Quando al mattino spalanchi la finestra su Caracas la vita è già cominciata da un pezzo. La naturale allegria del venezuelano è un po’ intiepidita dalla soffocante situazione economica. E’ vero che il caraibico ha sempre voglia di vivere e che trova nella musica e nell’amore la giusta compensazione alla miseria in cui vive. Quando però il caraibico diventa genitore cominciano ad esistere anche le necessità dei figli, che per crescere hanno bisogno di alimentarsi e tutto il resto. In Venezuela manca il necessario oramai, da Svizzera sudamericana, come veniva chiamata, si avvia verso una situazione simile a Cuba o all’Albania . Sapete cos’è la ‘cadena’? Ve lo spiego in due parole. Chavez che a reti unificate e magari ‘sniffato’ fino ai reni parla e parla, in diretta tv, per dieci ore senza fermarsi mai, in un turbinio di parole e insulti simil Saddam. Non è vero che tutto il popolo è con Chavez, provate a entrare in qualsiasi chat venezuelana e se masticate un po’ di spagnolo l’aggettivo più usato dalla gente per definirlo è ‘el loco’ (il pazzo). Pazzo di sé, dietro una facciata comunista si nasconde un dittatore violento abituato ad atti cruenti. Parla di popolo e di povera gente ma la maggior parte sa che non è vero quello che dice. Anti Usa si dichiara perché sa di poter essere smascherato, mentre la Spagna l’ha armato fino ai denti. Pochi giorni fa le elezioni per il Parlamento. I milioni di oppositori si sono astenuti dal votare, tanto il signore avrebbe dimostrato con la forza di essere il vincitore. Lo è stato ugualmente, con il 100% dei voti perché hanno votato solo i suoi e sapete quanti erano i votanti di quelli aventi diritto? Erano soltanto il 25%, del 75% restante cosa vogliamo farne? Bugiardi i sinistroidi italiani che asseriscono che Chavez sta con il popolo, bugiardi e noi venezuelani lo sappiamo. Vergognatevi a dirlo, lui non sta con noi. Noi abbiamo bisogno di cibo e di poter vivere, lui ci sta portando alla deriva. E’ questo il vostro concetto di Comunismo che volete anche per l’Italia? Ma la vostra propaganda politica è basata soltanto sulle bugie? Hugo Chavez è un altro falso comunista preso ad esempio anche dalla sinistra italiana e per noi, che di politica non ci occupiamo se non per denunciare quando stiamo male, prendiamo le distanze dalla sinistra se averla al governo significa soltanto distruzione, oppressione e miseria nel nostro Paese bellissimo. Chiedetelo ai venezuelani, per la strada, chiedetelo voi cari turisti quando siete a Margarita o a Los Roques o passeggiate nei shopping centers di Caracas e vi renderete conto di come sia falsa la propaganda elettorale della sinistra italiana.
Cosmo de La Fuente
VENEZUELA BOLIVARIANO: IL CHAVISMO VINCE ANCHE SENZA CHAVEZ *
37436. CARACAS-ADISTA. Le ha tentate tutte il leader dell’opposizione venezuelana Henrique Capriles per rovesciare il governo bolivariano: prima disconoscendo il risultato delle elezioni vinte da Nicolás Maduro con uno stretto margine di voti e scatenando un’esplosione di violenza dal bilancio pesantissimo; poi promuovendo una strategia mirata a destabilizzare il Paese - ribattezzata dai chavisti “guerra economica” - e a diffondere, soprattutto all’estero, l’immagine di un Venezuela ormai in rovina, e nello stesso tempo cercando con grande energia una sponda in Vaticano, fino a farsi ricevere in udienza da papa Francesco; infine, sicuro della vittoria, tentando di trasformare le elezioni municipali dell’8 dicembre in un plebiscito sul governo, per accelerarne la caduta.
Gli è andata malissimo: la netta vittoria del fronte chavista - sei punti di vantaggio, su base nazionale, rispetto alla coalizione di destra e oltre il 75% dei municipi conquistati (malgrado la dolorosa perdita di Barinas, Valencia e Barquisimeto) - gli si è rivoltata contro come un boomerang, cosicché, come ha indicato il diplomático venezuelano Arévalo Méndez Romero, «ad essere delegittimato non è stato il governante, ma l’oppositore aspirante tale», sconfitto per la quarta volta consecutiva in 15 mesi, e quest’ultima volta in maniera tanto più amara in quanto inattesa, pensando Capriles di poter far leva sullo scontento provocato dalle difficoltà economiche in cui si dibatte il Paese. Scontento, tuttavia, non abbastanza profondo da mettere a repentaglio le tante conquiste sociali realizzate dalla rivoluzione bolivariana, e a cui il governo Maduro ha dimostrato di saper dare continuità.
