Editoriale

Il partito nazionale, l’immobilismo nel Pd sulla sanità florense e il «cannone nel cortile»

domenica 7 febbraio 2016.
 

Le cose vanno dette, scritte, ripetute, condivise. Vanno ricordati i fatti, esaminati, confrontati, incisi per i posteri.

Partiamo da un assunto: la Calabria è l’ultima regione d’Europa; per tutela dei diritti, qualità dei servizi, crescita culturale, economica e sociale. Non è cambiato un tubo, non c’è novità nella politica del «palazzo», in cui la presenza di più giovani non ha sanato metodi e pratiche ributtanti.

Si naviga a vista nella nuova sede della Regione, costata una «cittadella» di denari in un tempo di truffe, svalutazione dell’euro e asservimento delle masse, che campano come i randagi tra avanzi nei rifiuti.

A Roma hanno creato il partito trasversale degli affari, sicché dopo un’era di marginalizzazione di questo Sud estremo, ancora nostro, siamo giunti all’atto finale. Dal centro, intendo, partirà l’ultimo ordine d’imperio e saranno razzie ovunque: di risorse, beni, desideri, possibilità. La Calabria sarà sottomessa per sempre; la sanità pubblica verrà infossata dai delegati del governo, quegli Scura e Urbani che da un anno gestiscono in de-lirio il piano di rientro, nel silenzio tombale delle forze politiche, tolti la deputata Nesci e i 5 stelle. Ne seguiranno la sorte il trasporto, l’istruzione, l’ambiente e la memoria di tutto: della storia, dei luoghi, dei costumi di una gente divisa, in esilio perpetuo.

A Cosenza hanno già sperimentato la trama di ciò che avverrà tra non molto. I comitati d’affari contribuiranno, allora, a erodere il residuo della democrazia, cioè la legittimazione dei governanti col voto nominativo.

Tanti non l’hanno colto: le elezioni sono divenute un rito formale, mentre il potere delibera tagli, tasse e altri prelievi per i cittadini, assieme a vantaggi alle banche, autorizzate a uccidere impunemente. Di contorno, signorotti di quartiere prestano la mano a golpe di contado e provincia, facendo saltare consigli, giunte, rappresentanze popolari.

C’è soltanto una via d’uscita, almeno secondo noi. La lotta è culturale: da una parte apriranno il conflitto l’idiozia e la soddisfazione di creta, i consumi e il vuoto esiziale, la noia, i diversivi di stupidità ed evanescenza; dall’altro, invece, replicheranno l’esercizio costante della critica, l’analisi di profondità, il coinvolgimento quotidiano, il sussulto delle coscienze, la voce del coraggio (e) della verità. Sarà uno scontro continuo, pesante e micidiale, tra opportunisti e utopisti. I primi giustificheranno ogni piccolo orrore in questo lembo di Mezzogiorno, ogni mattone levato all’edificio della ragione collettiva, della morale universale, della speranza dei più deboli. Gli altri, invece, proseguiranno imperterriti: obietteranno, scriveranno e informeranno, trascinati dal sogno di rivoltare il sistema, dal bisogno di libertà, da un tormento vitale che si chiama «segno» o «eredità», o «esempio civile».

Da dodici anni il nostro giornale, «La Voce di Fiore», vive di ideali, pretese rivoluzionarie, contenuti, visioni pleromatiche. Dagli inizi, da una periferia virtu-reale del pianeta, «Fiore», appunto, affrontiamo i problemi del territorio con sguardo parallelo ai cambiamenti del - e nel - mondo.

Da principio abbiamo battuto i tentativi della politica locale di confinare, limitare e occultare la nostra azione culturale, centrata sul concetto di giustizia intra-terrena che emerge dall’opera esoterico-simbolica dell’abate florense Gioacchino da Fiore. Da allora abbiamo sviluppato la nostra azione con la denuncia, la proposta dell’alternativa e la testimonianza; senza venderci, senza cedere a lusinghe, senza lasciare un solo millimetro all’avversario (politico).

Non ci impressiona, perciò, il leitmotiv della nuova dirigenza del Pd locale, da Tonino Candalise a Mirella Lopez e Domenico Lacava, che seguita a opporre il riferimento elettoralistico come demarcazione tra legittimazione politica e obbligo di acquiescenza. Non v’è ragione per cui la politica sia riservata per statuto agli eletti dal popolo; i soli, nella teoria di questi personaggi del Pd, a poter dire, facere, narrare.

Noi vi sfidiamo sul terreno che ci è più congeniale, cioè sugli argomenti. Voi vi riconoscete in un soggetto collettivo, il Partito democratico, che ha tradito gli operai, i poveri e gli emarginati, per garantire un manipolo di imprenditori rapaci che impediscono lo sviluppo del Paese.

Come altri, voi siete disposti a tacere, pur di seguire il partito, che vi tiene sotto l’ala protettiva del potere di governo, costruito e alimentato dalle grandi banche.

Signori miei, voi e gli alleati su piazza non potete essere portatori di interessi collettivi: se chiamati a scegliere tra il partito e il popolo, vi schierate meccanicamente col primo. Lo avete fatto negando a San Giovanni in Fiore il recente consiglio comunale aperto sulla sanità, come dimostra l’atteggiamento del presidente dell’assemblea consiliare, Domenico Lacava, davanti alla mia richiesta di un impegno diretto per lo svolgimento di una seduta pubblica in proposito. Lacava sa bene d’aver tergiversato, di non aver risposto a tema e d’aver atteso lo scudo del partito, prima di uscire con una posizione timorosa quanto contraria ai bisogni del popolo.

Vi sta bene chinare il capo e impiegare fiumi di parole per coprire, celebrandovi a vicenda, la dipendenza viscerale dal partito. Pur al governo nazionale e regionale, il Pd non ha fatto nulla per ricuperare la sanità locale, se non illudere i più che una fantasiosa «chirurgia sperimentale» sul posto possa risolvere ogni lacuna, ogni falla della rete dell’assistenza.

Il vizio è sempre il solito: spararla grossa perché oggi non si controlla la fondatezza e il seguito delle promesse politiche. Ma vi è andata male, perché noi vi stiamo addosso e, dopo avervi testato per otto mesi, ora possiamo ritenervi - in ambito politico - semplici giocatori di poker con l’ossessione della visibilità. A meno che non voltiate pagina.

State attenti, perciò: evitate altri errori. Sulla sanità non si scherza, i guai sono troppi in Calabria. Tornate indietro: aprite un confronto pubblico sui nodi del sistema, che sono diversi e gravi. Il popolo deve poter intervenire, deve suggerire, rappresentare fatti, problemi e soluzioni, caro sindaco Pino Belcastro.

Non chiudetevi a riccio, o saremo costretti ad alimentare il nostro «cannone nel cortile».

Emiliano Morrone

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