Caro direttore,
Eugenio Scalfari scrive su "la Repubblica" del 9 dicembre: "Paola Binetti...Di tanto in tanto porta il cilicio (l’ha detto lei) per mortificare il corpo e offrire a Gesù il suo sacrificio. Questa prassi, ormai desueta, suscita rispetto ma fa anche impressione. Nello smaliziato mondo di oggi può perfino provocare comicità".
Non so, in realtà, sino a che punto la pratica debba suscitare rispetto, considerato che appartiene ad un aspetto aberrante della cultura cristiana, che contrasta con la ragione, col Vangelo e, guarda un po’, anche col Catechismo della Chiesa cattolica. Secondo questo, "il corpo dell’uomo partecipa alla dignità di «immagine di Dio»”, e quindi non deve essere maltrattato, ma considerato “buono e degno di onore” (cf n. 364 Catechismo, e Gaudium et spes, 14).
Tormentare il proprio corpo è “contrario al giusto amore di sé ...all’amore del Dio vivente” (cf Catechismo, n. 2281 - suicidio -). Il sacrificio in un’ottica autenticamente cristiana, deve avere carattere di necessità; deve essere inevitabile conseguenza dell’amore per il prossimo. Il Signore sacrifica la sua vita per necessità (cf Lc 9,22). La croce per la croce non ha senso. Non è sacrificio.
Renato Pierri
* l’Unità: Le Vignette di Maramotti , 04 gennaio 2008
Lotta per le investiture: una riedizione del 3° millennio
di Rosario Amico Roxas
La defezione della Binetti potrebbe essere considerato un fatto isolato e sporadico di una persona in cerca di visibilità, se non comprendesse un antico problema che, dalla notte dei tempi, riemerge e si ripresenta, con l’urgenza di una soluzione definitiva.
Il binomio Stato-Chiesa dovrà avere una chiara soluzione, altrimenti servirà solo a creare fratture e imporre l’ingovernabilità.
Non si può prescindere dalla Rivoluzione francese per affermare la laicità dello Stato; in quell’occasione la storia voltò pagina e pose fine al feudalesimo, conclude il basso medio evo con le sue tante ombre e le sue poche luci. Illuminismo e Rivoluzione francese imposero un itinerario di non ritorno con la separazione delle sfere di competenza: da una parte lo Stato con le sue incombenze, dall’altro la Chiesa con le sue esigenze.
Era ancora vivo e vegeto lo Stato Pontificio, era al suo culmine del potere il Papa/Re con il potere temporale che sovrastava di molto il potere spirituale.
Fu illuminante l’affermazione di Paolo VI, quando affermò che la perdita del potere temporale era stata una salvezza per la Chiesa.
Ma il vezzo di intromettersi negli affari dello Stato italiano la Chiesa di Roma non lo ha completamente perduto, anzi, adesso sembra proprio che lo abbia accentuato, creando un ginepraio di contumelie che non soddisfano nessuno.
Ritorna la lotta per le investiture che culminò con lo scontro tra Enrico IV e Gregorio VII (quello della riforma gregoriana), con il dictatus papae, la deposizione del pontefice, le scomuniche elargite all’imperatore, lo schiaffo di Canossa, l’intervento conciliatore di Matilde di Canossa.
Ma eravamo nel basso medio evo; la ragione del contendere, in fondo, era rappresentata dalla ereditarietà dei feudi, che i vassalli erano riusciti ad ottenere. Così l’imperatore pensò bene di creare conti i vescovi, perché non dovendo avere, ufficialmente, figli, non avrebbero avuto interesse alla ereditarietà del feudo concesso. Il quesito che scatenò la reciproca ira fu il dovere di obbedienza: il papa lo esigeva per sé in quanto i notabili erano vescovi della Chiesa di Roma, mentre l’imperatore lo reclamava, in quanto vassalli dell’impero.
La cosa ebbe un seguito e non fu mai completamente sanata se non con la scomparsa dello Stato Pontificio. Ma ora si ripropone: i parlamentari cattolici devono obbedienza al Papa in quanto cattolici, oppure alla Costituzione in quanto parlamentari democraticamente eletti dal popolo.
