Mafia, sciolto il Consiglio comunale di Gioia Tauro
Il Governo ha sciolto il consiglio comunale di Gioia Tauro (Reggio Calabria) poichè «sono state accertate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata». Ne dà notizia un comunicato del Consiglio dei ministri.
Nei mesi scorsi il prefetto di Reggio Calabria aveva disposto una commissione di accesso per accertare le eventuali ipotesi di infiltrazioni mafiose nella gestione dell’ente. La commissione di accesso per accertare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività del Comune di Gioia Tauro era stata insediata dal Prefetto di Reggio Calabria nel dicembre dello scorso anno.
Dopo una prima fase di lavoro e una proroga di altri 60 giorni, la Commissione ha depositato nelle scorse settimane, in Prefettura, la propria relazione che è stata poi inoltrata al ministro dell’Interno. Quindi la decisione del Consiglio dei ministri di sciogliere il Consiglio comunale di Gioia Tauro.
Il Comune, dal maggio 2006 era guidato da Giorgio Dal Torrione, dell’Udc, eletto a capo di una coalizione di centrodestra, al ballottaggio con Giuseppe Luppino, dell’Udeur, in rappresentanza del centrosinistra.
Nel febbraio scorso Dal Torrione ed il suo vice sindaco, Rosario Schiavone, insieme ai sindaci di Rosarno e San Ferdinando, sono stati raggiunti da informazione di garanzia in cui si ipotizzava il reato di associazione mafiosa perchè, secondo la Dda di Reggio Calabria, avrebbero aiutato la riabilitazione dell’avvocato Gioacchino Piromalli, già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Quest’ultimo aveva chiesto al Tribunale di sorveglianza di poter far fronte al giudizio del Tribunale di Palmi, che lo aveva condannato a un risarcimento civile di 10 milioni di euro nei confronti dei tre Comuni, lavorando, vista la sua non disponibilità economica, per conto degli Enti ed i sindaci avrebbero in qualche maniera dato la loro disponibilità.
Allo stato non è possibile sapere se l’inchiesta che ha coinvolto Dal Torrione possa essere legata a quella dello scioglimento del Consiglio comunale.
* l’Unità, Pubblicato il: 23.04.08. Modificato il: 23.04.08 alle ore 8.37
Al via oggi la dodicesima edizione della Carovana antimafie
Cento tappe in due mesi per parlare dell’emergenza criminalità organizzata
Don Ciotti: "La lotta alle mafie
non è una priorità del paese"
Il fondatore di Libera: "Inquietante che in questo clima la Commissione antimafia
non sia ancora insediata e operativa". Beni (Arci): "Pericoloso arretramento"
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - "E’ inquietante che in un paese dove governo e parlamento sono velocissimi nell’approvare provvedimenti che riguardano gruppi ristretti di persone, lo stesso governo e lo stesso parlamento, ad oltre cinque mesi dal loro insediamento, non siano ancora riusciti a far partire la Commissione parlamentare Antimafia. Come se la politica non sentisse la necessità di avere voce su quello che accade ogni giorno, su un’emergenza come quella della criminalità organizzata". Come se non ci si stupisse più, come se tutto fosse statistica, con quell’assuefazione lenta che è il primo passo per non indignarsi più.
Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, parla davanti a studenti e insegnanti. Continua a farlo, non ha mai smesso anche se qualche anno fa la sua era una voce tra tante e oggi è una delle poche che ancora trova la forza di alzarsi contro il potere delle mafie. L’occasione è la partenza della Carovana nazionale antimafie, edizione numero 12, dodici viaggi suddivisi in oltre cento tappe attraverso paesi, cittadine e città. Un modo, dice Paolo Beni, presidente dell’Arci, con Libera, Banca Etica, Fondazione Unipolis, Unipol, Avviso pubblico, Cgil e Cisl tra i promotori della Carovana, "per coinvolgere le persone a parlare e a confrontarsi su un tema come quello dell’emergenza criminale che sembra scomparso dalle priorità del paese. Le persone non parlano più, non comunicano più, ricevono solo messaggi dalla tivù con cui non possono interagire".
