Commissariamenti ambientali infiniti, strani intrecci tra pubblico e privato, speculazioni, grandi sprechi e istituzioni che latitano. La ’Ndrangheta così ha gioco ancora più facile. E a furia di tirare la corda...

Reportage sulla situazione dei rifiuti in Calabria - di Ilario Lombardo e Armando Mangone

In Calabria il sistema rifiuti è al collasso
sabato 4 luglio 2009.
 
Commissariamenti ambientali infiniti, strani intrecci tra pubblico e privato, speculazioni, grandi sprechi e istituzioni che latitano. La ’Ndrangheta così ha gioco ancora più facile. E a furia di tirare la corda...

Al mattino presto le bande fosforescenti si illuminano ancora. Si muovono nervose, a scatti, da una parte all’altra del ponte di San Francesco e di viale Magna Grecia, le due vie d’accesso a Castrolibero, comune a pochi chilometri da Cosenza. Sono ammassate sotto un manifesto d’auguri per le feste natalizie. La tuta gialla, i lavoratori della Vallecrati Spa, non se la sono tolta, anche se non sono là per lavorare: è la loro divisa di riconoscimento, l’armatura da indossare per la protesta. Le strisce color argento circondano caviglie, vita e petto e si rifrangono alle luci dei pullman pieni di pendolari bloccati sulla strada. Le macchine ferme. La gente è scesa, ombrello in mano, a vedere cosa succede. Piove, il cielo è asfittico, privo di luce. Tutto intorno betoniere inclinate e traffico in tilt. Due giorni prima le tute gialle avevano già bloccato l’autostrada A3 all’uscita di Cosenza, mentre un operaio minacciava il suicidio. Vogliono gli stipendi arretrati e la certezza di un posto. La Vallecrati è sull’orlo del fallimento, non per la crisi però, come si potrebbe pensare di questi tempi, bensì per un sistema regionale che sta implodendo.

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La Vallecrati è una delle 14 società miste che si occupano di gestione dei rifiuti in Calabria, tutte e 14 legate a un comune destino: alcune hanno già chiuso, altre non hanno il gasolio per i camioncini che devono prelevare l’immondizia né soldi in cassa per garantire, appunto, gli stipendi ai dipendenti. Una situazione pronta a esplodere e che si commenta da sola: undici anni di commissiariamento ambientale (per otto commissari straordinari); impiantistica insufficiente per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti; microdiscariche abusive disseminate ovunque; raccolta differenziata praticamente sconosciuta in molti paesi e nelle poche città. Lo spettro, ora, è quello del collasso. È stato a metà del novembre scorso che il presidente del Consiglio Berlusconi, con al suo fianco il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, ha buttato la prima pietra nello stagno: «Calabria prossima emergenza rifiuti. Rischio Campania.» E un mese esatto dopo, a ridosso del Natale, mentre in Calabria sulle spiagge e tra le fiumare dell’entroterra si contavano i danni del maltempo, mentre le tute gialle bloccavano le strade, l’allarme sfociava nella decisione di prolungare - per un altro anno ancora - il commissariamento nel campo della raccolta della spazzatura che si sarebbe dovuto concludere il 31 dicembre. «Ora si può guardare avanti con più serenità», ha commentato sollevato il governatore Agazio Loiero che vedeva materializzarsi il fantasma di un ennesimo problema politico. Nuovo anno, nuovo commissario, quindi, e responsabilità diretta del Consiglio dei ministri che decide sulla nomina.

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In questo panorama, uno dei maggiori azionisti delle società fallimentari è Raffaele Vrenna. Il più potente. Raffaele Vrenna è un imprenditore crotonese proprietario, tra le altre, della società Sovreco («Da vent’anni difendiamo l’ambiente», si legge sulla home page del sito, sotto una farfalla posata su un fiore, come logo) e titolare della discarica più grande della Calabria, quella di Columbra, località vicina a Crotone. Fino alla recente condanna in primo grado a quattro anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, Vrenna era il presidente dell’Assindustria crotonese, il vicepresidente della Confindustria Calabria e il presidente del Crotone calcio. Un uomo a cui il collega Umberto De Rose, capo della Confindustria regionale, ha dato sostegno: era pronto a scommettere sulla sua innocenza. A Crotone è difficile sentir parlar male di lui. I problemi sembra siano altri: «Bolscevichi non ci avrete», si legge su un muretto vicino allo stadio.