Da questa doppia investitura nascono le contraddizioni che implicano ben più gravi conseguenze, come la confusione che nasce dal concetto di reato (di pertinenza dello Stato e quello di peccato (di pertinenza della Chiesa).
Reato e peccato rappresentano due modi di offendere la legge; bisogna, però, distinguere la legge della Chiesa, che amministra i peccati e quella dello Stato laico, che amministra i reati.
Non è possibile, nè lecito, confondere i due comportamenti, essendo il primo a carattere confessionale e il secondo a carattere laico. La polemica circa l’esigenza di sostenere le ragioni di Benedetto XVI, contro le critiche che da più parti vengono sollevate, non tiene conto della radice del problema che necessita di una visione più approfondita e non certo arricchita da motivazioni arbitrarie o da velleitari esibizionismi con sfondi lontanissimi da una veritiera esigenza di sostegno al Pontefice.
Le azioni e gli atti estranei ad una lettura “ex cathedra” , anche se dette o fatte dallo stesso Pontefice possono e devono essere oggetto di dibattito, di critica, o anche di interpretazione diversa da quella originale, in quanto lo spirito della fede non può restare prigioniero del dovere di una obbedienza acritica, che finirebbe con l’allontanare dalla fonte della fede, più che sancire una continuità non condivisa.
Il problema alla base inizia con la confusione che si vuole ingenerare tra il concetto di “peccato” di pertinenza confessionale e quello di “reato” di pertinenza laica. Non tutti gli atti intesi come peccato possono essere identificati da uno Stato laico come reato, e agire di conseguenza, comminando sanzioni o condanne.
E’ il caso delle “unioni di fatto”, non sancite dal matrimonio, considerate peccato dalla Chiesa e che si vorrebbe venissero valutate dallo Stato come reato, con azioni di conseguenza, escludendo i “peccatori” “non pregiudicati (!)” dalle provvidenze che lo Stato riconosce alle coppie non in odore di peccato.
La pretesa inoltre di voler imporre ai parlamentari cattolici di esprimere un voto non di coscienza ma di obbedienza, ci riporta indietro di secoli, ai margini della lotta per le investiture, quando sorse il problema del potere temporale dei vescovi-conti, se dovevano riconoscere il primato di autorità al Papa in quanto vescovi o all’imperatore in quanto conti. Così oggi si ripropone il dilemma se il parlamentare cattolico deve obbedienza al Papa in quanto cattolico o alla Costituzione in quanto parlamentare.
Tutto ciò è e deve essere argomento di un dibattito estraneo allo spirito confessionale di parte, dovendosi tutelare, paritariamente, tutti i cittadini, qualunque sia la religione, la razza, la fede o anche solo le temporanee esigenze. Ben diversa è la circostanza del reato per lo Stato, quando viene assunto come peccato dalla Chiesa che avoca a se stessa l’onere del giudizio.
E’ il caso della pedofilia esercitata dai sacerdoti, che è indubbiamente un reato perseguibile penalmente, con i rigori della legge; ma in questa circostanza una discutibilissima lettera riservata, indirizzata «a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri ordinari del luogo, anche di rito orientale», del 1962 dal titolo “Crimen sollecitationis” (Delitto di adescamento), redatto dal card. Alfredo Ottaviani, parzialmente riveduta nel 2001 dalla Congregazione per la dottrina della fede, con la lettera “De delictis gravioribus”, dall’allora cardinale Ratzinger, riduce il reato a peccato da amministrare all’interno della Chiesa, con i modi che riterrà opportuno, mortificando i diritti delle vittime, all’interno di un tribunale esclusivamente ecclesiastico, obbligato, peraltro, con giuramento, ad una segretezza che sa di omertà, con la seguente formula:
“Perciò tutti coloro che a vario titolo entrano a far parte del tribunale o che per il compito che svolgono siano ammessi a venire a conoscenza dei fatti sono strettamente tenuti al più stretto segreto (il cosiddetto "segreto del Sant’Uffizio"), su ogni cosa appresa e con chiunque, pena la scomunica “latae sententiae”, per il fatto stesso di aver violato il segreto (senza cioè bisogno di una qualche dichiarazione NdT); tale scomunica è riservata unicamente al sommo pontefice, escludendo dunque anche la Penitenzieria Apostolica. [ossia: tale scomunica può essere ritirata solamente dal papa, NdT] “.
