Berlusconi alla Fiera di Roma. Comincia il congresso del Pdl *
Sabato è la volta di Gianfranco Fini: a una settimana dallo scioglimento di An, altro discorso, altro palco.
Alla Fiera di Roma, dove nasce il Popolo delle Libertà, il presidente della Camera ringrazia il premier, Silvio Berlusconi e poi dice la sua. «Berlusconi è stato chiarissimo- aggiunge- nel dire cosa è il Pdl: non è Forza Italia al quadrato, non è la fusione fredda tra diversi soggetti politici, non è un nuovo cartello elettorale ma un soggetto di popolo, sintesi delle esperienze di donne e uomini che arrivano storie diverse ma che hanno ben chiaro che l’obiettivo della politica è il bene comune». Poi aggiunge: il Pdl non esisterebbe «senza la lucida follia che a volte sembra guidare il presidente del Consiglio» che «ha creduto nel Pdl quando era difficile crederci».
È bene che il Pdl discuta nelle prossime settimane su come orientare il proprio voto al referendum elettorale di giugno, continua Fini riprendendo l’auspicio di Silvio Berlusconi per un sistema bipartitico. Quel referendum, ha detto Fini, consente una «accelerazione verso quel sistema». «Non so se siano maturi i tempi, se ci siano le condizioni per il bipartitismo - ha aggiunto - ma il Pdl può mettere nel suo dibattito interno la decisione su come comportarsi in quel referendum. Anche se questo comporterà la necessità di discutere, tra noi, e anche con gli alleati». Il riferimento è alla Lega, dal principio contraria al referendum.
«Rilanciare una grande stagione costituente», Fini torna a parlare di riforme. Ammette che fa «bene» il presidente del consiglio a «rivendicare maggiori poteri», ma fin quando la Costituzione è questa «i presidenti di Camera e Senato hanno il dovere di rimarcare il ruolo centrale del Parlamento» nel processo di formazione delle leggi. Il presidente della Camera chiede allora di cominciare a discutere sul rapporto tra governo e Parlamento, del rapporto tra le due Camere, puntando al «federalismo istituzionali, con la formazione della Camera delle regioni o delle autonomie». «Se si dà vita a una nuova forma di Stato, è doveroso -avverte Fini- discutere della forma di governo».
«Se vogliamo evitare le polemiche che entrano e escono dai giornali», sottolinea Fini bisogna «rilanciare una grande stagione costituente e bisogna farlo per davvero», dopo che il governo, per bocca del ministro Calderoli, ha espresso parere favorevole all’ordine del giorno del Pd per ripartire dalla bozza Violante. La riforma dei regolamenti «è solo un anello», bisogna affrontare il discorso nel suo complesso per «costruire un’Italia proiettata in avanti».
Infine, le conclusioni: «Abbiamo un leader che si è imposto, abbiamo un popolo che è un popolo di consenso e abbiamo una enorme potenzialità organizzativa. Dobbiamo impegnarci per dimostrare di avere le idee giuste per costruire l’Italia di domani. Sono convinto che se continueremo all’insegna della lealtà, che è alla base di tutto, il tempo dimostrerà che abbiamo quelle capacità di capire il futuro e inizieremo a costruirlo per far sì che l’Italia di domani sia migliore di quella di oggi».
La platea si alza in piedi, primo fra tutti il presidente del Consiglio, per applaudire il discorso del presidente della Camera.
Nella giornata di venerdì è stato invece il discorso del presidente Silvio Berlusconi a segnare il congresso. La platea lo applaude, lui risponde con il pugno chiuso. Poi, è lo stesso Berlusconi a ringraziarlo in apertura del suo intervento.
Al congresso è arrivato anche un messaggio del presidente Napolitano, in cui ringrazia «per il messaggio che mi è stato indirizzato nel giorno della nascita del nuovo partito del Popolo della libertà». «Ho colto nel messaggio - scrive il Capo dello Stato - insieme con accenti di cordiale riconoscimento ed omaggio, riferimenti puntuali agli indirizzi che ho perseguito e perseguo nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica, come imparziale garante di valori, principi ed equilibri sanciti nella Carta. Confido - conclude il presidente della Repubblica - che il Popolo della libertà vorrà assecondare ogni sforzo rivolto ad affermare una leale collaborazione tra le istituzioni e a favorire un clima politico di maggiore corresponsabilità nel superiore interesse della nazione e della sua unità».