Due sindaci calabresi, di Gioia Tauro e Rosarno - è cronaca di stamani - arrestati perchè collusi con il clan Piromalli, uno dei più spietati della ’ndrangheta. Il Parlamento tace, la Commissione Antimafia ancora non è in funzione. I casalesi sparano, uccidono, per dare una lezione, " a caso contro i neri", diciassette "azioni", come le definiscono i verbali di polizia, tra omicidi realizzati e tentati dal 2 maggio al 5 ottobre. Il Parlamento tace, la Commissione Antimafia non si è ancora convocata, non è stato nominato neppure il presidente. Le mafie, tutte, allungano le mani sugli appalti miliardari dell’Expo, la magistratura ingada e il Parlamento, di nuovo, tace.
Così vanno le cose. L’insediamento dell’Antimafia è tradizionalmente una faccenda lunga, all’inizio di ogni legislatura deve essere approvata la legge che conferisce i poteri e individua deputati e senatori membri dell’organismo bicamerale. Qualcosa che accade quasi sempre dopo la pausa estiva. In questa sedicesima legislatura, però, c’è un di più di lento e farraginoso, soprattutto rispetto alla velocità con cui invece il Parlamento legifera e il governo decide.
"Il ruolo dell’Antimafia dovrebbe essere proprio quello di chi chiede e pretende la responsabilità della politica rispetto a questi temi così urgenti per il paese e per il rispetto della legalità" insiste il fondatore di Libera. Un silenzio che pesa e che denuncia, aggiunge Paolo Beni, "un pericoloso arretramento nella lotta alle mafie, un abbassamento della guardia nonchè il progressivo svuotamento dei poteri parlamentari".
E’ come se in Italia ci fossero due codici penali, "uno - dice don Ciotti - per i cittadini italiani, un altro per i diversi, i poveri, gli stranieri". Non solo: "Ci preoccupiamo di punire le prostitute ma la lotta alla criminalità organizzata non è una priorità". Per il fondatore di Libera "l’ordinanza anti-lucciole a Roma favorirà gestioni mafiose della prostituzione". E’ sbagliato "far sì che le ragazze vengano confinate negli appartamenti, per aiutarle abbiamo bisogno di incontrarle sulla strada". Con la Turco-Napolitano, la legge sull’immigrazione precedente alla Bossi-Fini, "7.500 ragazze hanno lasciato il giro e lo sfruttamento grazie alla regolarizzazione prevista per chi denuncia il proprio sfruttatore".
Con queste premesse, la Carovana si mette in cammino oggi dalla Casa del jazz di Roma, una bellissima villa ricavata dalla confisca dei beni della banda della Magliana. Cento tappe che toccheranno tutte le regioni d’Italia in due diversi percorsi, verso il Nord e verso il Sud per ricongiungersi a metà dicembre nella tappa finale di Ragusa. "’Le mafie non moriranno mai se non cambia il modo di fare politica e non si creano politiche sociali nei territori’’ dice don Ciotti. Finchè lo Stato non proverà a dare in quanto diritto ciò che le mafie danno come favore.
* la Repubblica, 13 ottobre 2008.
Ordine di custodia anche per il vicesindaco e il primo cittadino di Rosarno, accusati
di associazione mafiosa. In manette anche due esponenti di spicco dei Piromalli
Legami tra politica e ’ndrangheta
arrestato sindaco di Gioia Tauro
GIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) - Operazione anti ’ndrangheta questa mattina, nella zona di Gioia tauro: arrestati il sindaco della città, Giorgio Dal Torrione, dell’Udc; il suo vicesindaco, Rosario Schiavone; il sindaco di Rosarno, Carlo Martelli. Tutti e tre sono accusati di concorso esterno in associazione mafiosa.
In tutto, sono cinque le ordinananze di custodia cautelare in carcere emesse dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, eseguite all’alba di oggi. Gli altri due uomini finiti in manette sono Gioacchino Piromalli e suo nipote omonimo, entrambi considerati ai vertici della cosca, tra le più potenti della Calabria. Nel corso dell’operazione, la polizia ha eseguito anche numerose perquisizioni.
Il comune di Gioia Tauro era stato già sciolto per infiltrazioni mafiose: il sindaco e il vicesindaco arrestati oggi erano in carica al momento dello scioglimento. L’inchiesta ha documentato come i funzionari pubblici agevolassero esponenti di spicco del clan Piromalli.