La critica diventa doverosa per la palese alterazione del rapporto tra diritti e doveri, che devono essere sempre uguali per tutti, altrimenti la stessa base fondamentale della vita civile verrebbe negativamente alterata. Il dibattito è iniziato da tempo, facilitato dai mezzi moderni, perché si tratta di problemi attuali che necessitano di chiarimenti idonei alle attese; ma si sono inseriti, abusivamente, taluni personaggi che in questo dibattito hanno voluto trovare l’occasione per esibirsi quali difensori della persona del Pontefice, trasformando un dibattito interno al mondo dei fedeli, in una polemica con personalissimi interessi di esibizione politica, per cercare approvazione all’interno di un panorama che non appartiene loro, questi ultimi non servono la Chiesa ma aspirano a servirsene.
A fronte di queste problematiche, la defezione della Binetti appare ben poca cosa, ma serve per sollevare il problema e, finalmente, giungere ad una soluzione definitiva che non preveda interferenze, lasciando ampio spazio alle attività del Vaticano, compatibilmente alle esigenze nuove di molteplicità di fedi religiose, ciascuna con un proprio diritto ad essere liberamente esercitata.
I parlamentari che dovessero nutrire dubbi circa il loro dovere di obbedienza alla Costituzione in quanto parlamentari, dovrebbero avere la coerenza di abbandonare l’abito laico della repubblica e vestire l’abito confessionale di qualche ordine e da quel pulpito predica le loro convinzioni, che non devono mai interferire con le decisioni dello Stato laico che deve provvedere alle esigenze di tutti i cittadini, senza discriminazioni di sorta.
L’uomo, per il Signor Pierri, deve sacrificarsi solo per l’uomo, come fanno i genitori che si "dissanguano" per mandare il figlio all’universitâ, quando fanno dei "sacrifici" per lui.
Per lui è inconcepibile che l’uomo debba sacrificarsi per Dio !
La morte che ci commoveva quando era quella di Dio per l’uomo, ci scandalizza quando appare come la morte necessaria dell’uomo per Dio.
Insomma, per l’ex professore di religione cattolica, non è giusto che l’uomo debba soffrire per Dio, non ha diritto di chiederglielo.
Così come i suoi "discepoli", il Pierri non capisce che ciò che piace a Dio nel sacrificio di suo Figlio, e nei nostri sacrifici, non è evidentemente la sofferenza dei suoi figli, ma la fiducia che questi continuano ad avere in lui anche in mezzo alle loro prove.
L’aveva capito perfettamente suor Teresa di Gesù Bambno, che il 9 giugno 1985, nella festa della santissima Trinità, desiderava offrirsi non alla giustizia di Dio, ma al suo Amore misericordioso, per essere consumata come una "vittima di olocausto", dal fuoco dell’amore divino.
Renato Pierri, mio caro ex prof. di religione, fa un’affermazione, e la sostiene appellandosi alla ragione, e citando Vangelo e Catechismo. Di Biasi non è d’accordo, e non c’è nulla di male. Ben vengano le critiche! Il fatto è però che Di Biasi, essendo forse ancora giovane, non conosce il metodo per farle le critiche. E così, anziché confutare l’affermazione stessa, smontando uno per uno gli argomenti che la convalidano, attribuisce al prof. quel che gli aggrada. L’impressione è che Di Biasi non abbia capito la lettera del prof.
Analizziamo i discorsi di Di Biasi: "Per lui è inconcepibile che l’uomo debba sacrificarsi per Dio !" . Di Biasi non ha capito. Il problema è come amare Dio e come "sacrificarsi" per Lui. Un’occhiata alla Lavanda dei piedi giovannea potrà illuminarlo.
"La morte che ci commoveva quando era quella di Dio per l’uomo, ci scandalizza quando appare come la morte necessaria dell’uomo per Dio."
"Morte necessaria dell’uomo per Dio"? Di Biasi non ha capito. Il problema è stabilire, in base alla ragione ed al Vangelo, quando "la morte dell’uomo per Dio sia da ritenersi necessaria" e non inutile. Qualora sia perfettamente inutile, non scandalizza; fanno semplicemente pena gli sciocchi che fanno falsi sacrifici non richiesti dal Signore.