Il discorso di Berlusconi è zeppo dei suoi cavalli di battaglia: «Siamo il partito degli italiani che amano la libertà - dice - e che vogliono restare liberi». «Il Pdl è forte, il più grande partito per consensi, e vincente perchè si è già affermato nelle urne», aggiunge. Poi è la volta die suoi amati sondaggi, quelli «veri - dice - non quelli fasulli di chi ci gioca con i sondaggi: ci danno al 43,2%. è inutile nascondere che puntiamo al 51% e sappiamo come arrivarci. Sono sicuro - prosegue - che ci arriveremo». Poi cita De Gasperi e Don Sturzo. E la sfilza di alleati che sono confluiti nel Pdl: da Baccini a Della Vedova, da Rotondi a Nucara, fino a Giovanardi.
Poi parte l’affondo alla sinistra e alla sua concezione dello Stato che «ci allontana dalla libertà e dalla civiltà». Il premier accusa la sinistra di considerare lo Stato «quasi un moloch, divinità, ma ha solo le sembianze della divinità perchè in realtà» quello che gli interessa «è solo l’esercizio del potere per una oligarchia». Al contrario, sostiene Berlusconi, per il Pdl esiste «la religione della libertà».
L’ossessione per i «comunisti» non gli è passata: Berlusconi ricorda la sua discesa in campo contro «la sinistra uscita quasi indenne dalla tempesta politico-giudiziaria, risparmiata in modo chirurgico dalle inchieste della magistratura militante, che entrò nelle macerie della prima Repubblica come l’Armata rossa a Varsavia e Berlino, dopo aver opportunisticamente atteso alla frontiera». Poi ricordando il cambio di nome del Pds, dice: «Non si diventa democratici soltanto sostituendo una parola». E ancora: «La sinistra non ha mai avuto il coraggio e la forza di rinnegare il comunismo e chiedere scusa agli italiani. La destra italiana si è rinnovata, loro hanno solo fatto finta». Per il premier gli ultimi 15 anni sono «un carosello di trasformismi e di autentici trasformisti: trasformisti botanici: dalla Quercia all’Ulivo, dall’Ulivo alla Margherita». Per non parlare, aggiunge il premier, dei «tradimenti, delle risse e degli psicodrammi parlamentari. Per esempio- conclude- stendiamo un velo pietoso sull’ultima esperienza governativa» di Romano Prodi.
E ancora: «Questa sinistra è incapace di governare, è sempre divisa e sa solo insultare. Anche per questo continua a perdere ogni consultazione elettorale». Ne ha anche per Veltroni, che per lui è stato «un bluff, l’ennesima finzione o almeno un improbabile azzardo», e per Franceschini, che «ha subito rinnegato quello che era stato il suo segretario per cercare di salvare il salvabile». Infine, si appella a «una sinistra riformista e un’opposizione moderna» perché «non possiamo caricarci i loro problemi sulle spalle» ma «abbiamo promesso solennemente di governare anche per quegli italiani che non ci hanno votato».
L’ordine dopo la follia
di Ida Dominijanni (il manifesto, 29 marzo 2009)
C’è il tempo della follia e c’è quello della razionalità. C’è il calore del carisma e c’è la freddezza dell’affidabilità. C’è l’abbraccio simbiotico col popolo, e c’è l’ordine istituzionale che separa corpi e gerarchie. Chi fin qui s’è posto il problema del rapporto fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini nei termini canonici della successione e del delfinato, scrutando nelle risse quotidiane i segni di un contrasto strategico, potrà interpretare le performance dei due leader alla Fiera di Roma come una conferma, ma forse meglio farebbe a vederci una smentita. In politica, come nella storia, non vale il tempo lineare e progressivo: i tempi si sovrappongono, e le divaricazioni possono convergere.
