Sembra il sottoscala di una palazzina irachena risparmiata dalle bombe, che vedevi al tg1 quando l’amico Pino Scaccia raccontava la guerra del Golfo. Niente, manca lo spazio per il triage, cioè lo smistamento dei pazienti assiepati. C’è una panchina, due seggiole e una porta che apre ai posti di fortuna del pronto soccorso dell’ospedale di San Giovanni in Fiore.
Un solo medico, la dottoressa Rosa Maria Spina Iaconis, si divide in quattro per affrontare la situazione. Un’anziana ha superato da pochi minuti un edema polmonare e sorride dietro alla maschera dell’ossigeno; pericolo scampato. Un cantore d’osteria ha mal di pancia e siede con flebo sopra una sedia a rotelle anni Novanta; staziona in corridoio e lotta col telefonino come don Chisciotte del futuro. Una signora è sistemata in uno spogliatoio, stesa su una barella dopo un mancamento in casa propria. Arriva un bimbo, strilla, si cheta. Ha battuto il capo ma se la cava con un cerotto e il saluto affettuoso dei sanitari, che intanto corrono da una ragazza allocata dietro a un paravento.
Alle ore 22,30 si contano una ventina di pazienti, fra curati e in attesa. È lunedì 8 febbraio del 2016. A Catanzaro, il commissario del governo, Massimo Scura, sarà a cena da gourmet per concentrarsi sulla riunione del mattino, convocata per l’asserita inutilità della verifica sulla Cardiochirurgia universitaria, che per la commissione di controllo non ha affatto i requisiti di legge.
Salvatore Fuina, gli altri infermieri e gli oss di turno lavorano frenetici, assieme alla dottoressa Spina Iaconis; tutti con l’umanità negli occhi e nella voce. È una squadra rodata, qualcosa di simile a Emergency, dati i locali e le condizioni operative. La dottoressa del 118, un’altra, ha la divisa da cantieri della A3, con fasce giallo e arancio che luccicano più del verde del signor Burnes dei Simpson, nella puntata in cui diventa radioattivo. Eccola, sta partendo per Cosenza con la sezione «trasferimenti»: un signore coi capelli bianchi verrà portato lì per una consulenza cardiologica. C’è da accompagnare anche una giovane con dolori per calcoli, ma in direzione Crotone. Occorre aspettare il ritorno dell’ambulanza da Cosenza, in modo da avere una sorveglianza medica.
La verità è che i governi hanno tagliato posti letto, personale, strumenti, risorse. Hanno tagliato e basta, qui come negli altri ospedali di periferia e centro. L’hanno fatto giustificando in ogni modo: la tele-radiologia, la tele-lettura, la tele-sanità. Peccato, però, che la centrale operativa di Cosenza, sentiamo nel vociare appena fuori, non cerchi posti via telefono. È dunque il medico di turno o chi per lui a doversi arrangiare, bussando a destra e a manca con la cornetta fissa in mano; perfino provando a Castrovillari, Acri o Matera.
Ecco come dover perdere tempo prezioso, ma i direttori generali sono indaffarati, presi, ingolfati e perciò attendono d’ufficio che Scura finisca i suoi giri per la Calabria; tra impegni, casini, Lotti, Gelli, Magorni e le magie al dipartimento regionale, che al revisore Kpmg ha assegnato un milione e duecentomila e passa euro per servizi aggiuntivi in violazione del codice degli appalti, come ha denunciato la deputata M5s Dalila Nesci .
Intanto, la direttiva europea sui turni di lavoro è entrata in vigore e a «palazzo» non se ne sono ancora accorti, da Nord a Sud. La dottoressa Spina è da sola, adesso, in pronto soccorso. Se capita un’emergenza in Medicina, al piano di sopra, deve lasciare sguarnita la postazione. Qualche medico in aggiunta non rovinerebbe la sanità calabrese, diciamolo al ministro della Salute Lorenzin e al ministro dell’Economia Padoan. Anche perché in sedici anni la Calabria ha dovuto spendere un miliardo e seicento milioni in più delle altre regioni, per la cura dei pazienti cronici. Sappiatelo, benché ci costringano al piano di rientro.
Dopo le elezioni della scorsa primavera il sindaco Giuseppe Belcastro non si è più visto da queste parti. Da perfetto politico. Eppure sul suo profilo Facebook pubblica soddisfatto gli atti di gara dell’Asp di Cosenza per adeguare alle norme il pronto soccorso dell’ospedale di San Giovanni in Fiore. È una pratica vecchia e insulsa, contestuale all’ammodernamento del blocco operatorio, per cui si spesero pacchi di soldi pur sapendo che quelle sale sarebbero rimaste chiuse per sempre; salvo qualche parto necessario, vissuto come evento, in questa comunità sanitaria e locale che preserva l’emozione d’una volta.
L’orientamento della maggioranza di qui, sdraiata innanzi al Pd di governo (nazionale, centrale e locale), è «chirurgia sperimentale» e nessuna discussione in consiglio, aperta o carbonara, sui problemi veri della sanità.
«Facciamo noi», sembra dire col suo viso da pacioccone il sindaco Belcastro, che ha già pensato a un incontro, l’ennesimo, col dg dell’Asp di Cosenza. Sicuramente per discutere, puntualizzare, rappresentare le istanze della città che va «avanti tutta», nonostante Scura e il sodale sub-commissario Urbani facciano andare la sanità regionale indietro tutta; non col seguito musicale di Arbore, ma con le note stonate e stridenti di Mario Oliverio, che se la prende col governo regionale un giorno sì e l’altro pure.
Emiliano Morrone
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