Perché utopia e democrazia? Quali sono i nessi tra questi due termini? “Utopia e democrazia” può significare due cose.
Da una parte che la nostra democrazia è una realtà evanescente e la sua costituzione soltanto un programma, un impegno, un lavoro da compiere, un percorso da seguire difficilmente percorribile.
Dall’altra che la democrazia, sistema politico che dovrebbe garantire la piena eguaglianza delle condizioni di partenza, la massima libertà nella vita privata, l’accoglienza degli stranieri, la selezione dei migliori, oggigiorno si presenta come un’oligarchia di volgari demagoghi dalla fame insaziabile; un’oligarchia che corrompe, distrugge i valori, deteriora l’uomo, l’ambiente e la società.
Democrazia non attuata e fortemente degenerata, quella di oggi.
E noi in tutto questo che possiamo fare, voi che potete fare?
Siamo qui, assieme ad un filosofo che da tempo ci dà ispirazione e a uomini dello Stato che ogni giorno vivono le contraddizioni tra le leggi naturali, morali e giuridiche, per fare un appello all’utopia, cioè al pensare in grande.
Avere una visione alta e liberatrice della politica, oltre i piccoli giochi, le modeste gestioni del potere, gli interessi particolari, gli abusi.
Non si può fare democrazia senza utopia.
Non furono degli utopisti i nostri Padri costituenti? Non furono dei sognatori ad occhi aperti nello scrivere che la sovranità appartiene al popolo, che la libertà personale è inviolabile, che tutti siamo uguali davanti alla legge, che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla vita del Paese?
Non è questa una carta utopica, per tutto quello che ancora non è realizzato?
Eppure è una legge che ci consente di essere qui, con voi, a manifestare liberamente la nostra opinione. Di andare da un giudice se un privato cittadino o un pubblico potere ci fa un torto. Di contestare e fare abrogare una legge dello Stato che violasse un nostro diritto costituzionale. Di avere diritto ad un processo se un giorno ci venisse la strana idea di commettere un qualche delitto.
Non era questa pura utopia sino a qualche secolo addietro, quando ad esempio la tortura era normale mezzo di ricerca della prova? E la gogna, la flagellazione, le rotture di ossa, i roghi erano le pene abituali per aver manifestato questa o quella opinione non in linea con i poteri costituiti? E una guardia poteva arrestarci e chiuderci in gattabuia solo sulla scorta di un sospetto?
Viviamo in uno Stato che, per quanto imperfetto, è pur sempre uno stato di diritto e di cui non copiamo l’importanza. Forse perché non abbiamo combattuto, non abbiamo sparato, non abbiamo ucciso un nostro simile per riscattare la libertà e la dignità... Abbiamo ereditato un tesoro che non siamo in grado nemmeno di spolverare.
Vi faccio una domanda. Questo mondo che ci circonda è un mondo in cui ci sentiamo a nostro agio? Vi sentite realizzati e soddisfatti? Se la risposta è positiva, l’incontro di oggi è inutile, ma se la risposta è negativa, se pure non digerite una sola briciola di questa società, ecco allora che ognuno di noi, ognuno di voi deve ricominciare a sognare, deve avere il coraggio di fare utopia.
Vi lascio con una frase di Pericle, uomo politico che tutti voi conoscete: “Ammettere di essere povero non è motivo di vergogna per nessuno, lo è invece, e ben di più, non fare nulla per venirne fuori”.
Avere il coraggio di sognare, di fare utopia, è sperare !
Come scrisse Georges Bernanos :
"La grande disgrazia, l’unica disgrazia di questa società moderna, la sua maledizione, è che essa si organizza visibilmente per fare a meno della speranza come dell’amore; immagina di supplirvi con la tecnica, aspetta che i propri economisti e i propri legislatori le forniscano la doppia formula di una giustizia senza amore, di una sicurezza senza speranza." (da La France contre le robots) .
Un caro saluto a Voi tutti !
Biagio
Grazie Biagio per lo spunto. Utopia e speranza sono sinonimi. Qualcuno ci dirà che siamo retorici? Ben venga la retorica secondo l’antico significato. Personalmente non voglio ridurmi ad un essere vuoto e apatico. Mi interrogo sul rapporto tra giustizia e amore. Questi concetti sono inconciliabili o si compenetrano a vicenda per una "giustizia umana"?
Cari saluti,
Vincenzo
Caro Vincenzo, non penso che i due concetti di "giustizia umana" e amore siano conciliabili. Lo diventano quando si sostituisce il concetto di "giustizia umana" con quello di "giustizia divina".
Il grido al cielo della sete di giustizia di tutti gli oppressi della terra, ben espresso nel Salmo 9,33 delle Sacre Scritture ("Sorgi, Signore! Alza la mano, non dimenticare i miseri!") deve essere ripreso, in solidarietà, da chi, come Te, rinuncia a rimanere tranquillamente nel suo angolino, indiferrente alla miseria del suo prossimo.
Ma questo grido diventa omaggio alla giustizia di Dio solamente nella misura in cui si è convinti che Dio non potrà lasciare trionfare la causa dei malvagi. Non è un grido di vendetta personale, ma il riconoscimento che spetta a Dio il compito di riconoscere i diritti degli oppressi.
Così mi è impossibile accettare utopie che inneggiano alla lotta di classe, ad una determinata giustizia sociale, che storicamente hanno portato ad immani tragedie. Così come mi è impossibile accettare le posizioni di chi, all’interno della Chiesa, ha proclamato la Teologia della liberazione. Ma come il suo fondatore, sono profondamente innamorato della Chiesa che ama i poveri e gli oppressi.
Saluti di cuore
Biagio