Distanti nei contenuti e nelle forme, Berlusconi e Fini non si elidono e non si contraddicono, si sommano come le due metà complementari di un disegno a un’unica direzione. Senza la "lucida follia" di Berlusconi, è Fini a dirlo, il glorioso quindicennio che va dal ’94 a oggi non ci sarebbe stato e il Pdl non sarebbe mai nato. Ma senza la gelida razionalità di Fini, quel quindicennio sarebbe destinato a finire nel vento di una storia che comincia a girare dall’altra parte, il carisma del Capo a sgonfiarsi prima o poi come la bolla speculativa, il sistema istituzionale ad assestarsi senza sedimentare il terremoto degli anni novanta. Per Berlusconi Fini non è solo un ingombro: è una necessità. E per Fini Berlusconi non è solo la fonte mistica della grazia ricevuta in forma di sdoganamento: è un propellente da cui continuare a drenare energia.
Consumata, nel discorso d’apertura di Berlusconi, l’apoteosi della "rivoluzione azzurra" iniziata con la mitica "discesa in campo" del ’94; confermati uno per uno i suoi luoghi comuni, i suoi falsi storici e i suoi fantasmi anticomunisti; messa in scena la relazione d’incantamento fra capo e popolo che del Pdl è il cuore e quella fra partito e nazione che ne è il programma, bisognerà pure pensare al futuro. Ed è qui che arriva in soccorso Fini, per prefigurare la ragione generata dalla follia, l’ordine generato dalla rivoluzione, la farfalla - nelle sue parole - che prima o poi dovà pur nascere dalla crisalide. Ovvero, la grande riforma dello stato, del governo e del parlamento che darà finalmente un profilo definito alla seconda repubblica, ripulirà il quindicennio rivoluzionario dei suoi eccessi populistici, e metterà fine ai contrasti di oggi fra l’uomo delle istituzioni, che "deve" difendere la norma vigente, e l’uomo di governo, che "giustamente" rivendica più poteri. Quella riscrittura della Costituzione che dopo il ’94 Berlusconi non potè fare con un’assemblea costituente, che non volle concludere in una bicamerale che non gli concedeva abbastanza, che in seguito gli fu bloccata da un referendum, "il partito degli italiani" potrà finalmente imporla con piglio egemonico.
Diversamente da come qualcuno sperava anni fa a sinistra, la "nuova destra" italiana non si è costituzionalizzata: viceversa, concluderà la sua avventura riscrivendo la Costituzione. E diversamente da come qualcuno scrive oggi, nel futuro non c’è una nuova Dc ma il suo reciproco: la Dc traghettò pezzi dello stato corporativo nella repubblica costituzionale, il Pdl vagheggia uno stato neo-corporativo sulle macerie della repubblica costituzionale.
C’è materia, certo, che divide Fini dal Capo carismatico: ma sui diritti degli immigrati ci penserà la Lega a frenarlo, sulla laicità dello stato ci ha già pensato il dibattito di ieri, sulla politica economica continuerà a dettare legge il premier-imprenditore e sul referendum si vedrà. Per il resto, la prospettiva è la stessa, parla la lingua comune della Nazione e della tradizione, e si avvale di una contro-narrazione della storia repubblicana che ha i suoi intellettuali organici alla Quagliariello e i suoi replicanti alla Cicchitto, ed è diventata di senso comune senza adeguati anticorpi da parte della sinistra. La quale, in questo Fini ha ragione, a confronto con la nascita del Pdl non appare in crisi di consenso, ma di idee. C’è ancora un errore che per mancanza di idee può fare, ed è quello di prendere Gianfranco Fini a propria star di riferimento per rimettere in ordine il paese.
Undicietrenta
Berlusconi, il vecchio
di Roberto Cotroneo (l’Unità, 28.03.2008)
Però qualche domanda bisognerebbe farsela. Perché dopo l’intervento di ieri di Berlusconi al congresso della Pdl ci sono alcune cose che stridono tra loro. Ogni volta che definiamo Silvio Berlusconi un uomo dell’antipolitica, un disco rotto che ripete sempre le stesse cose, uno che si occupa soltanto dei suoi affari e lo fa con assoluta determinazione, un narcisista che fa gaffe su gaffe, che ricorre alla chirurgia estetica in modo evidente e grottesco, che non ha niente in cui una persona con un minimo di buon senso possa riconoscersi, e parlo anche di persone di destra; ogni volta dicevo che si incomincia questo discorso c’è un politico, un sociologo, un analista politico di fine lettura, un giornalista attento ai fenomeni di massa che ti rimprovera: nessuno di voi ha capito Berlusconi, perché Berlusconi è uno che intercetta l’elettorato, perché Berlusconi è una sorta di rabdomante, uno che trova l’acqua nei deserti, perché Berlusconi è uno che vince sempre, e se vince un motivo ci sarà. E soprattutto: perché Berlusconi è la modernità, è uno che ha trasformato in vecchio tutto quello che c’era prima; non solo ha spazzato le ceneri del vecchio centro destra, ma ha messo in una vetrinetta antica l’intera sinistra.
