vendita di gameti su Internet; permettere la creazione di gameti "artificiali" dalle cellule della pelle o di altre parti del corpo. A parte le valutazioni sul merito di ciascuna questione; questa iniziativa suggerisce almeno tre considerazioni, valide non solo per la Gran Bretagna. Non è vero, come si disse insistentemente al tempo del recente referendum italiano, che vi siano questioni che, per la loro complessità tecnica, siano precluse al giudizio dei cittadini e debbano essere riservate a specialisti e politici. In materie che riguardano la vita di tutti è ormai indispensabile un coinvolgimento dell’opinione pubblica prima dell’intervento parlamentare. I documenti prodotti da comitati etici o specifiche commissioni devono essere concepiti in modo da fornire a tutti buone informazioni, e non per esprimere opinioni partigiane o giocare a fare i consiglieri del principe.

Ottima iniziativa, dunque, che cerca di intrecciare democrazia rappresentativa e voce dei cittadini (anche se qualcuno, ricordando che solo due anni fa l’80% degli inglesi aveva risposto no a quesiti analoghi, accusa il governo di voler insistere nelle consultazioni fino ad avere la risposta che gli fa comodo). Ma che mette in luce anche una grave contraddizione. Perché degli orientamenti dell’opinione pubblica Blair non tenne alcun conto al tempo dell’intervento in Irak? Perché non si ascoltano le tante e ragionevoli voci critiche dei provvedimenti riguardanti la sicurezza e la riduzione di diritti dei cittadini? Vi è il rischio di una democrazia a corrente alternata, di identificare aree dove la voce dei cittadini è ininfluente e di disegnare così un sistema all’interno del quale si attua una sorta di scambio tra restrizioni di diritti fondamentali nei rapporti con lo Stato e concessioni per quanto riguarda la possibilità di fare in piena autonomia alcune scelte di vita, soprattutto per quanto riguarda le decisioni riproduttive.

Anche qui, tuttavia, è bene evitare le schematizzazioni. L’accento posto sulla possibilità di scelte individuali e sulle opportunità offerte alla ricerca, infatti, mette pure in evidenza un progetto sociale, che si manifesta nella deliberata volontà di creare condizioni propizie ad una innovazione scientifica produttiva di benefici per la salute dei cittadini. E un progetto industriale, che vuole fare della Gran Bretagna il paese che in uno dei settori massimamente innovativi, com’è appunto quello della biologia e della genetica, abbia un primato che le assicuri anche forti vantaggi economici. Non a caso la Gran Bretagna non ha firmato la convenzione europea sulla biomedicina proprio perché pone severi limiti alla ricerca sugli embrioni.

La via inglese non è certo l’unica percorribile. Ma i temi delle nuove frontiere della salute e della politica biotecnologia non possono essere accantonati con una mossa ideologica. Si tratta di trovare punti di equilibrio. E dall’esperienza inglese viene un ulteriore suggerimento. Anche quando si legittimano talune scelte private e si aprono le porte a ricerche particolarmente controverse è mantenuto un potere pubblico di controllo, subordinando la possibilità di mettere in pratica quel che la legge prevede in via generale ad autorizzazioni caso per caso da parte di autorità indipendenti. Questa è una disciplina flessibile, che permette di graduare le autorizzazioni tenendo conto anche del variare delle sensibilità sociali e dei mutamenti culturali, lasciando aperta la possibilità di bloccare iniziative ritenute non più opportune.

Le molte sfaccettature dell’esperienza inglese, dunque, non permettono di accettarla o rifiutarla in blocco. Questo non è il terribile relativismo. E’ semplicemente capacità di analizzare la realtà e di dare risposte adeguate alla diversità delle situazioni concrete, senza escludere la possibilità di divieti, come credo si debba fare a proposito del commercio di gameti e dell’offerta di test genetici su Internet, sia per la mancanza di garanzie in materie così delicate, sia perché si apre la porta alla trasformazione in merci del corpo e dei suoi prodotti. E questa è una frontiera che non può essere varcata, poiché è in gioco la dignità della persona.

Ma il punto che più colpisce nella consultazione inglese è quello riguardante la scelta del sesso dei nascituri, una ipotesi traumatica, perché segnerebbe l’abbandono della "lotteria genetica", il passaggio ad una procreazione non più governata dal caso, ma da decisioni individuali. La discussione in Gran Bretagna è apertissima, e converrà tornare ad occuparsene più avanti, esaminando in dettaglio le argomentazioni che saranno proposte. Intanto, però, bisogna di nuovo fare un esercizio di distinzione e di ricognizione dei fatti.

Agli inglesi, infatti, non si sta chiedendo di esprimersi sulla opportunità della scelta del sesso per finalità mediche. Questo è già possibile in base alla legge vigente, per evitare la trasmissione di malattie genetiche come l’emofilia o la distrofia muscolare (come prevede anche la peraltro severissima legge tedesca). Si propone di passare dal terreno della tutela della salute a quello di una scelta dei genitori non più legata esclusivamente a ragioni mediche, ma alla "composizione equilibrata della famiglia", con rischi evidenti, che vanno dal possibile rafforzamento degli stereotipi culturali avversi alle donne fino alla legittimazione del modello del "bambino disegnato".

Questa linea consapevolmente scelta dal governo inglese impone di mettere da parte il santino Blair, custode di valori che il diavolo Zapatero vuole cancellare. Se vogliamo insistere in questi riferimenti personali, dobbiamo piuttosto apprezzare il fatto che entrambi dimostrano capacità di non sfuggire ai dilemmi reali del nostro tempo, di non chiudersi in ghetti ideologici, di obbligare tutti ad una discussione pubblica. Una lezione di buon metodo politico, di cui tutti dovremmo profittare.


Rispondere all'articolo

Forum