Calabria, 18 arresti hanno decimato i vertici delle cosche Piromalli e Molè
Contro il 41 bis i boss della ’ndrangheta cercarono di avvicinare anche Mastella
Incontri segreti e voti promessi
il pressing dei clan su Dell’Utri
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI *
REGGIO CALABRIA - È la trama della ’ndrangheta che vuole liberarsi dalle catene del 41 bis. Una ragnatela che dalla piana di Gioia Tauro si spande a Roma, si infiltra nei ministeri, raggiunge i bracci delle sezioni speciali delle carceri italiane. Promesse di voti, mosse e contromosse per convincere quei deputati o senatori che "possono fare qualcosa", ricatti, maneggi per ottenere immunità diplomatiche, spiate di magistrati.
Non si fermano davanti a niente e a nessuno i capi della ’ndrangheta pur di diventare dei detenuti come tutti gli altri. I personaggi di questo intrigo sono i Piromalli e i Molè, forse i "capibastone" più potenti della Calabria. In una retata che da queste parti ha pochi precedenti per "portata" investigativa - è anche la prima grande operazione firmata dal nuovo procurarore di Reggio Giuseppe Pignatone - la squadra mobile e i ros dei carabinieri hanno decimato con 18 fermi i vertici di due cosche che erano state solo sfiorate dalle investigazioni negli anni passati. Le "famiglie" che soffocano il porto di Gioia Tauro, quelle che come dice uno dei boss catturati "hanno insieme cent’anni di storia".
Sono loro, i Piromalli soprattutto, che in giro per l’Italia hanno sguinzagliato avvocati e compari e consigliori per agganciare il senatore Marcello Dell’Utri e l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il primo ha ricevuto quei "calabresi" in almeno in due occasioni (alla vigilia delle ultime elezioni politiche), il secondo ha chiuso ogni contatto con loro dopo la prima telefonata. "Maledetto 41 bis, sto tentando di tutto, voglio percorrere una strada segretissima anche al Vaticano", sibila uno di loro al telefono. E poi dice: "Ho cercato anche con la massoneria, per quanto riguarda eventualmente l’intervento di un giudice molto importante".
È alla fine dell’anno scorso che i Piromalli decidono di muovere tutte le loro pedine. È il 3 dicembre del 2007 quando dalla Calabria organizzano per Antonio Piromalli e per il suo amico Gioacchino Arcidiaco (entrambi arrestati nella retata di martedì scorso) un incontro con Marcello Dell’Utri. Dal senatore di Forza Italia vogliono procurare una sorta di immunità attraverso il conferimento di una funzione consolare. Una qualsiasi. Vogliono mettere al sicuro Antonio, il rampollo della "famiglia" con un passaporto diplomatico. In cambio offrono voti e si mettono a disposizione per i "circoli" del senatore nel territorio di Gioia Tauro. Prima di contattare Dell’Utri Arcidiaco chiede ad Aldo Micciché, un ex dc della Piana riparato in Venezuela per sfuggire a grossi guai giudiziari in Italia: "Come mi devo proporre a lui?".
Gli risponde Micciché da Caracas: "La Piana è cosa nostra facci capisciri (fagli capire, ndr), il porto di Gioia Tauro l’abbiamo fatto noi. Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi". E ancora: "Ricordati che la politica si deve saper fare. Ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi. Hai capito il discorso? E quando dico noi, intendo dire Gioacchino e Antonio (Piromalli, ndr), mi sono spiegato? Spiegagli chi siamo, che cosa rappresentiamo per la Calabria... io gli ho già detto tante cose". Gli ribatte l’altro: "Gli dico: ho avuto autorizzazione di dire che possiamo garantire per Calabria e Sicilia".
Dopo un primo incontro il 3 dicembre a Milano fra Gioacchino Arcidiaco e Marcello Dell’Utri (c’è con loro l’avvocato di Genova Francesco Lima), ce n’è un secondo a Roma tre giorni prima delle elezioni politiche del 13 aprile. L’inchiesta sta ancora scavando fra i retroscena di quei faccia a faccia, il senatore Dell’Utri sarà ascoltato come testimone.
Gli emissari della ’ndrangheta si sono mossi anche su altri fronti per provare ad avere uno "sconto" sul carcere duro. Contattano una persona - "un mio compare", dice Micciché - vicina al senatore Emilio Colombo, vengono costantemente informati che molti dei loro telefoni sono intercettati - "c’è tutta la rete sotto controllo" - , fanno cenno "a un amico a Palazzo dei Marescialli", ricevono soffiate da due famosi magistrati in pensione di Reggio. Incontrano. Parlano. Garantiscono.