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Sarà la passione del Crotone Football Club che unisce tutti, sarà che in questi ultimi mesi la cittadina è diventata l’epicentro dei terremoti giudiziari contro politici e mafiosi amici, saranno le scorie tossiche delle industrie dismesse, ma quando giri per Crotone e chiedi dell’affare rifiuti e di Vrenna senti solo la gente rivendicare con orgoglio il fatto di essersi accollata la monnezza di buona parte della Calabria.

I fatti giudiziari, però, raccontano un’altra storia. Una storia di voti di scambio e di corruzione per garantire il controllo del villaggio turistico di Praialonga al violento clan dei Maesano. A condurre l’inchiesta Puma è stato il pm Pierpaolo Bruni, il sostituto procuratore di ferro cui doveva essere affidata l’inchiesta Why not, avocata poi a Luigi De Magistris: è stato Bruni a dire che Vrenna «era in ottimi rapporti con i personaggi della cosca». Sul caso, nei mesi scorsi, è scoppiato un putiferio che ha coinvolto le amministrazioni locali ed è arrivato fino in Parlamento, con un’interrogazione parlamentare presentata a metà novembre da Angela Napoli, deputata fuoriuscita da Alleanza nazionale, membro della Commissione antimafia e pasionaria, sempre in prima fila, nella lotta alla ‘Ndrangheta e alla corruzione politica. Quasi ogni giorno scrive sul suo blog notizie e commenti al vetriolo sulla criminalità. E anche sulla vicenda Vrenna non si risparmia: «Vada all’anagrafe e controlli di chi è parente Raffaele Vrenna. Luigi Vrenna, Zu Luigi ’u Zirru, il capostipite della ’ndrina Vrenna-Bonaventura-Corigliano. Il boss di Crotone fino a metà degli anni Settanta, per intenderci.» I parenti però, si sa, mica si possono scegliere.

Ma la Napoli continua, «Vrenna», dice, «non è nuovo a inchieste giudiziarie». Nel 2005 una delle sue ditte di smaltimento rifiuti, la Mida Srl, vincitrice dell’appalto di alcuni lavori presso la Asl di Messina, era finita sotto un’altra indagine che lo aveva portato agli arresti domiciliari per ben sei mesi. «È riuscito a ottenere il trasferimento del processo da Messina a Crotone e il tutto si è concluso con la piena assoluzione dell’imputato.» L’ex deputata di An rincara la dose, ricorda che un collaboratore di giustizia ha denunciato rapporti della ’ndrina dei Vrenna con istituzioni e rappresentanti della magistratura. «E poi, grande sostenitore di Vrenna è Franco Tricoli, procuratore capo di Crotone». Agli onori della cronaca nazionale Tricoli è balzato al momento della pensione, tra l’agosto e l’ottobre 2008, quando, per salvare la baracca e il capitale dell’imprenditore crotonese, ha deciso di fare da garante dei beni in un blind trust, una società ad hoc che ha permesso, in una sorta di gioco delle tre carte, il passaggio delle proprietà alla moglie e alle due figlie di Vrenna, con la curiosità o il caso che la signora Vrenna, Patrizia Comito, sia stata per anni la segretaria del procuratore Tricoli.

Una storia di strani intrecci quindi che allarga e complica di molto la portata del problema dei rifiuti in Calabria. Al momento della condanna, come prevede la legislazione contro la criminalità organizzata, le tre società del gruppo Vrenna (Sovreco Spa, Salvaguardia Ambientale Spa e Mida Srl) si sono viste ritirare la certificazione antimafia, con la conseguente, e obbligatoria, cessazione di ogni rapporto con amministrazioni pubbliche, decisione che ha dato il colpo di grazia al sistema rifiuti calabrese, scoperchiandone tutte le ambiguità. La discarica dei Vrenna, infatti, smaltiva circa il 50 per cento dei rifiuti solidi urbani di tutta la regione (la quasi totalità dell’area Calabria Nord). Al momento del provvedimento di chiusura del sito, nell’agosto scorso, il commissario straordinario per l’emergenza ambientale Goffredo Sottile ha vietato a molti comuni di scaricare nella struttura dei Vrenna: una discarica, quella di Columbra, circondata dal verde, con tanto di strada alberata con steccati di legno a croce, tipo i parchi da picnic. Possibili alternative però mancano e nonostante questo alcuni sindaci si sono opposti alla proposta di mandare i rifiuti in discariche presenti nel loro territori. E così il rischio, ancora oggi, è di vedere la monnezza per strada, come è successo nelle scorse settimane a Cosenza e dintorni.