Tuttavia, come scrive il giornalista e militante bolivariano Rafael Rico Ríos su Rebelión (9/12), non si è trattato, propriamente, neppure di una vittoria del governo Maduro, a cui va anzi rimproverato più di un errore, in termini di inefficienza e di mancanza di programmazione: «Non è stata una vittoria del governo, ma una vittoria ideologica», scrive Rico Ríos evidenziando come il popolo venezuelano, benché orfano del suo leader storico, «abbia assimilato con grande maturità e chiarezza il significato della lotta di e della contrapposizione tra due modelli economici», mostrando di saper ben distinguere tra «la difesa degli interessi di da parte dell’oligarchia e i possibili errori commessi dall’attuale governo.
Pertanto, se qualcosa non può fare ora il presidente è adagiarsi sugli allori: chiedendo e ottenendo dall’Assemblea nazionale, nel novembre scorso, l’approvazione della Ley Habilitante (che, come previsto dalla Costituzione, gli conferisce la possibilità di governare per decreto per un anno) Maduro si è assunto il compito di fronteggiare l’assalto della destra contro l’apparato produttivo del Paese, condotto attraverso la speculazione, l’accaparramento dei beni di prima necessità, alimenti compresi, il contrabbando e il mercato nero delle valute, e di trovare soluzione ai problemi mai risolti, come la corruzione, l’insicurezza e una spaventosa inflazione (a cui però andrebbero aggiunti anche lo scarso impulso all’industra nazionale, l’eccessiva dipendenza dal petrolio, i guasti legati al modello estrattivista).
Già nei giorni precedenti alle elezioni, del resto, Maduro aveva lanciato un’offensiva - risultata determinante per la vittoria elettorale - contro «i responsabili della rapina ai danni del popolo», imponendo prezzi giusti per i generi di consumo, oggetto di speculazioni e aumenti ingiustificati, e intervenendo sui margini di profitto e sull’utilizzo dei dollari statunitensi che lo Stato concede alle imprese. E, all’indomani della vittoria, ha annunciato un nuovo impegno sul fronte della politica abitativa, della sicurezza e del miglioramento del sistema ospedaliero, nonché la ripresa di quel dialogo con la popolazione, ribattezzato “governo in strada”, intrapreso dal presidente appena tre giorni dopo il suo insediamento, quando percorse in lungo e in largo il Paese per discutere con il popolo di salute, educazione, politiche abitative, potere popolare.
Un cambio di passo, tuttavia, è quello che chiede Felipe Pérez Martí, già ministro della pianificazione economica nel governo Chávez negli anni 2002-2003 e convinto sostenitore degli ideali della Rivoluzione Bolivariana, secondo il quale, se Hugo Chávez «ha fatto molte cose bene», ha tuttavia anche commesso alcuni errori, a cominciare dalla sottovalutazione del tema della sostenibilità macroeconomica: quello che il governo è chiamato a fare ora, scrive (Financial Times, 11/12), è una profonda revisione della politica economica, mettendo mano all’enorme deficit fiscale, allo squilibrio cambiario e alla riforma del fisco. Se «Hugo Chávez è stato fonte di ispirazione per milioni di persone che, in Venezuela e nel mondo, credono che la giustizia sociale debba essere il cuore del contratto sociale di una società», il miglior modo «di preservare la sua eredità non è ignorare i problemi macroeconomici del Paese, ma porvi rimedio». (claudia fanti)
* Adista Notizie n. 45 del 21/12/2013
.-Venezuela, quarto mandato per Chavez
Il presidente si riconferma col 54,4%, Capriles al 44,4% *
CARACAS, 8 OTT - Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo vincendo le presidenziali col 54,4% dei voti. Il suo sfidante Henrique Capriles ha avuto il 44,4% delle preferenze. ’’Grazie al mio amato Pueblo! Viva Venezuela! Viva Bolivar!’’, ha commentato a caldo su Twitter il leader bolivariano.