È sempre Aldo Micciché che informa i Piromalli. Una volta racconta che il deputato dell’Udc Mario Tassone si sarebbe "messo a vostra completissima disposizione" e "che tira aria di elezioni e diventerà il segretario del partito al posto di Lorenzo Cesa", un’altra volta ricorda che anche "il consigliere regionale Gianni Nucera li aspetta a braccia aperte per tutto quello che avete bisogno". Poi si agita per Veltroni che in comizio ha detto di non volere i voti di mafia: "Avete capito il discorso? Quelli hanno respinto ogni forma, ogni cosa".
Il vecchio Giuseppe Piromalli nonostante le tante "amicizie" è però sempre in una cella, isolato nel carcere di Tolmezzo. È a quel punto che Aldo Micciché tenta di "avvicinare" il Guardasigilli Mastella. Il ministro riceve una telefonata sul suo radiomobile il 7 dicembre 2007, in un primo momento non risponde a quel numero sconosciuto ma poi richiama. Sente una voce, quella di Micciché: "Clemente mio, meno male. sto cercando di fare il possibile per aiutarti. Vediamo se recuperiamo sul Lazio e su Roma. ti mando Francesco Tunzi, già hai conosciuto anche altri amici. Noi e nostri". Appena riconosce l’interlocutore che accenna a possibili aiuti elettorali, il ministro interrompe la comunicazione. Ma i boss della già da mesi si aggiravano intorno al ministero della Giustizia.
Cercavano un varco. È sempre la condizione carceraria di Giuseppe Piromalli a impensierirli. Riferiscono al figlio Antonio: "Tuo padre è esasperato, e lo diventa ancora di più quando gli vengono toccate le cose di cui necessita di più, cioè la corrispondenza... gli stanno controllando pure i peli".
È ancora Aldo Micciché che comunica al figlio del boss: "Sia Antonella Pulo, sia la Zerbetto e sia Francesco Borromeo mi hanno fatto capire che tenteranno di fare quello che. sottobanco devono farlo, perché tu sai che c’è stato un irrigidimento dopo gli avvenimenti che tu sai". La prima - Antonella Appulo - è stata identificata come un’esponente del movimento giovanile dell’Udeur. La seconda - Adriana Zerbetto - era la segretaria del ministro della Giustizia. Il terzo - Francesco Borgomeo - era a capo della sua segreteria. Millanterie dell’uomo di Caracas? È un altro dei filoni investigativi ancora in corso di approfondimento.
Comunque è lo stesso Micciché che urla un giorno al telefono: "Sto cazzo di ministro non si può muovere in nessun modo. Devo fare un’altra strada perché è già quasi arrivato il giorno. Sennò siamo fottuti". Il giorno che avrebbero dovuto confermare il 41 bis a Giuseppe Piromalli. I boss parlano a ruota libero, tranquilli, forti del loro "servizio informativo" È Arcidiaco che per una volta avverte Aldo Micciché: "Praticamente ieri ci hanno chiamato e ci hanno detto che due settimane fa hanno tappezzato la macchina di mio cugino Antonio dell’ira di Dio".
Pensano di poter dire tutto su altri telefoni, si sentono "protetti". Aldo Micciché si lascia sfuggire: "Ho ricevuto una telefonata da Reggio da persone che nemmeno ti immagini, molto, molto in alto. Dobbiamo stare molto attenti. Lo sai chi è Peppe T. o Peppe V., sai chi sono questi, sono gente legata a mani piedi culo e poi c’è l’altro personaggio importantissimo". Tutti magistrati. Amici di altri magistrati. Amici dei boss della ’ndrangheta.
* la Repubblica, 24 luglio 2008.
Indagini a tappeto dopo la scoperta di una microspia nell’ufficio del pm Gratteri Domani proseguirà la bonifica dell’edificio. Si sospetta di un magistrato
Reggio Calabria, caccia alla talpa
blindato il Palazzo di Giustizia
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO *
REGGIO CALABRIA - Il palazzo di giustizia di Reggio Calabria dove nei giorni scorsi è stata trovata una microspia nell’ufficio del pm Nicola Gratteri, è sotto strettissima sorveglianza. Entrate ed uscite sono tutte registrate ed anche i sei piani della Procura sono "blindati" con servizi di sorveglianza più accurati del solito. E domani, in un clima già incadescente per i veleni che da anni si registrato dentro il palazzo, i carabinieri del Ros proseguiranno una bonifica che sarà allargata a tutti gli uffici dei pubblici ministeri impegnati in indagini delicate, non solo sulla ’ndrangheta ma anche su mafia e politica.
