Pubblichiamo in pdf il testo della seconda edizione di "La società sparente" (Neftasia Editore), di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio.
Misteriosamente scomparso, il volume, con prefazione di Gianni Vattimo e Angela Napoli, racconta la vicenda dell’ex pm Luigi De Magistris, la Calabria della corruzione, l’impegno dei movimenti civili a favore del magistrato, le indagini a carico dei consiglieri regionali, la sparizione della società calabrese, delitti e omicidi impuniti alla punta dello Stivale italiano.
Dopo aver venduto, nel giro di sette giorni dall’uscita (ottobre 2007), 1000 copie nel solo comune di San Giovanni in Fiore (Cs), il testo, distribuito sul territorio nazionale, è diventato progressivamente irreperibile.
Oggi il libro non c’è, non si trova, chi lo cerca non sa come procurarselo. Neppure gli autori riescono a capirne le ragioni.
Pertanto, "la Voce di Fiore" ha pubblicato il testo in rete, in versione integrale e con download gratuito.
Così la denuncia civile ivi contenuta può arrivare a chiunque, senza eventuali censure, boicottaggi, sequestri, oscuramenti.
"La società sparente" fu sottoposto a richiesta di sequestro, nel novembre 2007. Nella seconda edizione, come segno della mancanza di libertà di informazione e manifestazione del pensiero, gli autori lasciarono bianche le pagine incriminate, risultando poi assolti da tutte le querele per diffamazione aggravata a mezzo stampa.
La procura di Salerno sta indagando sulla Procura di Catanzaro, a proposito delle inchieste "Poseidone" e "Why not", tolte a De Magistris. La Procura di Catanzaro ha risposto con azione uguale e contraria. L’inchiesta "Why not" è stata conlcusa.
Leggendo "La società sparente", si capiranno le ragioni per cui la Calabria non può mai svilupparsi, stando così le cose. Soprattutto, si avrà un quadro preciso circa le radici del sistema di corruzione e malaffare che De Magistris aveva tradotto in termini di diritto.
Buona lettura.
ATTENTI, IL FASCISMO È ALLE PORTE
di Emiliano Morrone
Ora lo spauracchio del fascismo è agitato anche dall’avvocato Bruno Segre, che in occasione dei suoi 100 anni suonati ha avvertito l’Italia della minaccia delle "due forze di destra, Lega e M5s". "Per fortuna - ha aggiunto - esistono ancora le istituzioni, come quella del Presidente della Repubblica, che potranno tenere a freno il governo". Non mi meraviglia affatto l’insistenza con cui la grande stampa riporta i moniti di intellettuali, politologi, "eroi" dell’antimafia e combattenti del passato, per cui il pericolo nazionale è l’incipiente ritorno di un regime alla Mussolini, salvo lo spostamento di Salò a Ponte di Legno.
Già immagino, con fucile in spalla e panini imbottiti di Prodi, quei marcantoni di Martina e Fassino sopra le montagne nordiche, insieme ai partigiani del servizio pubblico Fabio Fazio e Luciana Litizzetto, al francescano ingegner Carlo De Benedetti, a Lapo Fiat Chrysler e a don Matteo (Renzi) in diretta da un rifugio a mo’ di Bin Laden, mentre Oliviero Toscani ne fotografa le memorabili gesta variopinte. E nella capitale vedo i cattivi Salvini e Di Maio addestrare le truppe carioca a lanciare fake news all’antrace, in collegamento Skype col judoka Putin, che intanto ha programmato per metà settembre un’esercitazione poderosa con 300 mila uomini e 1000 aerei.
Naturalmente, da gandhiani puri Jean-Claude Juncker e Mario Draghi scongiurano l’eccidio alle porte, pregando san Giorgio (Napolitano) di proteggere i portatori di verità e Welfare al seguito dell’erculeo Martina, in lotta dallo scorso 4 marzo per ripristinare l’articolo 18, reintrodurre le Unità sanitarie locali, abolire la riforma federalistica del 2001 sospinta dalla Lega 1.0, la Fornero, la Buona scuola e la scellerata Delrio.
Grazie al cielo c’è il presidente Mattarella, che ringraziamo sempre, comunque mai abbastanza, per aver dato singolare prova di resistenza rispedendo al mittente leggi contagiate dalla tremenda jella di Alfano, l’arcangelino invidioso della cristianissima Angela tedesca.