AMERICHE - mondo
Chávez sì, Chavez no. In Venezuela è arrivata l’ora della scelta
di Geraldina Colotti (il manifesto, 6.10.2012)
Domani 19 milioni di venezuelani potranno decidere se confermare per la quarta volta l’attuale capo di stato o puntare sul candidato dell’opposizione. "Fame zero" e classe media: entrambi gli schieramenti invadono il campo avverso Gli indecisi sarebbero circa il 30% dell’elettorato. Si vota con un sistema giudicato a prova di brogli
«Vigileremo a che tutto si svolga in pace e con allegria». Con queste parole, Tibisay Lucena, presidente del Consejo Nacional Electoral (Cne), ha ufficialmente chiuso la campagna politica per le elezioni presidenziali in Venezuela, a mezzanotte di giovedì. Domani, 18 milioni e 900.000 aventi diritto potranno decidere se riconfermare per la quarta volta l’attuale capo di stato, Hugo Chávez Frias, o puntare sul candidato di opposizione, Henrique Capriles Radonski, che corre per la coalizione di centrodestra Mesa de la unidad democratica (Mud). In ogni caso, affideranno le loro preferenze a un sistema elettorale automatizzato, unanimemente riconosciuto a prova di brogli.
Nella IV Repubblica - prima che Chávez venisse eletto, nel 1998, con il 56% delle preferenze - per votare bastava mostrare la tessera. Adesso, prima di entrare nell’urna, ogni elettore deve lasciare la propria impronta digitale, che viene confrontata con quella custodita nel database generale, utilizzato per il rilascio della carta d’identità. Poi, per evitare il doppio voto, l’impronta viene registrata nell’archivio telematico il cui software è criptato: prima di installarlo, sono stati convocati gli schieramenti politici, ognuno dei quali ha ricevuto una password. La conta dei voti si fa a riscontro con il calcolo della macchina.
Un sistema elettorale maturo
Il sistema elettorale oggi «è sufficientemente maturo da non richiedere osservatori internazionali», ha affermato Tibisay Lucena, e perciò il Cne non ha rivolto inviti in questa forma. In compenso - ha aggiunto - sarà presente l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) per una «missione di accompagnamento» che implica «rispetto e considerazione tra pari». In questo quadro, il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) ha accreditato circa 51.000 invitati da ogni parte del mondo. L’opposizione, intorno ai 52.800.
Diversi rappresentanti della Mud si sono espressi contro la modalità di voto elettronico perché - dicono - intimorisce gli elettori. Però hanno scelto di utilizzare il sistema anche per le loro primarie interne. Un’ambivalenza che ha caratterizzato anche la campagna elettorale dell’opposizione. In quasi 14 anni, il governo "bolivariano" ha avuto il sostegno del voto popolare: 13 elezioni vinte e solo un referendum perso, per un pugno di voti. Per spazzarlo via, la destra ha giocato un po’ su tutti i tavoli: quello del golpe a guida Usa (2002) e della micidiale serrata petrolifera (2002-2003); quella del referendum per revocare Chávez (2004); quella del boicottaggio elettorale e del discredito, basato sul controllo che le deriva dai principali mezzi di informazione.
Sui siti della Mud, il modello delle «rivoluzioni arancioni» costruite nelle stanze dei poteri forti e i consigli di Gene Sharp che spiega nei suoi libri come innescarle, spopolano. Per quest’ultima tornata di elezioni (alle presidenziali seguiranno le regionali, a dicembre, e le comunali, ad aprile 2013), il blocco di centrodestra ha però deciso di rifarsi il look: avvalendosi - ha scritto la stampa di San Paolo - dei consigli del pubblicitario brasiliano Renato Pereira, capo strategia dell’impresa Prole.