E, sempre domani, i militari dei Ros andranno a Catanzaro per consegnare le prime indagini sul ritrovamento della microspia e sulle loro ipotesi investigative che, stando ad indiscrezioni, porterebbero proprio dentro il palazzo di giustizia di Reggio Calabria.
Si ipotizza infatti che all’ascolto della microspia piazzata nell’ufficio di Gratteri potesse esserci un uomo che lavora dentro il palazzo, un magistrato, un impiegato oppure un "infiltrato" della ’ndrangheta che raccoglieva informazioni preziose e segretissime.
Che il clima sia incandescente e preoccupante lo hanno confermato già ieri il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso ed il neo procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone che di "talpe" se intende. E’ stato infatti Pignatone, quand’era procuratore aggiunto a Palermo, a coordinare la grande inchiesta sulle talpe alla procura del capoluogo siciliano che ha portato al processo ed alla condanna dell’ex presidente della regione siciliana, Totò Cuffaro, appena eletto senatore della repubblica nella fila dell’Udc.
La divulgazione della microspia in Procura, anticipata ieri mattina da "Repubblica. it", è coincisa con il gravissimo attentato all’imprenditore di Gioia Tauro, Princi, che lotta ancora tra la vita e la morte. L’imprenditore è stato investito dall’esplosione di un’autobomba che era stata collocata nella sua vettura che è stata innescata mentre l’uomo stava per aprire la portiera dell’auto. Ha perso le gambe, le braccia ed anche la vista.
Insomma in Calabria è vera e propria emergenza ed alcuni magistrati impegnati nelle indagini sulla ndrangheta non nascondono la loro preoccupazione temendo altri azioni eclatanti all’interno delle cosche che si contendono il controllo di grandi e piccoli appalti e la gestione del vasto traffico di droga gestito dai calabresi in strettissimi rapporti con i cartelli colombiani.
* la Repubblica, 27 aprile 2008.
Antonino Princi è titolare di numerosi negozi, coltiva interessi anche nel mondo del calcio
L’ordigno è esploso con un radiocomando. Ricoverato in ospedale ha perso una mano
Bomba sotto auto a Gioia Tauro
Grave un ricco commerciante *
GIOIA TAURO (Reggio Calabria) - Attentato contro un ricco commerciante di Gioia Tauro. Antonino Princi ha perso la mano nell’esplosione di un ordigno radiocomandato esploso sotto la sua vettura parcheggiata. Quarantacinque anni, titolare di numerosi negozi di abbigliamento e maglieria, interessi nel mondo del calcio, Princi è ricoverato in gravi condizioni nell’ospedale di Reggio Calabria.
La Mercedes di Princi era parcheggiata in un cortile in cui si trovavano altre due automobili che sono rimaste danneggiate. A causa dell’esplosione è andata in frantumi anche l’insegna di un negozio vicino.
Antonino Princi coltiva interessi anche nel mondo del calcio. Negli anni scorsi era stato soprattutto socio del Catanzaro, quando la squadra militava in serie B. Princi era socio di riferimento con il 48% delle azioni.
* la Repubblica, 26 aprile 2008.
Gioia Tauro, bomba sotto auto
Grave un commerciante *
GIOIA TAURO (Reggio Calabria) - Un commerciante, Natale Princi, è rimasto gravemente ferito in un attentato dinamitardo stamane a Gioia Tauro. Secondo le prime notizie fornite dalla Polizia, sotto la vettura del commerciante è stato collocato un ordigno che è esploso nel momento in cui Princi ha avviato il motore. Il commerciante è stato ricoverato nell’ospedale di Gioia Tauro.
* la Repubblica, 26-04-2008.