CALABRIA, LA NUOVA EMIGRAZIONE PER CURARSI
di Emiliano Morrone
C’era una volta la comunità meridionale, tipica, unita, calorosa. I bimbi correvano in strada dietro all’immancabile palla di fortuna, saltavano la corda nera e piatta dei muratori oppure limiti immaginari come le porte del campo del momento, senza linee laterali ed arbitri, fuori dai piani divini l’assistente Var. Anch’io ho vissuto questa esperienza da fiaba, sentendo sino all’anima l’odore di memoria dei camini accesi da settembre, o i profumi di sapere di quel sugo vero e lento che passavano le porte spalancate fino al buio.
Google non controllava la nostra posizione, ma dai vignäni, mio caro Salvatore, tu lo sai, si levava lo sguardo discreto e vigile di pacchiane, donne con "mäncaturi" in testa che parlavano del loro mondo e delle guerre sopportate. Ci guardavano secondo un copione sacro, evitando che ci potessimo "ruppiare". Spesso non erano nostre parenti, ma forse di più, in quella vecchia logica rionale che ordinava e scandiva la vita dal suo inizio. I loro figli arrivavano d’estate, con auto fiammanti e ruggenti targate "AG", che non era Agrigento, all’interno addobbate con strane pelli d’animale e oggetti apotropaici, specialmente corni di colore avorio oppure rosso peperoncino. In dieci anni o poco più scomparve tutto: la modernità dei consumi recise quei legami, silenziò le "rughe" e ruppe l’incantesimo, cioè i legami di paese tra le diverse generazioni.
Partimmo pure noi, convinti un giorno di tornare e di ristabilire quel senso dello stare insieme, cui avremmo aggiunto i servizi che mancavano e un buon ospedale per preservare ciascuno il più a lungo possibile. Invece no, arrivò il progresso tecnologico ma non quello sociale e civile.
Chi avrebbe potuto immaginare di chiamare gli zii di Windsor e vederli in diretta durante la cena di Natale? Chi avrebbe potuto intuire la sorte della sanità locale e l’incedere ignorato di un’emigrazione di massa per curare le malattie, perfino di giovanissimi?
Chi avrebbe pensato di trovare, giunto il nostro rientro, un sistema sanitario distrutto dall’avidità di pochi, dalle complicità di tanti e dall’impotenza dei nostri politicanti, che da anni tacciono colpevolmente sui 2miliardi (di euro) che lo Stato ha l’obbligo di trasferire alla Calabria per la tutela della nostra salute?
AI CALABRESI D’OGNI DOVE
di Emiliano Morrone
Bisogna decidere dove vogliamo andare. Intendo dire qual è il nostro obiettivo come popolo della Calabria, come comunità che si sfalda sboccando a Roma, Bologna, Milano, in Svizzera, Germania, Canada o altrove, spesso con rabbia viscerale, senso di liberazione e una valigia zeppa di nostalgia. Esuli, nomadi, sospesi tra l’anima e l’inferno meridiano degli estremi conflitti: bellezze e ingiustizie, cuori di spugna e di pietra, povertà e denaro bruciato, dolore di massa e ignoranza di casta. Non di rado mi ritrovo a parlarne con amici lontani come Salvatore Sellaro.
Discutiamo del futuro della nostra Calabria, oppressa dalle logiche mafiose di palazzo, prima che dalla pervasività delle cosche. Il potere si alimenta d’apparenza, sicché spaccia l’ordinario per conquista, quando qui manca l’essenziale: lavoro, sanità, diritti primari e servizi di base. Soprattutto, non abbiamo coscienza dell’avvenire della nostra regione dato il momento storico, segnato da un capitalismo criminale che affama e distrugge, schiavizza e divide con l’obiettivo d’impedire l’emancipazione culturale, politica, economica e civile.
Non è più possibile accettare l’emigrazione e lo spopolamento come fatti naturali e inevitabili. E non serve a nessuno difendere gli apparati politici e burocratici, che rifiutano di affrontare il problema, storico, della subalternità di questa nostra terra di confine.
La maschera caduta
di Roberto Saviano (la Repubblica, 01.12.2011).
È una rivoluzione per chi si occupa di mafie. La sentenza del Tribunale di Milano del 19 novembre, con le 110 condanne al processo sulla ‘ndrangheta al Nord, e l’inchiesta che ha portato all’arresto di un giudice cambiano la storia del potere - non solo criminale - del nostro Paese.
