Sabato 22 novembre ci sarebbe stato a Campi Bisenzio (FI) l’annuale vertice antimafia della Fondazione Caponnetto. Propongo al mio giornale, il Corriere Fiorentino, di seguire l’evento, e ricevuto il via parto da Firenze. Il vertice di quest’anno si intitola "Uniti nelle diversità contro le mafie". Nelle diversità, poi capirete cosa vuol dire.
Non ci sono, sul manifesto, i nomi degli ospiti, ma solo la dicitura: "Saranno presenti i principali esponenti nazionali del movimento antimafia". Entro in sala e mi siedo in prima fila. C’è tanta, tantissima gente, quasi 500, tra ragazzi delle scuole e gente comune. C’è anche la Signora Elisabetta, vedova del dottore Caponnetto, che è sempre un’emozione vedere e sentire.
Alla spicciolata arrivano gli ospiti super scortati: il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il senatore del Pd Beppe Lumia, il testimone di giustizia Bruno Piazzese, il sindaco di Gela Rosario Crocetta e altri noti e meno noti. Il cerimoniere è il presidente della Fondazione, Salvatore Calleri, che, suppongo, abbia anche stilato o per lo meno supervisionato la lista degli invitati.
Preparo il taccuino, la penna, e quando torno a sollevare lo sguardo verso il palco vedo che perfettamente di fronte a me c’è Maria Grazia Laganà, deputata del Pd e vedova del vicepresidente della Regione Calabria Francesco Fortugno.
Prima di ogni altra considerazione, puntualizzo: la signora Laganà è una persona che ha perso il marito in maniera atroce, porta i segni di quella tragedia, e in quanto vedova ha e merita il massimo rispetto. Ma la signora Laganà a quel vertice non doveva esserci, molto semplicemente. Perchè non era un vertice umanitario, bensì un vertice antimafia.
Cosa ci faceva la Laganà tra gente che combatte la mafia? Nemmeno lei, a dire la verità, mi sembrava molto a suo agio tra le "guardie". Lei, attualmente indagata per truffa aggravata ai danni dello Stato in relazione ad appalti nella sanità, nell’ambito delle indagini sulle infiltrazioni mafiose nell’Asl di Locri, di cui la Laganà è stata vicedirettrice. Non è indagata da una procura qualsiasi. Ma dalla Dda. Che vuol dire Direzione Distrettuale Antimafia.
Dal sito della Casa della Legalità: L’On. Laganà non ha mai detto pubblicamente o alla DDA, a quanto risulta, nulla su ciò che accadeva nella ASL della ‘ndrangheta. Non ha mai precisato perché la sua famiglia (ivi compreso Fortugno ed il padre, Avv. Mario Laganà, potente democristiano e per lunghi anni “capo indiscusso” di quella stessa Asl) parlavano, chiamavano e ricevevano chiamate (32) da uomini della cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti, ed in particolare su utenze (fisse e mobili) di Pansera, compagno di latitanza di Giuseppe Morabito di cui è anche genero, avendone sposato la figlia, Giuseppina, collega di Franco Fortugno e Maria Grazia Laganà alla Asl di Locri.
Come se non bastasse Maria Grazia Laganà è sorella di Fabio Laganà, indagato, che secondo la DDA di Reggio Calabria, informava gli uomini della cosca dei Piromalli, nella persona del Sindaco - arrestato - di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, delle attività di verifica sul Comune di Gioia Tauro.
La domanda è: Salvatore Calleri sapeva di queste vicende e le ha ritenute insignificanti tali da rendere opportuna la presenza della Laganà nel nome di Caponnetto, oppure, egualmente grave, non era a conoscenza delle vicende, non umane ma giudiziarie, che coinvolgono la famiglia Laganà? Io pretendo delle risposte a questi interrogativi, perchè la memoria di una grande magistrato come Antonino Caponnetto non può essere una prerogativa del Calleri di turno, ma di tutti gli italiani onesti, e difendere la sua memoria anche da questi inviti inopportuni è un nostro dovere, e non solo del Calleri di turno. Se non ho preso parola, se non ho fatto domande, se non ho scritto un comunicato stampa è solo perchè non voglio dare dispiaceri ad una grande donna, come la signora Elisabetta.
Ma un ulteriore domanda è: quando la Signora, tra cent’anni, non ci sarà più, la memoria del giudice Caponnetto sarà ad esclusivo appannaggio del signor Calleri? Questo, sinceramente, mi preoccupa.
P.S. Ho scritto a Calleri per avere spiegazioni domenica mattina. Ancora nulla. Ecco la missiva:
Questa mail è rivolta al sig. Calleri, uno che la mafia per fortuna sua non l’hai mai vissuta nè subita. Se così fosse forse avrebbe maggiore sensibilità, maggiore attenzione. Pensavo, speravo, che aver vissuto anni fianco a fianco di un uomo che noi siciliani consideriamo "siciliano" come il dottore Caponnetto, l’avesse formato. Pensavo. Poi il Corriere mi dice di andare a seguire il vertice annuale della Fondazione. Io arrivo, mi siedo e di fronte a me, tra i relatori, vedo Maria Grazia, che di cognome non fa Fortugno, ma LAGANA’. E mi chiedo cosa direbbe oggi il dottore Caponnetto, mi chiedo cosa farebbe, mi chiedo cosa direbbe venendo a conoscenza che la persona del sig. Calleri ha invitato al "suo" vertice una donna indagata dalla DDA [...] Come giornalista del Corriere Fiorentino mi limiterò a declinare tutte le conferenze stampa organizzate dalla fondazione Caponnetto. Come familiare di vittime di mafia farà di tutto perchè la memoria di un padre della Sicilia venga preservata nel modo migliore.