Va bene. Non si è capito nulla, e forse le cose stanno proprio così, ma il Berlusconi di ieri non è uno che intercetta, ma è uno che è rimasto uguale al paese del 1994, è uno che torna ancora a dire che questa sinistra non cambierà, è uno che - in un mondo profondamente cambiato da allora - usa gli stessi stilemi, gli stessi luoghi comuni e agita gli stessi fantasmi di quando scese in campo, di quando entrò in politica. E allora? Se vince con questo armamentario, se le armi sono sempre le stesse non vuol dire che lui è moderno, che lui è il futuro, e non lo abbiamo capito.
Ma vuol dire che probabilmente esiste un elettorato di centro destra, quel 51 per cento a cui aspira Berlusconi, che è ancora più vecchio del suo leader, che è più ignorante, che pensa ancora alla sinistra come a qualcosa di cattivo. Forse non è Berlusconi l’elemento modernità, ma Berlusconi è soltanto un po’ meno vecchio dei suoi elettori, che sono culturalmente e socialmente decrepiti. Invecchiati con le sue televisioni. Intercettati da sua Emittenza, come veniva chiamato un tempo, nel modo più prevedibile possibile. Altro che modernità. Forse per disinnescare Berlusconi bisognerebbe fare in questo modo. Continuare a far passare un messaggio, vero, non di propaganda: Berlusconi è vecchio, e sono vecchi tutti quelli che stanno accanto a lui. Non è il nuovo, è il vecchio. E ieri questa vecchiaia politica e culturale si è vista tutta.
Pdl, Berlusconi chiude il congresso e s’incorona presidente *
In An sembra che sia rimasto un briciolo di ironia - e autoironia. Perché prima dell’arrivo di Berlusconi alla nuova Fiera di Roma, alle 12.05, attendendone l’elezione bulgara a Presidente del neonato Pdl (Fini oggi non è in platea), anche Giorgia Meloni invita la platea dei delegati a votare "l’unica candidatura pervenuta, quella di Silvio Berlusconi": dalla platea si sentono risate, e anche lei sorride. Quindi, mentre i delegati alzano il badge per proclamare all’unanimità l’elezione del Cavaliere, Berlusconi fa il suo ingresso in sala, circondato dalle guardie del corpo. Un saluto alla prima fila, poi il coro ’Silvio, Silvio’, Berlusconi con la mano sul cuore saluta i delegati e inizia a pronunciare il discorso di chiusura del congresso del Pdl.
Un discorso limato fino all’ultimo al secondo piano di Palazzo Grazioli, attraverso cui l’imperatore del Pdl ha voluto marcare e mettere un segno alla giornata di oggi sparando a zero su tutto ciò che non appartiene alla sua parte politica e al suo partito.
Berlusconi ha iniziato a parlare autoelogiandosi per la "lucida follia", riconosciutagli a suo dire anche da Gianfranco Fini, che lo ha "portato fin qui". Immancabile la citazione del solito Erasmo da Rotterdam. Quindi è passato all’autocelebrazione, ripercorrendo alcuni passaggi del suo discorso del 1994 che i delegati, guidati da una sapiente regia, potevano seguire in un opuscolo distribuito a tutta la sala. Dopo quattro minuti ha abbracciato idealmente la platea, facendo scattare un lungo applauso. Passano appena dieci minuti, e parte l’attacco alla sinistra, che "non fa opposizione al governo, ma al Paese", dato che si oppone alla "rivoluzione liberale che mette la persona prima dello Stato".
