Die Zeit, Hamburg
Terapia delle vittime degli abusi sessuali
“I ricordi non rielaborati sono sorprendentemente vivi”
Intervista a Martin Sack, presidente della Società
tedesca di Psicotraumatologia e ricercatore sulla
efficacia dei trattamenti psicoterapeutici dei traumi.
Molte vittime degli abusi hanno taciuto per decenni.
L’esperto di traumi Martin Sack spiega come i pazienti elaborano i loro ricordi e possono essere guariti.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova) *
Zeit online: Ininterrottamente trapelano nuovi casi di abusi sessuali nelle scuole. Perché molte vittime hanno taciuto tanto a lungo?
Martin Sack: Vi sono due motivi principali. In primo luogo è una reazione normale rimuovere e ottenebrare eventi terribili. È un comportamento molto sano per volgere sé stessi ad altro e potersi costruire una vita normale. Sovente il trauma viene incapsulato bene. Ma questo talvolta riprende più tardi [il suo spazio]. In secondo luogo l’esperienza dell’abuso è estremamente impregnata di vergogna. Se uno ne parla, si fa riconoscere come vittima, come persona guastata. Allora proprio bambini e giovani si chiedono: come reagiscono gli altri? Verrò emarginato? Essi si vergognano.
Zeit: Vi è un determinato tipo di persona per la quale il trauma diviene il problema?
Sack: No. In linea di principio ognuno può sviluppare i sintomi del trauma. Quanto bene possa essere elaborato un trauma dipende fortemente dalle risorse. Vivo in una famiglia nella quale domina un’atmosfera di calore? Ho buoni amici, pieni di comprensione? Se questo è il caso, è più facile raccontare il proprio travaglio. Al contrario bambini, che vivono in casa di genitori nella quale vi è poco sostegno e stabilità emotiva e che per i motivi più diversi non possono aspettarsi che i loro genitori possano governare i loro problemi, da un abuso sviluppano con magiore probabilità pesanti conseguenze.
In parte questo dipende anche da quanto gravi siano i traumi. Un abuso subito da persone che ci stanno vicine, persone di fiducia, è elaborato con difficoltà particolarmente pesanti. A questa categoria di persone appartengono naturalmente anche insegnanti e preti.
Zeit: Come si manifesta questo nelle vittime?
Sack: Vi sono due varianti, una più maschile e l’altra più femminile. In quella maschile le persone diventano rapidamente impazienti, incontrollate e aggressive, quando si impauriscono. L’altra, la variante femminile, si manifesta maggiormente in problemi con l’autostima: queste persone diventano depresse, apprensive e socialmente diffidenti. È come se tutta la collera si dirigesse contro la propria persona.
In ogni caso i traumatizzati posseggono solamente pochi meccanismi di compensazione, quando vivono simili sventure o disgrazie. Anche tipici sono gli incubi.
Zeit: Quando tipicamente deflagrano questi sintomi?
Sack: Talvolta immediatamente dopo aver subito l’abuso; tuttavia anche dopo molti anni vi possono essere fattori scatenanti che fanno emergere i ricordi. Non devono essere sempre gravi disgrazie. Talvolta è sufficiente che ci si confronti con le difficoltà dei propri figli o si pratichino tecniche di rilassamento.
Zeit: Si può veramente guarire un trauma, soprattutto quello subito decenni prima?
Sack: Sì, i risultati delle ricerche in atto sono molto incoraggianti. Quando si applicano tecniche speciali, ben studiate, l’80% delle terapie sono tanto efficaci che i sintomi scompaiono totalmente. Si può perfino guarire un trauma di guerra, avvenuto 60 anni prima. D’altra parte stendersi semplicemente sul lettino, mentre il terapeuta si tiene in disparte, non garantisce molto. Al minimo questo dura molto a lungo, finché per esempio non si arriva al fardello mediante colloqui psicoterapeutici. Per la terapia del trauma vi sono nel frattempo standard precisi di formazione.
Zeit: Come funziona una terapia del trauma?
Sack: Il primo passo consiste nel prendere sul serio il paziente traumatizzato, nell’ascoltarlo, nel dedicarglisi. Nel diventare testimone dell’accaduto. Poi si comincia a ridurre il carico [di dolore], mentre si combinano i brandelli di ricordi in un quadro completo, come un puzzle. Il paziente si deve confrontare con l’esperienza traumatica. In questo processo, da un ricordo non elaborato se ne trae uno rifinito e se ne integra l’esperienza nella vita attuale. Naturalmente al paziente riesce molto pesante guardare [dentro] ancora una volta con precisione. L’arte del terapeuta è quella di procedere in questo il più delicatamente possibile. Così il paziente rimane in grado di apprendere e non si trova troppo sotto stress.