La sentenza e questa inchiesta sono di carattere epocale perché mostrano una volta per tutte che le mafie comandano anche e soprattutto nell’economia del Nord Italia. Al Sud agiscono nelle modalità più violente, sia militari sia di accaparramento degli appalti. Considerano il Mezzogiorno come un territorio a loro completa disposizione. Il Nord, invece, è il luogo del silenzio facile, degli affari redditizi, dell’inesistente cultura dell’antimafia nelle istituzioni e di una robusta omertà da parte di tutti. Un luogo perfetto.
Il meccanismo di insediamento è capillare. L’imprenditoria del Nord Italia ha un canale di approvvigionamento di capitali attraverso il narcotraffico. L’economia italiana che già da anni subisce una progressiva crisi ha trovato nel territorio dell’illegalità capitali freschi. Soprattutto liquidi. L’insegnamento che emerge dalle carte dell’inchiesta porta a questa certezza: in economia vince chi riesce a usare ogni possibilità per sbaragliare la concorrenza. Chi segue le regole o non esiste o è già uno sconfitto.
Questa indagine che vede coinvolti personaggi delle istituzioni descrive la società civile mafiosa. Non affiliata: non ci sono pungiture, non ci sono battesimi, non ci sono pistole in faccia. I personaggi di questa inchiesta entrano in rapporto con i boss come se fossero normali interlocutori, senza dar troppo peso morale al proprio comportamento. Sembrano non avere neanche piena coscienza di quello che fanno. Forse hanno la sensazione, molto italiana, che così fan tutti, anzi che qualcuno starà facendo sicuramente peggio di loro.
E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall’associazione con l’utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c’è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.
Usando un concetto di Guy Debord, definito per comprendere la società dello spettacolo "il vero è un momento del falso" si può affermare che dopo queste inchieste pare evidente che l’illegale sta diventando un momento del legale. In passato l’attività criminale si contraddistingueva per l’efferatezza delle azioni, per i "lavori sporchi", per le operazioni evidentemente e platealmente fuorilegge. Era un mondo a parte. Oggi, e da molto tempo, non più. Sempre di più il coinvolgimento di settori di società con il mondo criminale avviene seguendo un percorso imprenditoriale e politico almeno all’apparenza lineare, in cui i momenti di illegalità sono appunto "momento". Fasi che servono per guadagnare di più, per ottenere favori, per emergere nel proprio campo. E in quanto "fasi" le persone che le vivono si perdonano facilmente, non si sentono nè traditrici né corrotti.
Sembra delirante ma è ciò che emerge dall’inchiesta condotta dal pool del pm Boccassini. Il metodo Boccassini, erede del metodo Falcone, si contraddistingue per la ricerca capillare delle prove e un prudente rigore nella comunicazione delle indagini ai media: nulla parte da sensazioni o solo dalle intercettazioni o dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Ilda Boccassini è stata spesso attaccata, isolata, stressata dal fango e dalle accuse di politicizzazione. Tutto questo è accaduto anche dentro l’ambiente della magistratura stessa. Queste inchieste e queste sentenze dimostrano, invece, che il suo metodo è rigoroso, ed è grazie al suo lavoro che possiamo gettare luce su una realtà del Nord che tanti non vogliono vedere.
Esattamente un anno fa La Lega e l’ex ministro Maroni rimasero scandalizzati quando denunciai in tv che le mafie al Nord interloquivano con i poteri, con tutti i poteri, nessuno escluso. Domandavo cosa facesse la Lega mentre dilagavano, e dilagano, i capitali criminali. Cosa facesse mentre gli imprenditori lombardi messi a dura prova dalla crisi economica entravano in rete con le ‘ndrine. Il quotidiano della famiglia Berlusconi lanciò addirittura una campagna e una raccolta di firme contro di me, reo di "dare del mafioso al Nord".
Io non ho mai detto né pensato che "il Nord è mafioso", naturalmente. Ma bisogna riconoscere che, oltre le fiaccolate contro il soggiorno obbligato e qualche iniziativa simbolica tesa ad aumentare la repressione, gran parte della politica e della cultura del settentrione italiano (con alcune coraggiose eccezioni, per fortuna) è stata silente sul potere delle cosche. E ora vorrei vedere i visi, ascoltare le parole di chi per decenni ha nascosto la testa nella sabbia, ha fatto finta di niente, ha permesso che il Nord diventasse parte fondamentale dell’economia mafiosa. E chiedere: perché?
