Editoriale

Un giorno di pensieri

Un giovane calabrese si chiede che cosa vuole fare, in una regione dominata dalla ’ndrangheta, in un mondo schiavizzato dalle oligarchie
giovedì 3 settembre 2009.
 

Noi stessi siamo i garanti e i sostenitori di una società malata che vive di schifosi compromessi.

Come comportarsi allora? Vivere una vita di compromesso? Mettersi in gioco solo quando si è sicuri di non perdere o cadere? (...)

In questa terra, che non è come sembrerebbe, terra di nessuno, non è terra abbandonata ma solo semplicemente ed orribilmente terra di ‘ndrangheta, si vive da schiavi. (...)

“Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti” scriveva l’illuminante De Andrè. (...)

Abbiamo la mentalità bieca delle scorciatoie. (...)

Abbiamo la mentalità torva dei favori. (...)

Siamo una società in gabbia incapace di autodeterminarsi.

Momenti come questi nei quali mi chiedo se quello che sto facendo della mia vita sia giusto, sono frequenti, molto frequenti.

Non che "giustizia" sia un termine che si possa usare con leggerezza, né di cui ne conosco un significato univoco, ma la sensazione che non stia facendo davvero quello che voglio veramente c’è.

A questo punto la domanda è che cosa voglio veramente?

Certo verrebbe facile rispondere con costruzioni teoriche bellissime e perfette, di cui peraltro il mondo è pieno; ma è la pratica, di ogni giorno vissuto su questo pianeta reso misero dall’uomo, che li smentisce.

Il fatto è che mi rendo conto di sapere molto poco di quello che effettivamente dovrei sapere o che vorrei poter sapere; è questo stato di profonda ignoranza in cui sono assopito a farmi sentire un’esigenza che certamente dovrà essere fondante di qualsiasi percorso che deciderò di intraprendere. L’esigenza appunto di studiare, di informarmi, istruirmi, per capire cosa accade attorno a me.

Un giorno, sfogliando per caso, un libricino sulle origini delle associazioni massoniche mi saltò all’occhio una frase significativa: “la massoneria non è niente altro che un gruppo di persone che prendendo atto delle proprie facoltà invece di subire la storia decide di esserne il motore”.

Essere il motore della storia, pensai, significa in qualche modo plasmarla e pur essendo fermamente convinto dell’uguaglianza sostanziale e formale dei diritti fra gli uomini, ritenni inconfutabile che ve ne fossero in questo tempo come negli altri passati alcuni più capaci di altri, a cui spettava come dovere quell’oneroso compito. Capendo quindi la possibilità se non di essere già uno di quelli, sicuramente di poterlo (anche se a fatica) diventare, arrivai alla conclusione che questa vita è degna di essere vissuta solamente da protagonisti.

Essere protagonista. Parrebbe cosa quanto mai gloriosa, ma si sa, le prime file sono quelle che in battaglia cadono per prime. Come comportarsi allora? Vivere una vita di compromesso? Mettersi in gioco solo quando si è sicuri di non perdere o cadere?

Grande fu la magnificenza dell’uomo nell’affrontare simili dilemmi di etica ma, ahimè, qualsiasi discorso o ragionamento che voli un po’ più alto finisce irrimediabilmente per precipitare quando mi ricordo di vivere nella mia amata Calabria; qui il destino di tutti sembra immobile.

Anche dopo un’analisi non troppo accurata e profonda, ci si rende conto in modo disarmante dell’impossibilità di poter cambiare lo stato delle cose. In questa terra, che non è come sembrerebbe, terra di nessuno, non è terra abbandonata ma solo semplicemente ed orribilmente terra di ‘ndrangheta, si vive da schiavi.

Sì. Schiavi, tutti schiavi, sia chi opera dentro l’organizzazione, sia chi vi ci sopravvive al di fuori: tutti indistintamente - certo chi in grado di maggiore coinvolgimento e chi in grado minore, ma sempre e comunque schiavi. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti” scriveva l’illuminante De Andrè.

Noi stessi siamo i garanti e i sostenitori di una società malata che vive di schifosi compromessi.

Abbiamo la mentalità bieca delle scorciatoie, che ci appaiono semplicisticamente solo un modo comodo di arrivare a un dato obbiettivo, non capendo invece che tali corsie preferenziali diventeranno, e già lo sono, un labirinto irrisolvibile; Abbiamo la mentalità torva dei favori, che prima o poi dovremo ricambiare per riceverne degli altri, creando così una sociètà diseguale in cui prevale la logica del più forte.

Disconosciamo l’interesse pubblico o peggio non riusciamo ad anteporlo a quello privato.

Siamo una società in gabbia incapace di autodeterminarsi.

Combatto ogni giorno per non farmi sopraffare da questo modus vivendi, che è soprattutto un problema culturale nonché storico, e così facendo mi scontro ripetutamente con il male peggiore che affligge l’ umanità: la stupidità non consapevole.

Sono convinto che si possa e si debba fare qualcosa ma non so bene come e dove farla ma soprattutto con chi.

E’ agghiacciante come delle volte, il più delle volte, mi senta solo ed in qualche modo emarginato da questa società che non capisce e non tutela la mia sacrosanta esigenza di libertà che dovrebbe essere quantomeno condivisa.

E’ come se lo stato attuale delle cose alla fine vada bene un po’ a tutti; altrimenti non si spiegherebbe tutta questa passività e obbedienza al sistema vigente.

Ma come è possibile che una minoranza decida il nostro destino e noi non riusciamo a ribellarci?

A questa domanda da tempo mi sono dato una risposta: infatti quella che in realtà è minoranza diventa purtroppo maggioranza schiacciante mischiata e confusa con maestria a quella massa considerevole di malati afflitti da stupidità non consapevole.

La verità vera è però che questo problema sociale ed esistenziale non può essere trattato così generalmente ed è molto più complesso e soprattutto pieno di sfaccettature di quanto possa sembrare; inoltre non ci si può prendere il lusso né di cadere in luoghi comuni irrilevanti né in un inconcludente disfattismo.

Non avendo ancora però la capacità per farlo, non lo farò.

22 novembre 2008, Diego Antonio Nesci


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