[...] Gobetti soleva dire in una forma apparentemente paradossale che l’Italia non ha mai avuto, ma deve ancora avere un vero regime liberale, che l’Italia deve ancora fare la sua vera rivoluzione: la rivoluzione liberale. Rivoluzione liberale fu il motto di Gobetti - e Rivoluzione liberale fu il titolo del periodico che egli cominciò a pubblicare nel febbraio 1922. Chi è stato giovane vent’anni or sono ricorda la lieta sorpresa e l’entusiasmo suscitati dall’apparizione di questo giornale che parlava della tradizione liberale italiana con tanta novità e freschezza. Scriveva allora Gobetti: «L’abolizione della lotta politica nell’esaltata unanimità delle folle è un regresso evidente perché non si possono elaborare idee politiche quando gli uomini che le pensano sono soffocati. D’altra parte il fallimento desolante di tutti i partiti attuali sembra proporre con allarmante urgenza la necessità di rifarsi ai principii. La cultura politica e la lotta politica nel mondo moderno ha una sua premessa necessaria nella libertà».
Nel 1924 Gobetti riassumeva le sue idee politiche con grande limpidezza e vigoria in un volume egualmente intitolato Rivoluzione liberale, che deve essere letto ancora oggi [...]
Nel nome di Piero Gobetti
Un pensiero che non muore
di Riccardo Di Donato (la Repubblica, 18.10.2008)
Nel luglio del 1999, le soffitte della casa londinese di Arnaldo Momigliano hanno restituito manoscritti e dattiloscritti di trenta interventi dello storico dell’antichità esule a Oxford, composti tra il 1941 e il 1945, per le trasmissioni di propaganda di Radio Londra, cui collaboravano gli esponenti del movimento antifascista Free Italy - Libera Italia, in cui erano attivi, tra gli altri, Umberto Calosso, Elio Nissim, Ruggero Orlando e i fratelli Paolo e Piero Treves.
Di questi trenta testi, tre soltanto erano noti, in quanto conservati negli Archivi della BBC, compresi nell’inventario reso pubblico nel 1976 e quindi pubblicati in Belfagor con il titolo Conversazioni sul nazismo, subito dopo la morte di Momigliano, alla fine del 1987.
I testi permettono di apprezzare un aspetto non conosciuto della personalità dello storico piemontese e ci fanno leggere in forma diretta l’espressione di quei pensieri sul presente, che andavano finora cercati in filigrana entro gli scritti di storia antica, in particolare in quelli composti nel medesimo periodo, pervenuti in modo frammentario e in massima parte concentrati intorno al tema del libro che Momigliano non arrivò a scrivere, negli anni dell’esilio, su Pace e libertà nel mondo antico.
L’insieme degli interventi a Radio Londra viene presentato per la prima volta nella celebrazione pisana del centenario dello storico, presso la Scuola Normale Superiore, come contributo alla comprensione della progressiva maturazione del suo pensiero sul presente e sul reale.
Qui si sceglie di pubblicare per intero il discorso letto a Radio Londra il 16 febbraio del 1943, nel giorno anniversario della morte di Piero Gobetti, di cui resta un dattiloscritto su carta velina, con due correzioni a mano dell’autore. Il testo contiene un richiamo alle emozioni vissute da Arnaldo Momigliano negli anni trascorsi come studente all’Università di Torino, accanto ai suoi compagni di studi tra cui furono subito il gobettiano Aldo Garosci e Aldo Bertini, già attivamente impegnati nella cospirazione antifascista, e poi Carlo Dionisotti, che dei sentimenti del giovane storico ha recato fino all’estremo convinta testimonianza.
di Arnaldo Momigliano (la Repubblica, 18.10.2008)
Il 16 febbraio 1926 moriva esule a Parigi Piero Gobetti appena venticinquenne. Qualche tempo prima, in un ordine che fu scoperto e pubblicato in fac-simile, Mussolini aveva ordinato alle autorità fasciste di Torino di «rendere la vita impossibile a Piero Gobetti». L’onore di un’attenzione da parte del Duce era meritato: Gobetti era non solo uno dei più vigorosi critici del Fascismo. Egli opponeva al Fascismo una fede positiva. Egli era un esempio di quella società morale e intellettuale che i gerarchi temono sopra ogni altra cosa.