Riformano i magistrati, non la giustizia
di Gian Carlo Caselli (il Fatto, 16.03.2011)
La sedicente riforma della Giustizia ideata dal governo, non è un’operazione indolore per la sicurezza dei cittadini. Le ripercussioni negative sul versante delle indagini saranno tante. Anche per le inchieste di mafia. Chi studia l’evoluzione delle mafie constata che per realizzare i loro affari esse hanno bisogno di commercialisti, immobiliaristi, operatori bancari, amministratori e uomini delle istituzioni (la cosiddetta “borghesia mafiosa”). Sempre più si infittiscono gli intrecci con pezzi del mondo politico e dei colletti bianchi. I transiti di denaro sporco nell’economia illegale si intensificano. Spesso le istituzioni criminali e quelle legali si contrastano, ma senza volontà di annientarsi, nel senso che sono piuttosto alla ricerca di equilibri.
Diventa sempre più difficile - allora - stabilire la linea di confine fra lecito e illecito all’interno delle attività economiche, finanziarie e produttive. Per impedire che risuonino ancora oggi le parole di Giovanni Falcone circa il timore che “non si voglia far luce sui troppi, inquietanti misteri di matrice politico-mafiosa per evitare di rimanervi coinvolti”, è necessario allora che le indagini di mafia siano condotte da una magistratura assolutamente autonoma e indipendente, nonché dotata di strumenti capaci di esplorare in profondità anche il lato oscuro e segreto delle mafie. Proprio il contrario di quel che risulta obiettivamente ricollegabile alla pseudo-riforma della Giustizia voluta dal governo. Una riforma che quand’anche abbia - come scopo di partenza - “solo” quello di vendicarsi dei magistrati, alla fine potrebbe causare risultati obiettivamente devastanti. Quanto meno finché la politica italiana continuerà a discostarsi massiccia-mente dagli standard europei con conseguenze da trarre - doverosamente - in caso di accertato coinvolgimento in comportamenti illeciti.
Una “spia” dei veri obiettivi della riforma si può trovare nel fatto che le novità si collocano tutte all’interno del titolo 4° della parte seconda della Costituzione. Questo titolo, che oggi è denominato “La magistratura”, nella riforma diventa “La giustizia”. Come volevasi dimostrare: si tratta di riformare i magistrati, non la giustizia. E non basta cambiare l’etichetta della bottiglia perché uno sciroppo diventi barolo. Ma torniamo agli effetti oggettivi della riforma. Possiamo prendere singolarmente - una per una - le modifiche in programma, oppure l’intiero pacchetto.
Le indagini in mano alla politica
SEMPRE avremo lo stesso identico risultato: il trasferimento del “rubinetto” delle indagini (cioè dei controlli di legalità) dalle mani della magistratura a quelle del potere politico, governo e/o Parlamento. Con conseguente riduzione degli spazi d’intervento autonomo della magistratura e quindi dei controlli indipendenti sulle violazioni di legge commesse dai potenti. Con il rischio anzi che tali controlli causino al magistrato coraggioso guai non di poco conto, dalle ispezioni ministeriali (addirittura elevate al rango costituzionale), alle bufere scatenate da quanti vorranno strumentalmente approfittare delle nuove norme sulla responsabilità dei magistrati.
L’analisi di alcuni punti della sedicente riforma offre decisive conferme, anche per le inchieste di mafia.
Il Csm riformato - la riforma prevede lo sdoppiamento del Csm, la riduzione del numero dei membri “togati”, la loro nomina col fantozziano sistema dell’estrazione a sorte (una grottesca lotteria che rappresenta anche una discriminazione mortificante, posto che i membri “laici” continueranno a essere eletti dal Parlamento in seduta comune), il divieto di adottare atti di indirizzo politico (cioè pratiche a tutela dei magistrati vilipesi perché scomodi). Viene di fatto azzerata la stessa ragion d’essere del Csm: governo autonomo della magistratura e tutela della sua indipendenza. Il magistrato che debba scegliere tra diverse opzioni, egualmente possibili nel perimetro dell’interpretazione della legge, non sentendosi più tutelato da un Csm ridotto ad organo di semplice amministrazione, ci penserà ben bene prima di esporsi alle rappresaglie impunite del potente di turno. Figuriamoci quale impulso potrà derivare alle indagini su quella vischiosa zona grigia che consente agli affaridi mafia di prosperare!
