Emigrazione

San Giovanni in Fiore: l’emigrazione ha portato la comunità locale a quasi 9 mila stabili su 18 mila residenti. Ci sono responsabilità istituzionali molto precise e anomalie che toccano perfino la magistratura dello Stato

giovedì 5 gennaio 2006.
 

Da Milano, Bologna, Firenze e altre città italiane del centro-nord, migliaia di residenti sono rientrati a San Giovanni in Fiore, capoluogo, in Calabria, dei trasferimenti per lavoro. Nella città silana, la disoccupazione ha raggiunto livelli spaventosi: la metà della popolazione, pari a 18 mila abitanti, è ormai fuori sede. Il dato è tanto pesante da meritare attenzione sulla stampa. Nonostante la recessione mondiale, i flussi migratori determinati dal nuovo mercato globale e le migliori condizioni dei trasporti, del fatto non può ignorarsi la drammaticità, come invece usa, da un pezzo, la maggioranza al governo locale, collocandolo in un inevitabile contesto generale, economico e politico, in virtù del quale lo spopolamento in atto sarebbe normale, naturale e perfino logico. San Giovanni in Fiore continua a perdere, ogni mese, giovani laureati e, addirittura, intere famiglie, le quali, per ragioni d’occupazione o d’assistenza sanitaria, sono obbligate a partire. In città, sono rimasti solo pensionati, studenti destinati, dopo il diploma, a raggiungere il settentrione e dipendenti pubblici. L’impresa, a eccezione di Tonino Amelio, Pino Biafora, Mimmo Parrotta, Giovambattista Spadafora, Emilio Arnone e Mario Silletta coi soci, intelligenti e coraggiosi imprenditori che investono produttivamente ingenti capitali, è assolutamente ferma e non in grado di creare cooperazioni o aprire spazi nell’offerta turistica e culturale. Questa realtà è indubbiamente il prodotto di decenni di politica caratterizzati dalla perpetuazione, a opera delle sinistre, d’un assistenzialismo a macchia d’olio, il quale, quasi totalmente, ha cancellato la tradizionale dedizione al lavoro del popolo florense, generando un evidente sradicamento collettivo rispetto alla storia e alla cultura del posto. Ciò è stato raggiunto elargendo, in modo assai dubbio ed esteso, mensilità a fondo perduto e inducendo le masse al consumo. Difatti, nonostante che il sindaco Nicoletti ricorra a paragoni con la realtà economica dei bassifondi partenopei, la presenza, in città, d’una ventina di autosaloni e la disponibilità di due cellulari a persona mostra inconfutabilmente quanto la sinistra abbia costruito, con una politica contraria al Welfare, un popolino riconoscente e supino, pago delle possibilità d’acquisto di beni materiali superflui e ancora legato a quel familismo amorale descritto dall’antropologo Banfield, nella sua famosa e vecchia indagine in Lucania. Una battaglia civile per la garanzia di diritti e servizi, in simili condizioni, è assolutamente impensabile. L’ospedale sta chiudendo, al cimitero si registrano palesi forzature come nelle concessioni edilizie, i cori notturni dell’abbazia florense restano inaccessibili e improduttivi per strani motivi, l’ambiente continua a essere deturpato anche con l’approvazione del potere istituzionale, il quale bada a persuadere gli indigenti, è accaduto più volte in consiglio comunale, “che questo territorio è disgraziatamente povero e sfortunato” e ha dunque bisogno della carità statale. Inoltre, le infiltrazioni mafiose, assodate, che si sostanziano in presumibili attività di riciclaggio e sicuramente nel commercio di droga, di cui, nell’estate scorsa, si sono avute prove eloquenti con minacce ripetute e atti intimidatori a privati, non hanno trovato alcun argine istituzionale né la politica, che ha risposto con un solo consiglio comunale straordinario, ha fornito informazioni sullo stato delle indagini e sul monitoraggio del territorio da parte delle forze dell’ordine. Gli ambienti lavorativi, lo dicono quelli del Movimento dei disoccupati, sono spesso segnati dall’assenza di assicurazioni e regolari rapporti di diritto e di fatto coi datori. Saverio Alessio, esperto di cad ed ex percettore del Reddito minimo, ha perso una causa di lavoro contro la Sag, società di agronomi, giunta a sentenza, al primo livello di giudizio, dopo sei anni. Secondo il giudice di merito, il suo apprendistato a quarantadue anni era pagato dal Comune con uno specifico programma d’inserimento collegato al Reddito minimo, dipendente, invece, dal governo centrale e mai utilizzabile in questo modo. Secondo Alessio, il suo difensore lo ha informato dell’esito della sentenza, a sette mesi dalla pubblicazione, quando non era più possibile ricorrere in appello. La stessa Sag era incaricata della gestione del Fondo sollievo, con specifico e legittimo accordo col Comune, sulla base di progetti di cui occorre verificare la sostanza, anche per escludere definitivamente i sospetti che gravano attorno alle risorse disponibili, venendo a mancare le quali il centrosinistra locale accese un mutuo, per anticipare gli stipendi degli operai, di alcuni miliardi di lire. C’è qualcosa che non funziona, allora, a livello etico e politico, qualcosa che non va per niente e che, col silenzio della società civile e un certo appoggio d’una parte della Chiesa locale, sta determinando, indipendentemente dall’economia su scala globale, impoverimento totale e nuova, poderosa emigrazione.

Emiliano Morrone


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