Editoriale

San Giovanni in Fiore: sanità, la maggioranza non vuole una proposta condivisa

martedì 16 febbraio 2016.
 

Il potere è spesso fatale a ogni livello, perché trasforma le persone o ne svela le reali inclinazioni. Pino Belcastro è stato eletto sindaco di San Giovanni in Fiore da oltre il 90% dei votanti. L’hanno sostenuto elettori di centrodestra, delusi, scontenti, amici e voltagabbana, sommati alle truppe d’assalto di Mario Oliverio, il governatore.

Gli esordi della sua amministrazione sono stati carichi di evidente buonismo, generica pacificazione sociale, entusiasmo di maniera, disponibilità allo scambio su Facebook, propaganda fissa sul social, festicciole, sagre, folklore e «spirali di fumo».

Per mesi Belcastro ha pubblicato sopra il suo profilo fotografie assieme a giovani e anziani, scatti di inaugurazioni, immagini di luminarie, delle luci Anas nella galleria per Castelsilano, di tagli di nastri, di atti amministrativi altrui e di vecchi progetti all’avvio. Naturalmente, non poteva mancare l’eloquente jpg della nuova, fiammante ambulanza arrivata dall’Asp di Cosenza, che nella narrazione iconica del sindaco documenta l’impegno profuso e l’abnegazione della giunta intiera, confermando un’attività interminabile, carica di grandi successi e moltiplicata per neve, bufere, tempeste di sabbia ventilate o possibili invasioni di locuste.

Sempre sorridente il primo cittadino, in questa sua ipertrofia da politico 2.0; sempre prodigo di ringraziamenti per ogni azione ordinaria, scontata o dovuta; sempre accorto al calendario, con citazioni selezionate, messaggi, benedizioni urbi et orbi, iniezioni di fiducia, «fiumi di parole».

A cotanta concretezza non può che corrispondere un riscontro virtuale dai contorni del «vuoto di senso» della canzone di Sgalambro-Battiato e del tempo in cui viviamo, in cui il narcisismo diventa eroismo e il jeans strappato un abito di sartoria.

Dev’esserci un motivo, una ragione presto intelligibile per cui il sindaco s’industria con tale pervicacia nelle odierne pratiche dell’apparire-ammantare. Ecco, oggi è chiaro anche ai baccalà che il bassolinismo del Nostro nasce dal fatto che non sa come - né può - gestire il rilancio dei servizi sanitari, per cui promise il mare agli elettori, oggi ridotto a bacinella di raccolta.

«Ospedale generale», diceva con luogotenenti e codazzo l’allora big dell’opposizione al primo cittadino Antonio Barile, reo di obbedire al cattivo commissario Peppe Scopelliti, gravato dalla vicenda Fallara e dagli affari nel Reggino. Così Belcastro rincarava la dose e prefigurava scenari altri, grazie alla potenza di Oliverio, innanzi al quale si aprono le acque, si sposta Montecitorio e a Palazzo Chigi s’abbassano i calzoni.

Dall’«ospedale generale» di allora siamo passati alla «chirurgia sperimentale», di dalliana memoria, appesa alla volontà del commissario Scura e in ogni caso fuori della logica, come sanno bene gli addetti ai lavori: medici, infermieri, ausiliari, oss e burocrati di Catanzaro.

Oggi le energie e gli “investimenti” politici della maggioranza sono tutti concentrati sulla «chirurgia sperimentale», perché basta decretarla e il gioco è fatto. Partirebbero «tamburello, cembalino, trik e trak, bum, botti, saette» e l’«Inno alla gioia» di Schiller-Beethoven, accompagnato dal mitico Giovanni Varca a suon di clacson e animato dalla giovanile del Pd coi pompon e le maglie con ritratto di Gioacchino da Fiore per meglio veicolarne il pensiero.

L’obiettivo è, allora, avere un pezzo di carta che dica qualcosa - e «chirurgia sperimentale» fa brand -, di modo che appaia un interesse, un’attenzione, un frutto politico della maggioranza di governo locale, sempre coi buoni auspici del governatore, che muovesi circospetto per il bene del paese d’origine.

Qualche volta, però, oltre al posteriore bisogna salvare anche la faccia. Ed è per questo che ai consiglieri comunali di San Giovanni in Fiore, per l’ennesima volta, chiedo di promuovere al più presto un consiglio comunale aperto. Perché la sanità è precipitata nel pozzo, perché bisogna ascoltare chi ci lavora, trovare una proposta complessiva per i servizi nel territorio e non arretrare rispetto alle logiche, disumane, del governo centrale.

Mario Oliverio potrebbe, deve essere della partita. Ma anche lui dovrebbe dire qualcosa, rompere gli indugi, lasciare un’eredità di sostanza oltre ai circenses.

Emiliano Morrone

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