E’ l’ora dell’elenco dei successi del governo, nonostante la crisi: "Abbiamo alimentato la fiducia - dice il premier - e ridato sostegno alle fasce più deboli, abbiamo salvato le banche, esteso e raddoppiato i sussidi anche a chi non li aveva, come i lavoratori a progetto". Esaurita la lista dei miracoli governativi, Berlusconi è passato alle promesse, partendo da quella "per una scuola migliore". La sala ha accolto con un’ovazione il passaggio sula scelta libera da parte della famiglia della scuola privata e su quello della "lotta ai baroni". Parlando dell’Università, il presidente del Consiglio è stato interrotto a ogni frase da un applauso. Quindi si è attribuito il merito di aver varato "ben 7 leggi in difesa delle donne, a differenza della sinistra che non ne aveva fatta neanche una". Lunghi applausi quando il premier parla dell’"ambientalismo ideologico" e del "falso ambientalismo".
E’ insomma, quello costruito da Berlusconi, un "Paese più moderno", dove c’è bisogno di "cambiare la struttura istituzionale dello Stato, affinché si trasformi da calabrone a crisalide a farfalla". Un riferimento a Fini: "Caro Gianfranco, la farfalla deve spiccare il volo. Lo vogliono i nostri giovani, che si sentono più farfalle che calabroni". E alla prima mezz’ora di discorso, scatta il trentesimo applauso.
E’ arrivato il momento di parlare della Costituzione: "Noi l’avevamo già riformata nel 2005, cambiandone 50 articoli. Ci siamo impegnati per oltre un anno - continua il premier - ma la sinistra si rifiutò di votare e indisse il referendum che cancellò la legge". Il "premier che unisce" fa scattare un’altra raffica d’attacchi all’opposizione: "Proponemmo l’offerta di una legislazione costituente, prima ci dissero di sì e poi invece ce la boicottarono, accusandoci di regime".
Quanto al federalismo, "quello del 2001 era falso, il nostro è una vera riforma di sistema". E quale potrebbe essere una delle riforme di sistema di cui parla il premier? Casualmente, il rafforzamento dei poteri del premier: "Il presidente del consiglio deve avere maggiori poteri rispetto a quelli attuali quasi inesistenti". Berlusconi descrive il tasso di operatività del suo ruolo come nullo: "Posso esercitare solo un’azione di moral suasion, non posso nominare o revocare ministri (sic!), posso solo redigere l’odg del Consiglio dei Ministri". E’ ovvio, quindi, che per l’imperatore Silvio la modernizzazione della Costituzione passi necessariamente attraverso più poteri affidati al premier. E, in seconda battuta, per l’indebolimento del Parlamento: "Non è più rinviabile la riforma dei regolamenti parlamentari - dice il premier - il Parlamento deve votare le leggi nei tempi dettati dall’urgenza". Per il premier, "il governo deve governare, il Parlamento controllare", ma la platea è tiepida rispetto a questa parte istituzionale del discorso del presidente.
Soltanto un’inquadratura a tutto schermo di Renato Brunetta, citato dal premier a proposito della riforma della Pubblica Amministrazione, risveglia la sala, che si scatena in un applauso fragoroso alla "Lorella Cuccarini" dell’esecutivo.
Il discorso ora è tutto sulle Europee: Berlusconi evoca il "Popolo europeo" e si autocelebra come "un vero leader che chiama a raccolta il suo popolo". Quindi, annuncia che si candiderà alle elezioni per rinnovare il Parlamento Ue e sfida il segretario del Pd Franceschini a fare lo stesso: è standing ovation della sala.
Berlusconi parla quindi della "moralità del fare" e nomina tutti "missionari della libertà", quindi chiama sul palco i membri dell’Ufficio di Presidenza: ministri, governatori, sindaci, presidenti e vicepresidenti: "in primo piano le donne". E chiama anche il coro, composto da una trentina di persone, che si dispongono intorno ai cinque microfoni che costituivano la scenografia del palco stamattina. "Oggi si conclude la lunghissima transizione italiana", dice, e scatta prima l’inno nazionale, poi "Meno male che Silvio c’è", quindi l’Inno alla gioia (che è l’Inno dell’Unione europea). E si chiude così il primo congresso del partito fondativo del partito, marcato dall’assenza di Gianfranco Fini.
* l’Unità, 29 marzo 2009