1) AZIONE PENALE E POLIZIA GIUDIZIARIA NELLE MANI DELLA POLITICA L’azione penale a parole resta obbligatoria, ma dovrà essere esercitata “secondo i criteri stabiliti dalla legge” , vale a dire che sarà la politica a stabilire chi indagare e chi no: ed è improbabile che essa mostrerà particolare zelo per gli intrecci tra pezzi del suo mondo e la mafia . Quali che siano tali criteri, poi, resta il fatto che non sarà più direttamente la magistratura a disporre della polizia giudiziaria, che pertanto prenderà ordini dal governo (ministero degli interni per la polizia di stato; difesa per i carabinieri; economiaperlaGdF).Lapolitica,in sostanza, avrà in mano il rubinetto delle indagini e potrà regolarlo col contagocce tutte le volte che ci sia il rischio di scoprire qualcosa di troppo degli “inquietanti misteri” di cui parlava Falcone.
2) ASSOLTI PER SEMPRE Con clamorosa violazione della “parità delle armi” tra accusa e difesa, mentre l’imputato condannato potrà sempre ricorrere in appello, il pm non lo potrà fare in caso di assoluzione dell’imputato, salvo che “nei casi previsti dalla legge”. Ora, sarà impossibile (per non perdere la faccia) che tra questi casi non rientrino i delitti di mafia, ma che ne sarà del cosiddetto “concorso esterno”? Senza questa figura è impensabile che si possano colpire anche le collusioni con la mafia, ma poiché il delitto non esiste (lo sostiene il presidente Berlusconi!), si può scommettere che sarà fortemente a rischio la possibilità per il pm di appellare le assoluzioni per “concorso esterno”: la linea di demarcazione fra lecito e illecito tenderà sempre più allo sfumato evanescente e per la cosiddetta “borghesia mafiosa” ci sarà da brindare.
3) L’INDIPENDENZA DEL PM “ABROGATA” PER LEGGE A spazzare definitivamente ogni possibile dubbio circa le effettive conseguenze della riforma provvede infine il nuovo - se approvato - art. 104 della Costituzione (quello che non a caso introdurrebbe la separazione delle carriere...), laddove stabilisce “che l’ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”. In sostanza, autonomia e indipendenza del pm non sono più valori di rango costituzionale tutelati dalla Carta fondamentale, ma optional rimessi alla legge ordinaria, che pertanto la politica potrà cambiare a suo piacimento senza neanche il fastidio delle procedure e delle maggioranze qualificate previste per le norme costituzionali. Vale a dire che la politica non avrà in mano soltanto il “rubinetto” delle indagini, ma avrà in sua balia direttamente il pm. Per cui è difficile pensare che vorrà orientarlo verso inchieste che potrebbero scoprire segreti inquietanti di colletti bianchi e/o politici per favori scambiati con la mafia o affari fatti insieme. Ed è persino superfluo notare che tutto ciò che colpisce in prima battuta il pm avrà inevitabilmente un effetto domino sui giudici: perché se al pm non è consentito indagare su certe materie, esse non arriveranno mai sul tavolo del magistrato giudicante. Un pericolo che non si può correre
COME si vede, gli scenari futuri sono cupi e se si vuole che la lotta alle mafie non rischi di diventare un esercizio di facciata, ma sia un’azione incisiva, la riforma costituzionale in cantiere dovrebbe essere riconsiderata: perché le conseguenze negative che ne potrebbero obiettivamente derivare (obiettivamente: anche a prescindere dall’orientamento di questa o quella maggioranza politica contingente) costituiscono un pericolo da non correre.
A Potenza, nella XVI Giornata antimafia della memoria e dell’impegno, organizzata da Libera per il 19 marzo, si discuterà anche di questo.
Un paese in ginocchio
di Moni Ovadia (l’Unità, 25.09.2010)
L’immagine dell’Italia trasmessa dai media, per una persona per bene di buon senso, è raccapricciante. Lo squallore della sua politica ha sfondato ogni soglia della decenza. Il governo si da con maniacale accanimento alla distruzione delle fondamenta dello stato democratico con lo strumento della demagogia populista più vieta, dell’intorbidamento delle acque per cancellare le differenze fra il giusto e l’ingiusto, fra la legalità e il crimine.
Con questa tecnica antica e oscena vengono demoliti a colpi di mazza i pilastri dell’intera società: i principi costituzionali, la scuola pubblica, la cultura, i fondamenti morali, i diritti civili e i diritti sociali. L’opposizione parlamentare, con rare eccezioni, sembra - anche ad ad un osservatore non particolarmente smaliziato - assistere allo scempio pavida, divisa, balbettante, capziosa, arrogante e stonata. È difficile non pensare che l’unica sua cura sia la propria autoconservazione.