"Insomma, per l’ex professore di religione cattolica, non è giusto che l’uomo debba soffrire per Dio". Di Biasi non ha capito. Il problema è stabilire in quale modo "soffrire per Dio"; quando risponde alla ragione e alle indicazioni di Gesù, e quando ad un’errata interpretazione del Vangelo, e alle proprie turbe psichiche.
Così come i suoi "discepoli", il Pierri non capisce che ciò che piace a Dio nel sacrificio di suo Figlio, e nei nostri sacrifici, non è evidentemente la sofferenza dei suoi figli, ma la fiducia che questi continuano ad avere in lui anche in mezzo alle loro prove. Di Biasi fraintende ancora. Che cosa c’entra mai la sofferenza inutile, gratutita, assolutamente non necessaria, alle volte procurata, alle volte attribuita in modo blasfemo al buon Dio, con la fiducia in Dio?
Restiamo in ogni modo in attesa delle obiezioni inconfutabili alle affermazioni della lettera sul cilicio.
Elisa Merlo
Signora Elisa, quindi per Lei la scoperta di Dio è solamente il risultato di un cammino puramente intelettuale !
Mi perdoni, ma quella che ha frainteso tutto è Lei (e il suo caro ex professore di religione).
Non penso di essere più giovane di Lei. E penso pure di aver capito alla perfezione la lettera del Prof. Probabilmente è Lei che non ha capito quanto ho scritto io (e come può se usa solamente il cervello ?)
La vostra contestazione non è nuova. Per voi l’atteggiamento sacrificale, così frequente nelle religioni primitive e nall’antica alleanza è contrario all’insegnamento di Cristo.
Che senso ha allora per Lei e il suo ex Prof. la morte sul Calvario ? Il Padre aveva veramente bisogno di questo sacrificio di Cristo per riconciliare il mondo con Lui ?
Come precisava già Sant’Ireneo (Contro le eresie): "se Dio sollecita un’offerta dagli uomini, lo fa per quello stesso per cui la offre, cioè per l’uomo. Dio non ha bisogno del nostro sacrificio, ma colui che offre è, a sua volta, glorificato per il fatto stesso di offrire, se il suo dono viene accettato". In altre parole, Dio non è paternalista; non ci ama "senza che lo vogliamo", apprezza veramente la nostra offerta, i nostri gesti di riparazione e di espiazione. Ciò non contraddice la gratuità assoluta della salvezza che Dio ci offre, ma prova che Dio ci ama al punto di darci la possibilità di offrirgli una riparazione che piace a Lui.
Naturalmente questa offerta di noi stessi possiamo compierla solo partecipando all’offerta di se stesso fatta da Cristo "una volta per sempre" durante la sua vita terrena. Questo nesso tra il sacrificio di Cristo e il nostro, lo possiamo capire meglio riflettendo a ciò che Paolo scrive ai Romani, cioè che siamo salvati dall’obbedienza di Cristo, il "nuovo Adamo".
Sereno e prospero 2008 !
biagio allevato
Impossibile dialogare col signor Biasi, Continua a fingere di non capire, o realmente non ha capito? Mistero. Il fatto è che mi pare non abbia proprio capito il Vangelo. E il fatto è piuttosto grave, giacché in qualche modo continua a bestemmiare, ritenendo che Dio voglia dalle sue creature sacrifici inutili. Beata ingenuità!
Ovviamente, poiché non rende possibile un dialogo costruttivo, eviteremo tranquillamente di leggere ulteriori commenti biasini...
Elisa Merlo
Gent.ma Signora Merlo, io penso solamente che Lei abbia già compiuto un grande sforzo per capire che non sono "Di Biasi" ma solamente "Biasi"... Figuriamoci se pretendo che Lei possa capire il pensiero della Chiesa cattolica a riguardo di quanto esposto.
Persone arroganti e presuntuose come Lei e il suo ex prof. di religione hanno pure la pretesa di aprire un dialogo ?
Beatà ingenuità veramente !
biagio allevato