Ansa» 2008-04-27 15:23
BOMBA GIOIA TAURO ’CALIBRATA PER UCCIDERE’
GIOIA TAURO - Un ordigno collocato per uccidere, ma soprattutto per lanciare ’’un segnale forte ai vivi’’. Nelle parole di un investigatore c’e’ il dato di partenza delle indagini sull’attentato di matrice mafiosa compiuto ieri mattina a Gioia Tauro in cui e’ rimasto gravemente ferito l’imprenditore Nino Princi. Gli investigatori, per risalire al destinatario del messaggio, stanno cercando di delineare il quadro degli interessi economici di Princi e dei suoi rapporti. Titolare di numerosi negozi e punti vendita di abbigliamento e maglieria, Princi, negli ultimi tempi, si stava inserendo nel settore della grande distribuzione commerciale. Princi, tra l’altro, e’ sposato con una componente della famiglia Rugolo, collegata, secondo gli inquirenti, alla cosca Mammoliti di Castellace di Oppido Mamertina. Il genero dell’imprenditore, Pasquale Inzitari, esponente politico di primo piano dell’Udc a Reggio Calabria, e’ socio nel centro commerciale ’’Porto degli Ulivi’’ di Rizziconi, uno dei piu’ grandi del reggino. La crescita imprenditoriale di Princi, e’ una delle piste prese in considerazione dai magistrati della Dda reggina e degli investigatori della polizia, potrebbe avere danneggiato gli interessi delle cosche proprio nel settore della distribuzione. Da qui l’ipotesi della vendetta maturata negli ambienti della criminalita’ organizzata della Piana di Gioia Tauro, un territorio ad alta densita’ criminale e nel quale gli investigatori temono sia in atto uno scontro tra le cosche Piromalli e Mole’, un tempo alleate. Scontro che potrebbe trovare origine negli interessi che ruotano attorno al porto container, il piu’ grande del Mediterraneo, per il quale, nei prossimi anni, sono previsti investimenti di centinaia di milioni di euro.
Sono stazionarie, ma sempre gravissime, le condizioni di Nino Princi, l’imprenditore di 45 anni ferito ieri mattina, a Gioia Tauro, dall’esplosione di un ordigno collocato sotto la sua vettura. L’uomo si trova ricoverato nel reparto di rianimazione degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. I medici, subito dopo il ricovero, sono stati costretti ad amputagli braccia e gambe per le gravissime lesioni riportate nell’esplosione. Princi ha anche perso la vista. L’esplosione, secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, lo ha investito in pieno mentre si stava recando verso la sua auto, una Mercedes, parcheggiata nel cortile della sua abitazione. L’ordigno era stato collocato sotto il paraurti anteriore e quando Princi si e’ avvicinato, qualcuno, con un radiocomando, lo ha fatto esplodere. Dai primi accertamenti compiuti sarebbe emerso che l’ordigno non era ad altissimo potenziale, ’’altrimenti sarebbe stata una strage’’, ha commentato un investigatore. Gli attentatori, evidentemente molto esperti nel maneggio di esplosivi hanno invece realizzato un ordigno ’’calibrato per uccidere’’.
Arrestato Pasquale Inzitari, candidato non eletto alle ultime elezioni E’ finita l’agonia di Nino Princi, vittima di un attentato. In carcere suo suocero
’Ndrangheta, muore l’imprenditore
In manette esponente dell’Udc *
REGGIO CALABRIA - E’ finita l’agonia di Nino Princi, imprenditore di Gioia Tauro gravemente ferito in un attentato il 26 aprile. Nino Princi aveva perso gambe e braccia e vista, e non aveva mai ripreso conoscenza.
E proprio nel giorno della sua morte, la sua famiglia viene colpita duramente. Arrestato il cognato Pasquale Inzitari, esponente dell’Udc calabrese, candidato alle ultime elezioni. Dall’indagine, che è stata condotta dalla Dda, è emersa un’associazione a delinquere costituita in famiglia.
A finire in manette, alle prime luci dell’alba, sono state due persone: Inzitari, candidato non eletto dell’Udc alle ultime elezioni politiche, e il presunto capo della cosca, Domenico Rugolo. Il genero di quest’ultimo, Vincenzo Romeo, è invece riuscito a sfuggire alla cattura. Rugolo è anche il suocero di Princi, la cui sorella ha sposato Inzitari.
Le indagini della Dda hanno riguardato in particolare le attività economiche del gruppo, ipotizzando per Inzitari il concorso esterno in associazione mafiosa e per gli altri il reato di associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni e al riciclaggio di denaro e anche agli appalti nella piana di Gioia Tauro. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati beni per oltre 15 milioni di euro tra cui otto società di capitali, sedici conto correnti bancari e undici beni immobili.
Pasquale Inzitari era stato inserito dall’Udc al terzo posto nella lista dei candidati al Senato. La segreteria nazionale del partito ha confermato "piena fiducia nella magistratura", ha deciso di sospenderlo immediatamente in via cautelativa e ha auspicato "che la giustizia faccia il suo corso rapidamente e con il massimo scrupolo".
* la Repubblica, 7 maggio 2008.