Quanto alla «sinistra fuori dal parlamento» si è virtualizzata. Se non fosse per la coraggiosa Fiom, per un leader carismatico capace di guardare il futuro e per qualche sparuta testa pensante potrebbe bene figurare in un film di Moretti come associazione di reduci.
Spero con tutto il cuore di essere una cattiva Cassandra ma, sulla soglia dell’età della pensione, non riesco ad impedirmi di pensare che si tratti della bancarotta di quasi un’intera classe dirigente che ha sacrificato il benessere di un paese ai piedi di un grottesco omino, aspirante sovrano, truccato come un clown sinistro e sull’altare del cinismo e del conformismo. In questo sfacelo riesco a trarre conforto da quelle donne e quegli uomini dell’Italia reale che continuano a vivere, a lavorare e a lottare secondo i principi della dignità e della giustizia. Grazie a loro sento che essere italiano non è solo una iattura.
Ahahahhh! Grazie! In genere non ho mai problemi di stitichezza comunque...
martedì 20 aprile 2010 un anonimo ha scritto: "Saverio Alessio sei uno stronzo, vai a cagare e falla tutta."
all’anonimo, che evidentemente ha qualche collusione con certi poteri mafiosi... dico:
A TE!! TI SI BLOCCHI TUTTO DENTRO PER POI SCOPPIARE DI merd@!!!!!!!!!!!!!
Giancarlo, dalla provincia di Alessandria
Segnalo questo gruppo nato spontaneamente su facebook
Sosteniamo Alessio e Morrone - autori di FAMELIKA
Questo gruppo nasce per sostenere il lavoro di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, autori di "Famelika", un libro su assistenzialismo e clientelismo nel cosentino, area cruciale d’affari tra mafie e politica ( nelle librerie da maggio 2009).
In questo volume di denuncia i due scrittori (autori di "La società sparente", Neftasia, Pesaro, 2007) parlano con nomi e cognomi di meccanismi di formazione del consenso in Calabria, anche riprendendo alcune risultanze dell’inchiesta "Why not" sottratta al pm Luigi De Magistris.
Nel testo vengono descritti meccanismi simili di costruzione forzata del consenso in varie parti d’Italia, della diffusione del potere della Ndrangheta al Nord, dei rifiuti cancerogeni nelle scuole di Crotone. Gli autori si soffermano anche sulla responsabilità civile dei cittadini che accettano la sparizione delle parole della democrazia, il silenzio dell’omertà.
Riempiti di querele poi archiviate, colpiti da una richiesta di sequestro senza séguito di "La società sparente", minaccciati e intimiditi, tornano a raccontare la Calabria della Ndrangheta con la "n" maiuscola, quella delle complicità politiche e del silenzio dei sottoposti.
Possiamo sostenere il coraggioso lavoro di Alessio e Morrone: invitando i nostri amici a far parte del gruppo diffondendo la notizia della pubblicazione di "Famelika" promuovendone l’acquisto.
Informazioni di contatto Sito Web: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/
Ringrazio Roberto Galullo che ha dedicato questa sera, 21 gennaio 2009, una trasmissione radiofonica a questo dossier e alle sue vicissitudini. Volentieri lo diffondiamo ringraziando anche gli autori che lo hanno reso disponibile gratuitamente. E’ una storia di querele per diffamazione, di archiviazioni, di pagine bianche, tutto ciò che si portano dietro le denunce dell’affarismo, della mafiosità e della collusione. Irene Campari
Segnalo due articoli di oggi che riguardano "La società sparente", La Voce di Fiore, Emiliano Morrone, Francesco Saverio Alessio, e sul significato del lavoro svolto finora dal nostro laboratorio visto da autori non calabresi.
Il primo è di Marino Festuccia su "Il satiro saggio": http://ilsatirosaggio.com/?p=530
L’altro è un redazionale di "è Costiera online": http://www.ecostiera.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2471&Itemid=74§ionid=30&idvis=1
Buona lettura!
Gentile Fabrizio,
da Calabrese e da Florense non posso non rispondere ad alcune sue osservazioni oltre che inesatte, false.