Zeit: Come può il confronto con l’abuso sofferto avvenire con delicatezza?
Sack: Vi sono diverse tecniche. Qui sono di grande aiuto tre cose. In un primo momento si può osservare l’abuso dal di fuori, proiettare l’accaduto per esempio su un video o su un’altra persona. Soltanto a poco a poco il paziente lo accetta come una sua propria esperienza. Inoltre con il ricordo si attivano nello stesso tempo informazioni e risorse del giorno d’oggi, che allora, nella situazione traumatica, erano mancate. Queste sono proposizioni come: non sono colpevole. Sono sopravvissuto a tutto questo. Oggi sono sicuro [di me] e posso difendermi. Il terapeuta può anche indurre a inserire nei ricordi dal piano dell’immaginazione elementi di ausilio. A esempio la persona adulta può farsi avanti in uno scenario che rende inoffensivo l’autore dell’abuso e prende sotto la propria protezione il bambino traumatizzato. Così egli può modificare a suo piacimento il ricordo e considera sé stesso non più come inerme, ma come attivo.
Zeit: Un terapeuta agisce nei casi di abusi sessuali diversamente da quelli, per esempio, di traumi bellici?
Sack: Dopo un abuso sessuale insorgono in primo piano sentimenti come vergogna e senso di insudiciamento, dopo un trauma bellico forse più sensi di colpa e panico. Di questo si deve tenere conto. Tuttavia la strategia di base del trattamento è la stessa.
Zeit: Quanto sono realistici ancor oggi i ricordi di 20 o 30 anni addietro?
Sack: I ricordi non elaborati si sentono in modo diverso da quelli elaborati, vale a dire come se si avesse patito l’atto tremendo proprio in questo momento. I ricordi del paziente per trauma sono perciò sorprendentemente vivi. I dolori fisici vengono talvolta patiti oggi più fortemente che durante l’abuso stesso, perché in quella situazione è accaduto talmente tanto e tutto insieme che non tutto si è potuto avvertire.
Zeit: L’attenzione dei media aiuta o fa più danno?
Sack: Stupisce che tutto venga alla luce adesso. Questo è di grande valore non soltanto per la vittima personalmente, ma è importante anche per avviare cambiamenti. Lo si può osservare da come oggi si tratta il tema della violenza sessuale nelle famiglie, che è stato reso tabù negli anni ’70 e ’80. Adesso di questo non soltanto vi è una consapevolezza, ma vi sono dappertutto, per lo meno per le donne, consultori e case per la donna.
Spero che l’attenzione si estenda ancor più: sulla violenza criminale organizzata contro i minori, come la pedopornografia, la prostituzione e le violenze rituali. Vi sono gruppi mafiosi che portano i bambini a non potersi più difendere. Non abbiamo numeri sulla dimensione [del fenomeno], ma abbiamo in cura molti pazienti che lo hanno vissuto sulla loro pelle.
Nel caso di abusi e violenze nelle istituzioni e nella chiesa o nei [suoi] convitti si deve introdurre [l’idea] di un management del rischio, che nella chiesa manca ancora totalmente. Se lo si stabilisse sarebbe molto ciò che se ne guadagnerebbe.
Zeit: Che aspetto dovrebbe avere questo management del rischio?
Sack: Tutti gli istituti che ospitano bambini sono esposti al rischio di assumere collaboratori che hanno un problema con il potere: persone che si rivalutano nel mentre umiliano gli altri. Per questo motivo nei collegi, nelle scuole e nelle chiese devono essere inserite persone responsabili, che prestino attenzione a ciò che fanno i collaboratori e tengano d’occhio i bambini. Nei collegi i giovani devono avere assistenti anche di sesso femminile. Gli impiegati dovrebbero essere interrogati regolarmente. Questo si fa nelle università americane. Con scadenza annuale i docenti devono mettere per iscritto se si sono comportati correttamente nei confronti di collaboratrici o studentesse. Questo fa capire a tutti in modo chiaro: vi teniamo d’occhio.
* http://www.zeit.de/gesellschaft/zeitgeschehen/2010-04/trauma-heilung
LETTERA 146 aprile 2010 di Ettore Masina
PEDOFILIA E CHIESA CATTOLICA
di Clotilde Buraggi Masina
Data la gravità dell’argomento.
questa volta lascio volentieri la parola
-a mia moglie, psicoterapeuta
E.M.