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Ma la figura di Vrenna si intreccia anche all’altro grande business dei rifiuti, quello della raccolta differenziata. La Calabria, giusto per avere un’idea, è ferma circa all’8 per cento, su una media del Paese del 25,8 per cento L’obiettivo nazionale da raggiungere entro il 2010 è del 65 per cento: se l’Italia è indietro, la Calabria è come se non fosse proprio partita. Eppure dal 2000, nell’ambito della gestione commissariale e dei piani rifiuti regionale e nazionali, sono state create appositamente, con l’obiettivo di incrementare la differenziata, le 14 società pubblico-privato, che col tempo sono diventate organismi per la gestione tout court dei rifiuti e, soprattutto, a poco a poco, da miste, sono passate in mano private. O, meglio, sono diventate ostaggio del privato, come spiega Camillo Piazza, Verdi, ex membro della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite a esso connesse: «Nelle società miste, il privato (che rappresenta il 49 per cento) entra con la proprietà di una discarica e fa pagare cifre maggiorate alla quota pubblica (che con il 51 per cento detiene il capitale di maggioranza). I costi dello smaltimento, però, non verranno mai ripagati solo con la tassa sui rifiuti, di conseguenza i comuni diventeranno morosi e le società dichiareranno fallimento per i mancati pagamenti. E a perderci, alla fine, è sempre il pubblico.» Una strana anomalia, poi, è quella che vede un solo gruppo (V&V, V come Vrenna) monopolizzare sette di queste 14 società, gruppo privato che, per combinazione, è anche proprietario della più grande discarica calabrese. A qualcuno allora potrebbe venire il dubbio che la raccolta differenziata non si deve fare, se bisogna tirare al massimo la discarica, dice Antonio Tata, presidente di Legambiente Crotone. Lui, tra l’altro, la famiglia Vrenna se la ricorda bene: racconta di aver incontrato, quando lavorava all’esattoria tanti anni fa, il vecchio boss Zu Luigi. Ironia della sorte, era venuto a pagare la tassa sui rifiuti.

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«Il commissario dell’emergenza rifiuti e la Regione, anziché premurarsi di individuare siti per nuove discariche e valutare al meglio gli impatti ambientali per l’ingrandimento di altre, si sono impegnati a risolvere la situazione della discarica dei Vrenna», tuona ancora Angela Napoli, mentre non è stato fatto nulla contro «la permeabilità delle società miste agli interessi economici della ’Ndrangheta, spesso favoriti da certi ambienti politici.» La Corte dei conti e l’Antitrust hanno più volte segnalato «gravi distorsioni», denunciando la totale assenza di gare d’appalto regolari e trasparenti nella scelta dell’attore privato delle società miste e l’avallo della struttura commissariale che, nei fatti, ha spesso affidato i servizi a chi voleva. Solo dopo l’ennesima segnalazione dell’autorità di controllo, l’attuale commissario Sottile è stato costretto a comunicare, a novembre, che non potranno più essere stipulati contratti con le società miste. Per sentire parole chiare e dirette di denuncia sull’operato della gestione commissariale non bisogna cercare tanto lontano dall’ufficio del commissario. Basta chiedere a un ex commissario straordinario per l’emergenza ambientale in Calabria, Antonio Ruggiero, che più volte ha denunciato il malfunzionamento, il sistema dello smaltimento dei rifiuti allo sfascio, l’assenza completa di una regolamentazione precisa, le spese prive di rendiconto: «Ho fatto una relazione conclusiva diretta a Prodi, un rapporto alla Corte dei conti e uno alla procura, due audizioni in Commissione ambiente Senato e Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti». E alla fine? «Tutto come prima.» Lo ricorda anche Aurelio Morrone, coordinatore dell’Osservatorio provinciale rifiuti di Cosenza: «Non c’è neanche un bilancio su carta intestata di come la struttura commissariale spendeva i soldi. Niente, risultano solo alcune cifre su fogli di appunti. Così nessun magistrato potrà mai risalire alle responsabilità oggettive di costi ingiustificati...» Si parla di circa 864 milioni di euro in dieci anni di commissariamento, lo ha scritto anche Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.

