Made in Italy....

MOZZARELLA. POLITICA, ECONOMIA E METAFORA. Una nota di Marcello Sorgi - a cura di pfls

giovedì 27 marzo 2008.
 
[...] Come sia potuto arrivare un paese che pure in tempi non lontani ha occupato con onore il quinto o il sesto posto al mondo per innovazione, sviluppo e quel che una volta si usava chiamare progresso, a identificarsi con le sorti di un suo formaggio, anche se uno dei più globalmente famosi e apprezzati, è difficile dirlo. La Francia, per dire, che ha egualmente un’industria e una produzione casearia raffinata e gustosa, non s’identifica certo con il camembert. Né la Svizzera con l’emmenthal o l’Inghilterra con il cheddar cheese. L’Italia invece è - e speriamo di non dover dire era - famosa per la sua mozzarella, come sa bene chi ha vissuto all’estero, ha visto gente di diverse etnie affollare i ristoranti italiani e contendersi preziosi bocconcini di «bufala» a prezzi indecenti [...]

Metafora italiana

di MARCELLO SORGI (La Stampa, 27/3/2008)

Anche se di primo acchito verrebbe quasi da scherzarci su, il vertice straordinario, del governo in ordinaria amministrazione, dedicato alla mozzarella, è un affare molto serio. Vuol dire che dopo quella della «monnezza», e contemporaneamente a quella dell’Alitalia, la crisi delle esportazioni del prelibato formaggio di latte di bufala campano ha ormai assunto dimensioni da vera emergenza.

Rischia cioè di ripercuotersi sul resto della già malandata economia italiana. Come sia potuto arrivare un paese che pure in tempi non lontani ha occupato con onore il quinto o il sesto posto al mondo per innovazione, sviluppo e quel che una volta si usava chiamare progresso, a identificarsi con le sorti di un suo formaggio, anche se uno dei più globalmente famosi e apprezzati, è difficile dirlo. La Francia, per dire, che ha egualmente un’industria e una produzione casearia raffinata e gustosa, non s’identifica certo con il camembert. Né la Svizzera con l’emmenthal o l’Inghilterra con il cheddar cheese. L’Italia invece è - e speriamo di non dover dire era - famosa per la sua mozzarella, come sa bene chi ha vissuto all’estero, ha visto gente di diverse etnie affollare i ristoranti italiani e contendersi preziosi bocconcini di «bufala» a prezzi indecenti.

O addirittura entrare in pericolosi giri di contrabbando in cui pusher misteriosi, quasi spacciassero droga, chiamando sui cellulari ad ore improbabili e presentandosi con nomi di fantasia, tipo «Gianni from Naples», li consegnavano nottetempo a emigrati di lusso, in quartieri come Belgravia o Knightsbridge a Londra, senza garanzie né ricevute fiscali.

Forse già in questo c’è una risposta, o una prima spiegazione, della metafora italiana della mozzarella. Un paese che non è capace neppure di gestire o commercializzare le proprie eccellenze, che le diffonde con almeno due diversi mercati - uno dei quali, inevitabilmente, ricorda la vecchia «borsa nera» -, che non è in grado di certificare provenienze, qualità dei marchi, composizione organolettica, che non ha capito che qualcosa non va se in un supermercato straniero in cui tutti i giorni consumatori globalizzati fanno la spesa è possibile comperare generi di qualsiasi pezzo di mondo - carne argentina, pesce giapponese, vini australiani o sudamericani, champagne francese, latte svizzero, frutta esotica -, ma non, o non tutti i giorni, formaggi italiani, non solo mozzarella: ecco, un paese così, prima o poi va a cozzare sulla crisi della bufala.

Abbiamo la Ferrari, la nazionale di calcio campione mondiale, abbiamo un patrimonio culturale e artistico unico e senza rivali, abbiamo la moda e una tradizione di eleganza invidiate da tutti, ma chiunque s’accosti a questi esempi di successo italiano, non li percepisce come regola, ma come eccezione. E purtroppo per noi, l’Italia di questi giorni, di questi anni, rimane nel mondo quella dell’Alitalia da cedere di corsa al primo offerente per non vederla fallire, delle montagne di rifiuti di Napoli contro cui sono andati a sbattere la testa ben sei commissari - l’ultimo, sconfitto anche lui, il superman De Gennaro -, delle strade strette e ingorgate da file inestricabili di automobili, dei treni che non arrivano mai, o viaggiano mediamente a una velocità pari a metà di quelli europei.

Non è dato sapere dove porterà la crisi della mozzarella. E’ prevedibile, presto, in qualche modo annunciata, a quella della pizza, altro biglietto da visita italiano diffuso in tutto il mondo. Poi a quella del pomodoro. O ancora - Dio non voglia! - a una flessione di tutte le esportazioni dell’industria alimentare nazionale, quando non di tutto il «made in Italy».

E in questo quadro, la cosa che fa più rabbia è che l’Italia, nel passato anche recente, ha saputo cavarsi fuori da guai ben peggiori di questo. Siamo stati capaci di sconfiggere il terrorismo, di arrestare i capi della mafia. Ma sulle strade di Napoli e sui pascoli di qualche migliaio di bufale campane che non riusciamo a ripulire, ci stiamo perdendo la faccia. E non solo. Irrimediabilmente sporca, ormai, è anche la nostra coscienza.


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