Iniziamo con ordine, descriviamo l’ambiente. La misura del problema è il dato statistico che emerge dalla lettura dell’ultimo libro di Piercamillo Davigo (La corruzione in Italia, percezione sociale e controllo penale): le condanne definitive per concussione intervenute nel distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria tra il 1983 e il 2002 - in 19 anni - sono UNA e quelle per corruzione sono DUE. Da questi appare che o a Reggio Calabria non esiste la corruzione o la magistratura non la vede. Molti anni fa, completamente dimenticata, trasferita per competenza dalla Procura di Palmi a quella di Roma e poi da questa archiviata, l’inquietante inchiesta Cordova, su logge massoniche coperte, ‘ndrangheta, politica e comitati vari.
In tale contesto è arrivato un magistrato napoletano, che, all’inizio, negli anni 90, con ancora eco di tritolo esploso e di inchieste sulla zona grigia, promiscua di poteri forti e segreti di ogni categoria, si è messo a lavorare e ha avviato diverse inchieste per fatti molto gravi che coinvolgono magistrati, politici e imprenditori. Non è vero che come lei afferma che le indagini di De Magistris a Catanzaro si sono risolte ne nulla. Molti sono processi in svolgimento nei vari gradi di giudizio, in altri ci sono state anche condanne definitive. Le sue principali, recenti e direi tristemente celebri “Poseidone” e “Why not”, le sono state avocate, in modo che appare illegittimo, e non a me ma alla Procura, ed anche al Tribunale del Riesame di Salerno che ha confermato la impeccabilità del procedimento, uniche sedi competenti a valutare sui magistrati della Procura di Catanzaro.
Nonostante sia stata fatta a pezzi, l’avviso di conclusione dell’inchiesta Why not è stato emesso nei confronti, tra gli altri, del presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, dell’ex presidente, Giuseppe Chiaravalloti, di assessori ed ex assessori regionali, consiglieri, del sindaco di Cosenza Salvatore Perugini, di politici, funzionari regionali. Tra i destinatari dell’avviso figura anche il deputato Giovanni Dima, del Pdl, ex consigliere regionale calabrese di An. Tra gli altri destinatari dell’avviso figurano il capogruppo del Pd alla Regione ed ex vice presidente della giunta, Nicola Adamo; il consigliere regionale e imprenditore Sergio Abramo, candidato del centrodestra alle presidenza della Regione nelle elezioni del 2005; l’ex consigliere regionale Domenico Basile, di An; l’ex consigliere regionale dell’Udc Dioniso Gallo; il consigliere regionale di Fi Giuseppe Gentile; gli assessori regionali Luigi Incarnato dello Sdi e Mario Pirillo del Pd; l’ex assessore alla sanità Giovanni Luzzo, dell’Udc; il consigliere regionale di An Franco Morelli; l’ex parlamentare dell’Udeur Ennio Morrone; il consigliere regionale di Fi Antonio Pizzini; il consigliere regionale di An, Antonio Sarra; l’ex assessore regionale all’ambiente de Verdi Diego Tommasi, e l’ex assessore regionale dell’Udeur Pasquale Maria Tripodi.
I politici regionali calabresi per i quali è stato emesso l’atto di conclusione delle indagini Why not avrebbero "costituito, mantenuto e alimentato" insieme a Saladino, ex presidente della Compagnia delle Opere, uno "stabile sistema" in forza del quale, "al fine di conseguire, in cambio, un clientelare consenso elettorale, assicuravano delittuosamente a strutture societarie di fatto governate da Saladino fondi pubblici per l’esecuzione di lavori prospettati come di pubblica utilità". È quanto scrivono i magistrati di Catanzaro nell’avviso di conclusione indagini in relazione all’ipotesi di reato di associazione per delinquere.
Se lei avrà la pazienza di leggersi il decreto di perquisizione della Procura della Repubblica di Salerno nei confronti dei magistrati della Procura di Catanzaro e di altri imputati, capirà che innanzitutto è falso tutto quello che si dice e si scrive riguardo alle cosiddette fughe di notizie quando vengono imputate a De Magistris, il battage mediatico, è falso tutto quello che si dice riguardo al suo consulente Gioacchino Genchi, è falso che ci siano migliaia di indagati, è falso tutto quanto lei sostiene. Mentre, dalla lettura della parte degli atti resa pubblica, tutto ci appare in modo molto più chiaro come parte di un progetto più vasto e più inquietante di delegittimazione dell’ex pm di Catanzaro, volto all’insabbiamento dei suoi procedimenti di indagine, al loro smembramento e dissoluzione.