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L’ufficio del commissario non avrebbe quindi mai veramente funzionato. Senza alcuna vigilanza e alcun controllo, è rimasto un involucro vuoto, una struttura con personale virtuale, trasformato in un’agenzia di collocamento per gli impasti clientelari della politica calabrese. Nessun tentativo reale di soluzione dell’emergenza, addirittura milioni di euro gestiti senza nessun piano informatico che potesse almeno «evitare giochetti contabili». Non pensava di dover tornare a parlarne, dopo quasi due anni. Né che qualcuno alla fine se ne sarebbe interessato. «Ho ancora una rabbia addosso. Non siamo riusciti a fare nulla.» Antonio Ruggiero è ormai in pensione, ma ci mette un attimo a tornare ai mesi trascorsi a Catanzaro. Dietro la maschera degli occhialoni scuri un misto di stupore e rassegnazione per un incubo dissepolto dal recente passato. Da novembre 2006 a gennaio 2007 è stato lui ad avere a che fare con il problema dei rifiuti in Calabria: è resistito solo 78 giorni. Troppo anche per un omone di 68 anni come lui, uno che, da giovane bersagliere napoletano prima e prefetto poi, ha visto e vissuto di tutto, comprese le recenti guerre di ‘Ndrangheta a Isola Capo Rizzuto. Il fatto che oggi, agitando lo spauracchio campano, Berlusconi parli di emergenza in Calabria lo fa sorridere con amarezza: «Per mesi ho continuato a parlare da solo. Ricordo un sostegno solo telefonico da parte di Bertolaso e una certa indifferenza dell’allora assessore all’Ambiente Diego Tommasi...» E non c’è niente di peggio dell’isolamento politico e di una «preoccupante solitudine di voce». «Roma sembra continuare ad avercela con la Calabria, da quando durante la seconda guerra punica gli antichi Bruzi si schierarono con i Cartaginesi...» Non ha per nulla il piglio spesso un po’ arrogante degli alti funzionari statali, ma i gesti e la voce sono quelli di chi ha disposto e ordinato. È convinto che la vicenda della gestione commissariale ambientale «non possa essere disgiunta da una riflessione sullo scenario calabrese e su quel contesto di contiguità tra Stato e Antistato» in cui sono tanto immerse molte regioni del nostro Sud. Col suo impermeabile consunto, seduto al bar, a tratti il suo viso non riesce a nascondere un velo di amarezza. È convinto che la politica delle emergenze a botta di decreti sia la manna che sgrava politici e funzionari locali da colpe lunghe un decennio, in una logica della crisi perenne che, anche per mancanza di una legge regionale, non interviene sulle carenze di sistema. «Tutti sanno che l’ufficio commissariale non serve a risolvere i problemi ma a mantenerli tali. La gestione emergenziale si è trasformata in gestione eterna. Provate a intervistare qualcuno della Protezione civile e vedrete come tutti i tipi di commissariamento sono un grande business, ci sono seimila, forse settemila, commissari di varia categoria che guadagnano tantissimo... Perché quindi qualcuno dovrebbe risolvere i problemi? Anche a me hanno fatto capire “prendi i soldi e lascia stare tutto come sta”, io, invece, me ne sono andato in anticipo e non è una cosa frequente.» Ormai, Ruggiero guarda le vicende emergenziali da spettatore, convinto che l’augurio più bello, per l’Italia, sia che «i giovani sfuggano dal torpore» e che riescano a superare «un sistema che permette a tanti di sopravvivere sulle emergenze, violando leggi, etica e, soprattutto, buon senso». Il volto è contratto da un gesto di rammarico. «Non è una bella giornata per me, alla mia età è meglio dimenticare. Dopo 42 anni di servizio mi sono accorto che lo Stato che ho servito e difeso era l’unica cosa che non dovevo difendere e servire.»

Ilario Lombardo e Armando Mangone, Diario

Ha collaborato Maddalena Oliva

Si ringrazia Franco Pedace del «Crotonese»


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