Il volto presentabile del centro
Capriles - rampollo delle grandi famiglie, attivissimo nel golpe del 2002, uomo di destra proveniente dalle fila del partito Primero Justicia - si è presentato allora come il volto accettabile del moderatismo centrista: appetibile per i mercati internazionali e per quanti vedono come il fumo negli occhi qualunque tentativo di scalfire i grandi monopoli. Si è ammantato, anche, di un po’ di vernice progressista. Così, il programma della Mud («Petroleo para el progresso») che mira a riconsegnare il paese nelle mani dei grandi potentati economici, sostiene anche di voler mantenere (ma in termini assistenziali) alcune delle misure sociali portate avanti dal governo Chávez: non certo la nuova legge sul lavoro, che garantisce ampi diritti ai lavoratori e contro la quale si sono scagliate le imprese. Non la riforma tributaria, che prevede maggiori controlli fiscali e contro la quale i grandi imprenditori hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale. E tantomeno il piano di edilizia popolare della Mision vivienda. Si parla di un «Plan Hambre Cero», con un richiamo al programma «Fame zero» adottato in Brasile durante la presidenza di Lula da Silva. Capriles è d’altronde arrivato a dichiarare a più riprese la sua simpatia per l’ex presidente del Brasile, cercando di accreditare un presunto sostegno brasiliano alla sua linea politica. Solo che, in diretta dal Foro de São Paulo, dov’erano presenti tutte le sinistre latinoamericane, Lula ha espresso invece il sostegno totale del suo partito e il proprio personale alla candidatura di Hugo Chávez: «La sua vittoria sarà la nostra vittoria», ha dichiarato fra gli applausi Lula.
In basso a sinistra
Una politica della confusione, quella della destra, ben sintetizzata dallo slogan elettorale scelto da Radonski, «In basso a sinistra»: una indicazione per la scheda elettorale dov’è situato il suo simbolo, ma anche un richiamo (quantomai incongruo, dato il pedigree del personaggio e dei suoi alleati) alla campagna zapatista contro il verticismo dei governi.
Trasformismi per cacciare voti anche fra i ceti popolari, fidando sull’inevitabile usura del governo Chávez e sulla platea degli indecisi, valutata intorno al 30% dell’elettorato. Un dato enfantizzato oltremisura per delegittimare l’eventuale vittoria chavista, sostiene il campo della sinistra. In estate, persino un sondaggio di Datanalisis (appartenente a Vicente Leon, che sostiene l’opposizione) ha dichiarato che il 62% dei venezuelani considera positivo il bilancio del governo Chávez e lo rivoterebbe. Ma poi, altre inchieste di medesima provenienza hanno registrato una progressiva erosione del vantaggio tra l’attuale presidente e il suo sfidante.
Anche il governo bolivariano ha cercato di pescare nel campo avverso, mettendo fortemente l’accento sulle misure erogate a favore della classe media. Chávez ha peraltro condotto una campagna elettorale all’insegna del «Plan 1×10?», ovvero sull’impegno a moltiplicare per dieci ogni attivista bolivariano. E senza trionfalismi: «Vinceremo, ma non abbiamo ancora vinto. Non bisogna abbassare la guardia», ha affermato nell’ultima settimana di comizi. Entusiasmo da stadio
Per il discorso conclusivo di giovedì, Capriles ha scelto l’Avenida Venezuela di Barquisimeto, nello stato Lara, una delle più grandi strade del paese. Il mare di camicie rosse che sostiene «il processo bolivariano» ha invece invaso, simbolicamente, sette vie di Caracas, per affluire infine in Piazza Bolivar ad ascoltare il discorso di Chávez: «Il 7, sarà 7 a zero», dicevano i cartelli in piazza, sintetizzando l’entusiasmo da stadio che investe il paese a ogni tornata elettorale. Di fronte alla folla che lo acclamava sotto una pioggia battente, il "comandante" ha invitato questa «moltitudine bolivariana» a manifestarsi nelle urne: «In questo modo - ha concluso - gli daremo una bella batosta».
