Editoriale

La strategia di Contrada. Querelare Salvatore Borsellino per un effetto mediatico a suo vantaggio?

giovedì 31 luglio 2008.
 

Bruno Contrada, ex agente segreto condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, sta querelando Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ucciso a Palermo nel 1992.

Lo ha reso noto il suo legale. C’era da aspettarselo. Spero che Contrada sia coerente con questo proposito e, anzi, lo esorto a presentare in fretta la sua accusa. La formalizzi e si assuma la responsabilità, ora che ha gli anni e sostiene d’essere stremato, di citare per falso Salvatore Borsellino. Avrà contro l’Italia dei giusti, Contrada. E questo è già in conto, a mio avviso.

A rischio, a mia volta, d’una querela, interpreto la notizia dell’azione contro Borsellino come probabile, pura strategia d’un colpevole, un colpevole eccellente, riconosciuto tale dalla Corte di Cassazione.

Normalmente, scarcerato, Contrada avrebbe dovuto restare in silenzio ed evitare di inserirsi nell’agone mediatico.

Contrada collaborò con la mafia, e questo non lo dice la piazza ma la giustizia, chiusa la sua vicenda, repetita, al terzo e ultimo grado. Colpevole. Contrada, cioè, non fu innocente, non fu casto, non fu esemplare servitore dello Stato, al contrario di ciò che qualcuno fa passare su certi siti in rete.

Contrada colpì anzitutto lo Stato, e lo fece dall’interno stesso dello Stato, da uomo dello Stato, da poliziotto speciale pagato per scovare e bloccare ogni attacco allo Stato.

Andiamo per ordine. Perché Contrada vuole querelare Salvatore Borsellino? Le agenzie riportano dichiarazioni dell’avvocato, secondo cui il punto dolente è in recenti affermazioni di Borsellino relative all’idea che il fratello Paolo aveva di Contrada. Un’idea non affatto rassicurante, per usare un eufemismo. Contrada, quereli anche me, per aver concorso in diffamazione, in questo caso aggravata dal mezzo. Ai blogger seri, l’invito a ribadire lo stesso concetto, moltiplicandolo su Internet.

Paolo Borsellino non pensava che Contrada fosse un santo.

Ora devono parlare il presidente del Senato e il ministro della Giustizia, che hanno commemorato Paolo Borsellino il 19 luglio scorso. Perché il punto è questo: o il giudice era un visionario e un pessimo interprete della giustizia, e in tal caso non andava onorato da alte cariche dello Stato, oppure diceva il vero, e per questo non si può tollerare il silenzio ai vertici della Repubblica.

Forse, qualcuno, conoscendo i meccanismi dell’informazione, ha spinto Contrada a giocare la carta dello scontro con Salvatore Borsellino, oggi il riferimento per tantissimi giovani impegnati nell’antimafia. Di regola, il clamore suscita attenzione, commenti, curiosità, collocazioni.

Stiamo attraversando una fase critica, dopo l’incredibile trasferimento di sede e funzioni in capo al pm Luigi De Magistris. In politica, l’ormai famosa «casta», non è affatto vincolata all’elettorato nella sua interezza, ai cittadini, per usare concetti costituzionali (Giorgio Berti).

Che ogni parlamentare rappresenti la Nazione senza vincolo di mandato è più che dubbio, visto che la composizione di Camera e Senato è avvenuta mediante una legge di voto al di fuori dei princìpi democratici universali.

Se Contrada porta Salvatore Borsellino in tribunale, può apparire all’opinione pubblica come parte lesa. E, si sa, da quando in Italia c’è l’accentramento assoluto dell’informazione e della cultura, la memoria degli italiani va a farsi strabenedire, col risultato che un colpevole può diventare martire e un martire risultare colpevole.

Conosciamo, è datato, il vittimismo del presidente del Consiglio, che, di là da ogni partigianeria, sta prodigandosi perché della magistratura si abbia una sfiducia di massa. Questo atteggiamento è trasversale e lo abbiamo focalizzato subendo la solidarietà parlamentare all’ex ministro Clemente Mastella, riverberata dalla tv pubblica, pagata per obbligo dagli italiani.

L’Italia è veramente la negazione assoluta della democrazia: siamo in un tempo di assurdità e pericoli progressivi, tra poco dovremo tacere e restare asserviti ai poteri forti, se la politica riuscirà a comprimere e annullare, come sta avvenendo, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

O Contrada vuole intimorire Salvatore Borsellino e fermarlo nella sua missione di portavoce dell’eredità di Paolo Borsellino, le querele sono sempre rogne; oppure prova a entrare negli ingranaggi dell’informazione, che ribaltano, riabilitano, creano consenso.

Che un anziano sofferente sia dipinto in un certo modo negli interventi pubblici di Salvatore Borsellino, che però soltanto ripete le parole di Paolo, è una situazione favorevole rispetto a cui calcare la mano. La nazione non sa, ed è ancora molto influenzabile. "L’ha detto la televisione" è il motto che nel Belpaese vale a giustificare l’ignoranza dilagante, individuale e collettiva, surrogando il celebre "ipse dixit".

Il piano è giocare sui sentimenti nazional-popolari per delegittimare l’azione antimafia di Salvatore Borsellino?

C’è nelle masse una schizofrenia della pietà: quella per Contrada, quasi ottantenne e smagrito dal carcere, e quella per Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia (Michele Barillaro) e da pezzi dello Stato (Vincenzo Calcara, Gaspare Mutolo, Salvatore Borsellino).

E bisogna decidersi da che parte stare, dal momento che non si può essere in un tempo per Paolo Borsellino, ricordando l’orribile sua morte insieme agli agenti della scorta, e per Bruno Contrada, toccati dalla sua condizione fisica.

A questo punto, attendendo una solidarietà dello Stato per Salvatore Borsellino, vittima per la seconda volta, dopo l’annuncio della querela di Contrada, ci chiediamo se non ci sia un disegno - guardando anche alla sostituzione del giudice Morvillo a Marsala, al proscioglimento di indagati in "Poseidone" e all’imminente uscita del pm Bruni dalla conduzione di "Why not" -, accreditato anche dall’isolamento politico di Antonio Di Pietro, per distruggere il senso dello Stato espresso da una società civile sana e legalista.

Ci chiediamo se l’epoca delle ombre, di gelliana memoria, non si stia riproponendo in Italia con maggiore carica devastante e se i fondamenti della democrazia non vengano distrutti mediante l’annientamento della vigilanza critica diffusa, ribattezzata, per comodità, col termine ingannevole di antipolitica.

27 luglio 2008

Emiliano Morrone

Con Salvatore Borsellino

Aldo Pecora

Ammazzateci tutti

Benny Calasanzio

Sonia Alfano

La Voce di Fiore


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