Gobetti si era laureato in lettere alla Università di Torino. Aveva passione per la filosofia e la critica d’arte; e l’amore per il vecchio Piemonte dov’era nato assumeva in lui tono di rievocazione appassionata. Nessuno ha saputo più di Gobetti far rivivere quei Piemontesi del buon tempo antico, testardi e magnanimi, tra cui crescevano Alfieri, Massimo d’Azeglio, Cavour. Ma in Gobetti filosofia e amore per la tradizione, lungi dal farsi accademici, erano forze con cui egli cercava di intendere e di combattere quella grave crisi della vita italiana che si chiama Fascismo.
Gobetti sapeva che il Fascismo non è un fenomeno superficiale della vita italiana, ma è anzi il risultato di talune insufficienze del Risorgimento. Il Risorgimento infatti diede una coscienza politica solo a una piccola minoranza: non educò alla libertà le masse. Perciò dopo la guerra del 1915-18, che aveva esaurito l’Italia, fu facile organizzare un triste carnevale reazionario e demagogico. Ma il rimedio contro il Fascismo può essere solo di completare e perfezionare il Risorgimento: conservare la tradizione del Risorgimento italiano e armonizzarla con le esigenze della vita economica moderna e con le rivendicazioni delle classi lavoratrici.
Per questo Gobetti soleva dire in una forma apparentemente paradossale che l’Italia non ha mai avuto, ma deve ancora avere un vero regime liberale, che l’Italia deve ancora fare la sua vera rivoluzione: la rivoluzione liberale. Rivoluzione liberale fu il motto di Gobetti - e Rivoluzione liberale fu il titolo del periodico che egli cominciò a pubblicare nel febbraio 1922. Chi è stato giovane vent’anni or sono ricorda la lieta sorpresa e l’entusiasmo suscitati dall’apparizione di questo giornale che parlava della tradizione liberale italiana con tanta novità e freschezza. Scriveva allora Gobetti: «L’abolizione della lotta politica nell’esaltata unanimità delle folle è un regresso evidente perché non si possono elaborare idee politiche quando gli uomini che le pensano sono soffocati. D’altra parte il fallimento desolante di tutti i partiti attuali sembra proporre con allarmante urgenza la necessità di rifarsi ai principii. La cultura politica e la lotta politica nel mondo moderno ha una sua premessa necessaria nella libertà».
Nel 1924 Gobetti riassumeva le sue idee politiche con grande limpidezza e vigoria in un volume egualmente intitolato Rivoluzione liberale, che deve essere letto ancora oggi. Intanto egli approfondiva la storia del Risorgimento in alcuni studi raccolti nel volume Risorgimento senza eroi; sentiva il dovere di studiare la rivoluzione russa e i suoi presupposti nel volume Paradosso dello spirito russo e dava giustamente grande importanza ai problemi della scuola che il Fascismo stava per soffocare.
Il regime di terrore instaurato da Mussolini dopo l’assassinio Matteotti venne presto a troncare l’attività di Gobetti e la speranza che egli potesse sviluppare il suo movimento in un partito di giovani liberali italiani. Ma il valore del suo insegnamento non è perduto dopo circa vent’anni. Questi vent’anni sono stati di tragica decadenza per l’Italia e hanno confermato solo l’esattezza della diagnosi di Gobetti che bisogna attuare in pieno la rivoluzione liberale iniziata ma non compiuta del Risorgimento.
Il problema allora posto da Gobetti di conciliare la libertà politica con il rinnovamento sociale è oggi non solo più un problema italiano, ma un problema mondiale; ed è interessante osservare come in Inghilterra oggi viene discusso su linee che sono molto affini a quelle di Gobetti. Perciò commemorare Gobetti non è solo rendere omaggio alla memoria di una delle più nobili delle giovani vite che il Fascismo ha stroncato. Commemorare Piero Gobetti è oggi ricordare ai giovani d’Italia che uno di loro vent’anni or sono trovò la risposta dei giovani alla falsa Giovinezza del Fascismo. L’insegnamento di Gobetti, italiano e liberale, non ha perso il suo valore ancora oggi.
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