CHAVEZ O BARBARIE
di Fulvio Grimaldi *
Nella nostra condizione di schiavi coloniali non riuscivamo a vedere che la “Civiltà Occidentale” nasconde dietro alla sua scintillante facciata una muta di jene e sciacalli. E’ l’unico termine da applicare a chi si aggira per realizzare “compiti umanitari”. Una belva carnivora che si nutre di genti disarmate. Ecco cosa fa all’umanità l’imperialismo. (Che Guevara, all’Assemblea Generale dell’ONU, 1964)
* VEDI: CHAVEZ O BARBARIE | Informare per Resistere
http://www.informarexresistere.fr/2012/10/04/chavez-o-barbarie/#ixzz28dbk1Vuu
Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Esce in lingua italiana il testo di Alan Woods VENEZUELA, UN LIBRO PER CONTINUARE A DISCUTERNE di Claudio Bellotti (Liberazione, 26.02.2006)
Gli avvenimenti continuano a marciare rapidamente in Venezuela e nell’America Latina tutta. La vittoria di Evo Morales in Bolivia rappresenta un nuovo punto di svolta in un processo continentale che non dobbiamo esitare a definire rivoluzionario. C’è un filo rosso chiaramente riconoscibile negli avvenimenti che almeno dal 2000 scutono il continente. Il movimento si è espresso in tutte le forme possibili, dalle rivolte di massa (Argentina, Ecuador, Bolivia), fino al terreno elettorale e parlamentare; si affacciano idee che l’ideologia dominante aveva dichiarato seppellite dalla storia; in centinaia di fabbriche e aziende si discute di esproprio, di nazionalizzazione, di controllo operaio, e si tenta di mettere in pratica una risposta operaia alla devastazione economica e sociale portata dalla crisi capitalista; si dibatte non fra ristrette avanguardie, ma a livello di massa, di riforma agraria, di nazionalizzazione delle risorse strategiche. In Bolivia la parola d’ordine della battaglia per il gas, nacionalizar y luego industrializar, è la bandiera di un movimento che trova le sue radici nelle rivolte per l’acqua di Cochabamba e che nel 2003 e nel 2005 ha rovesciato, lasciando sulle strade centinaia di morti, due presidenti sostenuti dagli Usa e che oggi vota massicciamente Evo Morales alla presidenza. Non è un caso se tanti osservatori hanno descritto il recente Forum sociale mondiale di Caracas come “il più radicale” che si sia tenuto in questi dei anni. Si apre un dibattito non sul bricolage sociale di questa o quella iniziativa di solidarietà, ma sull’alternativa all’imperialismo, al capitalismo, sul “socialismo del secolo XXI”.
Le forze riformiste in Europa hanno in questi anni tentato con ogni mezzo di isolare e sconfiggere il processo rivoluzionario bolivariano. Il Psoe spagnolo, i Ds, il Labour di Blair avevano sostenuto, più o meno apertamente, il golpe dell’aprile 2002 e la serrata padronale del dicembre dello stesso anno, che tentava di ripetere lo scenario cileno del 1973; sconfitti sul campo da una gigantesca mobilitazione di massa, ribadita la vittoria del movimento con il referendum dell’agosto 2004, non restano loro che la congiura del silenzio o le campagne di disinformazione.
Ma anche qui le cose cominciano a cambiare, di quanto accade in Venezuela si parla sempre di più anche in Europa, fino al punto che il congresso delle Trade Unions britanniche vota (cosa impensabile fino a tempi recenti) una mozione di solidarietà con la rivoluzione bolivariana in cui oltre a criticare aspramente le ingerenze di Washington, si impegna a stabilire legami con la Unt (la nuova federazione sindacale venezuelana fondata dopo che la Ctv si era schierata a favore dei golpisti nel 2002). Un ordine del giorno analogo è stato discusso in diversi congressi locali e di categoria della Cgil e dovrebbe essere portato al dibattito anche nel congresso nazionale della confederazione.
Di tutto questo si deve continuare a parlare, di più e meglio. In primo luogo, perché la rivoluzione bolivariana ha bisogno del nostro sostegno politico, militante, di fronte a un’aggressione che non rifugge dalle minacce di morte contro Chavez (ancora recentemente rilanciate dal “reverendo” cristiano fondamentalista Pat Robertson), alle provocazioni e alla cospirazione.
Soprattutto dobbamo discuterne perché nella nostra migliore tradizione, le risposte ai difficili compiti che abbiamo di fronte le dobbiamo cercare non solo nei libri, nei documenti o nei convegni, ma in primo luogo apprendendo dall’esperienza viva e in pieno sviluppo dei movimenti reali, così come si manifestano sotto i nostri occhi, attraverso lo studio rigoroso e la partecipazione attiva.
Va in questa direzione un’iniziativa editoriale della quale, assieme ad altri compagni, mi sono reso partecipe: la pubblicazione in lingua italiana del libro di Alan Woods LA RIVOLUZIONE VENEZUELANA. UNA PROSPETTIVA MARXISTA (AC Editoriale). 14 articoli e un’ampia introduzione che ripercorrono gli avvenimenti compresi fra il golpe fallito e il referendum del 2004. Un libro militante che si sta presentando in decine di iniziative locali e che speriamo possa contribuire a mantenere aperto un dibattito decisivo per tutti noi.
Io penso invece che sia IMMORALE parlare e difendere una ideologia, come quella COMUNISTA, che ha provocato nella storia recente 250 MILIONI di morti !!!
La mia solidarietà a Cosmo de La Fuente, ringraziandolo per la sua preziosa testimonianza.