Ricevo e pubblico, sottoscrivendolo in ogni parola, questa mail ricevuta da Benny Calasanzio, mio compagno di lotta in tutte le città d’Italia nelle quali siamo stati insieme, invitati non dalle Istituzioni o dalle Associazioni come Libera, che anzi regolarmente ci ignorano, ma da gruppi di persone, come i MeetUp di Grillo che che hanno a cuore la legalità e si tengono lontani dalla politica, almeno da quella che viene chiamata politica in Italia e che invece è solo marciume e difesa di interessi di casta. Insieme a quello riportato in altro post riguardante la Casa della Legalità di Genova, questo ultimo episodio mi addolora profondamente. Quanto diversi i comportamenti e il messaggio di un maestro e di un padre come Antonino Caponnetto, la cui figura è patrimonio di tutti quelli che in Italia combattono per la legalità e la giustizia, da chi oggi pretende di gestirne l’eredità. Mi rendo conto oggi del perchè Antonino Caponnetto distrusse, prima di morire, tutte o gran parte delle lettere che migliaia di giovani gli avevano inviato da tutta l’Italia. Ne conservo alcune che mi furono consegnate da Antonio in incontri in cui ci trovammo insieme in alcune scuole d’Italia e le conserverò gelosamente come testimoni di una eredità perduta.
da Benny Calasanzio :
"Quello che sto scrivendo non è il solito post, non vi sto raccontando le malefatte di qualche politico o i soprusi del potente di turno. Oggi sto scrivendo una delle pagine più nere e vergognose della storia dell’associazionismo antimafia. Avete letto qualche giorno fa il post (http://bennycalasanzio.blogspot.com/2008/11/indagati-nel-nome-di-caponnetto.html) in cui deprecavo la partecipazione della signora Maria Grazia Laganà, indagata dalla Dda per truffa allo Stato, al vertice antimafia organizzato dalla Fondazione Caponnetto. Ho scritto l’articolo domenica scorsa, citando fatti e circostanze, chiedendo di chi fosse la responsabilità di quella presenza inopportuna.
Martedì 25 novembre 2008 alle 15.31.35 mi scrive Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto:"
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"Per un momento mi rincuoro. Penso che la Fondazione si sia resa conto dello scivolone compiuto nell’invitare Maria Grazia Laganà, che voglia quanto meno “spiegarsi”, che abbia compreso l’imperdonabile pessimo esempio fornito ai quasi duecento ragazzi delle scuole.
Oggi invece un esponente della Fondazione Caponnetto ha telefonato al direttore del Corriere Fiorentino, giornale con il quale ho un semplice contratto di collaborazione, minacciando querele contro di me e contro il giornale per le parole che ho scritto sulla Fondazione. Ma cosa c’entra il Corriere con quello che scrivo sul mio blog? Io ho scritto l’articolo sul mio sito, dicendo che ero andato al vertice per conto del Corriere Fiorentino, ma che il giorno dopo non avevo scritto nulla sul giornale. Ma questo era chiaro, non era in discussione. Quella telefonata aveva un altro significato fin troppo esplicito. Quella telefonata doveva forse mettermi contro il giornale, mettere il Corriere Fiorentino nelle condizioni di dovere annullare il mio contratto o quantomeno “richiamarmi” per aver scritto “qualificandomi” come giornalista del Corriere, cosa che non ho fatto, e che per fortuna è sotto gli occhi di tutti. Il presidente Calleri aveva il mio recapito telefonico, perché non ha chiamato me per minacciare querela? Aveva un significato particolare invece chiamare la redazione del giornale?
Considerare questa una “intimidazione professionale” che risulta ancora più odiosa e schifosa in quanto proviene da una Fondazione che dovrebbe tutelare e trasmettere i valori di quel grande uomo e professionista che è stato Antonino Caponnetto.
Io sono davvero, per la prima volta, senza parole. Denuncerò fortemente questa azione delegittimante e mi tutelerò nelle dovute sedi.
Quello che alcuni non tollerano è che un’associazione antimafia venga chiamata a rispondere dei propri comportamenti da un comune cittadino. Si considerano intoccabili, inattaccabili, e quando qualcuno fa notare loro che tra le “guardie” c’era un sospetto “ladro” minacciano di querelare.
E’ questo il prezzo che in Italia si deve pagare solo per avere fatto notare una presenza anomala ad un vertice antimafia? Se è questo lo pagherò, con serenità, senza raddrizzare di un millimetro la mira, continuando, imperterrito, a raccontarvi quello che vedo e che vivo, cosciente che non ci sono intoccabili, tanto meno nell’antimafia."