Su quello che è successo dopo le perquisizioni a Catanzaro, tutto quello che è stato spacciato per una guerra fra procure, mentre in realtà era semplicemente una Procura competente che indagava su una Procura che senza averne le competenze, anzi essendo oggetto dell’indagine, indagava su quell’altra, e sulle conseguenze di questi accadimenti, offenderei la sua intelligenza se le proponessi delle conclusioni. Io sono stato a Roma in Piazza Farnese a manifestare quello che penso.
La lettura de “La società sparente”, che lei mi ha detto di aver scaricato, le potrà indicare molte delle cause del crollo dello stato di Diritto, della prevaricazione assoluta di una ristretta classe di corrotti sul resto della popolazione, di quello che questo significa in termini di emigrazione ed ulteriore impoverimento del territorio, di omicidi e sparizioni.
Le propongo inoltre qualche link, visto che a quanto lei stesso scrive, la sua unica fonte di informazione è la tv. Spero la aiuteranno a comprendere che tutto quello che lei afferma è assolutamente falso, che le allargheranno il punto di vista informandola in modo più preciso, e magari la aiuteranno a capire il luogo in cui vive e le persone che lo abitano. La Calabria contemporanea è dipinta come in un quadro in questi atti.
http://toghe.blogspot.com/2008/06/gli-interrogativi-irrisolti-del.html
http://toghe.blogspot.com/2008/05/i-cortocircuiti-interni-della.html
http://toghe.blogspot.com/2009/01/il-csm-da-garante-carnefice.html
“[...] Pensavo a quello che possono fare i singoli magistrati oggi per opporsi ad una deriva autoritaria che ha già modificato di fatto l’assetto costituzionale di questo Paese. Pensavo a quello che può fare ogni cittadino di questa Repubblica per dimostrare che, forse, ormai, l’unico vero custode della Costituzione Repubblicana non può che essere il popolo, con tutti i suoi limiti. [...]” Luigi de Magistris; Giustizia e libertà, http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1020:giustizia-e-liberta&catid=2:editoriali&Itemid=4
Caro Ettore, quando hai lasciato questo messaggio non sapevo ancora che accanto al dott. de Magistris ci sarei stato io...
"Quel fresco profumo di libertà" Incontro con Luigi De Magistris e Salvatore Borsellino
Grazie per la magnifica serata!
Un abbraccio.
grazie! l’unica speranza che abbiamo per l’italia è diffondere le informazioni che vogliono tener nascoste
questo vale non solo sull’oggi, ma anche sulla nostra storia, e dico a tutti: leggete "il ritorno del principe" di roberto scarpinato! leggetelo!!!
La società sparente fra i libri consigliati nella home page di Antonio Nicaso
"Ciao Saverio, verro’ a fine gennaio per presentare una nuova edizione di Fratelli di Sangue, per Mondadori. Verro’ anche in Calabria. Spero di vederti. Con Ferruccio ho parlato a lungo ieri. Complimenti anche a te per il libro e per il coraggio che hai dimostrato, assieme ad Emiliano. Siete un esempio straordinario per chi e’ rimasto e continua a combattere. Ti abbraccio, Antonio"
Altri blog e siti web dai quali si può effettuare il download de La società sparente
Complimenti per il coraggio,autori de La società sparente,e grazie,grazie infinite per averci regalato la verità,rendendo scaricabile gratuitamente la seconda edizione del libro. I cittadini onesti,i calabresi onesti,sono stanchi di ricevere menzogne. Uniti a voi,in un unica voce,a favore della verità,
Anna Rita ed altri calabresi "svegliati", che non si sentono più soli.
Grazie infinite cara Annarita. Dobbiamo far circolare la verità. Siamo schiacciati da un’oligarchia fatta di burocrati, politici, grembiulini sporchi, mafiosi e gentaglia varia, che si sta mangiando tutta la ricchezza e ci lascia nella disperazione e nell’emigrazione. La società sparente può illuminare molti sui meccanismi perversi usati da chi calpesta i nostri diritti e non osserva i propri doveri, è per questo che lo abbiamo messo a disposizione di questa umanità che è all’oscuro dei fili e di chi li manovra. Ribelliamoci, avanziamo con decisione nella denuncia e nelle richieste di giustizia. Riconquistiamo la dignità e l’orgoglio di essere cittadini civili. Grazie infinite per esserci sempre vicina.
Download del decreto con intercettazioni della Why not