La situazione in cui si trova oggi la mia Chiesa mi rende triste e so di non essere la sola a sentirmi oppressa da questo sentimento. Di fronte ad alcuni recenti o recentissimi comportamenti del Vaticano, molti cattolici sono smarriti, disorientati: non ne condividono alcune reazioni di autodifesa e di arroccamento, di fronte a scandali dei quali non si sospettava la gravità.Il turbamento spinge non pochi a staccarsi dalla vita comunitaria. Siamo di fronte a una specie di scisma silenzioso e doloroso, non solo per le sue conseguenze ma anche perché nasce da una penosa sofferenza di persone che si sforzano di seguire il Vangelo.
L’esplosione del caso dei sacerdoti pedofili ha una parte notevolissima in questo disagio ecclesiale; ed io sento il dovere di riflettere su quanto sta accadendo, come cristiana e come psicologa che nella sua attività terapeutica ha avuto a che fare, dolorosamente, con la pedofilia.
Credo che, innanzi tutto, non si debbano dimenticare i risvolti più propriamente ecclesiologici della vicenda. È evidente che essi hanno avuto un ruolo fondamentale nei confronti della gestione pubblica del “caso”. Ora, se la Chiesa viene concepita soltanto come “santa”, con un “santo padre” che la guida e quindi come modello di perfezione da proporre ai fedeli, è comprensibile che si sia cercato di tenere nascosti comportamenti di singoli membri non all’altezza di tale modello. E’ lo stesso comportamento che hanno, lodevolmente, i genitori quando evitano di scaricare sui figli piccoli i loro problemi, che, se gravi, i loro bambini non sarebbero in grado di reggere senza sentirsene devastati. Ma questo atteggiamento di salvaguardia del modello genitoriale, in qualche modo idealizzato (chi è piccolo ha bisogno di idealizzare), non è più valido quando i figli crescono. Molto presto, molto prima di quello che generalmente si immagina, essi si rendono conto di quello che sta capitando nella famiglia e se ciò che viene insegnato dai genitori non corrisponde ai loro comportamenti, i figli sentono la falsità insita nella discordanza tra il dire e l’agire dei genitori e perdono la fiducia nei loro confronti.
Nel caso in cui, per esempio, si fosse dolorosamente arrivati alla rottura del matrimonio, è consigliabile che ogni genitore abbia umilmente la forza, scendendo dal suo piedestallo, di spiegare ai figli in età da capire, cosa sta avvenendo all’interno della coppia, rassicurandoli al tempo stesso che il loro amore per loro non verrà meno.
Ma la Chiesa come si pone nei confronti dei suoi fedeli? Li considera adulti o minori? Se li considera minori, può avere senso, dal punto di vista di chi la guida, difendere la santità di tutti i suoi membri. Se invece la Chiesa considera i fedeli persone mature, non teme di perdere una posizione idealizzata, non teme di presentarsi come realmente è: un insieme di persone peccatrici, che rimangono tali anche che se raggruppate intorno alla figura del Cristo. Gesù stesso, del resto, non voleva essere chiamato “buono”, e diceva che solo il Padre lo era. I Padri della Chiesa parlavano di una comunità casta et meretrix.
A queste due posizioni corrispondono le due diverse reazioni che si sono avute nella Chiesa quando è “scoppiato” il caso dei preti pedofili. Alcune autorità ecclesiastiche hanno trovato necessario coprirlo, altre hanno pensato necessario affrontarlo pubblicamente, fino ad ammettere che il sacerdote abusatore andava, per la sua pericolosità sociale, giudicato non solo da tribunali interni all’istituzione ma anche da quelli dello stato.
Poiché l’intervento del Papa fissa ora l’assoluta necessità di un mutamento radicale nel comportamento dei vescovi, mi sembra importante, a questo punto, porre alcuni fondamentali interrogativi: Chi è il pedofilo ? Che cosa cerca il pedofilo nel bambino? Che conseguenze ha per un bambino essere abusato? Come mai vi sono potenziali pedofili che scelgono lo stato clericale? Come mai non ci si è accorti della pedofilia di un candidato al sacerdozio? Le misure adottate nei suoi confronti quando ci si è resi conto della sua pedofilia sono state adeguate? Come potrebbero essere rese più valide?
Chi è il pedofilo?
Il pedofilo non è un mostro, è piuttosto lui stesso una vittima: un povero essere umano che, in chi si occupa di lui, suscita una grande compassione. E’ una persona che nella sua prima infanzia non ha ricevuto cure amorevoli dai genitori, i quali, per ragioni diverse (morti, separazioni, estrema povertà, dissidi familiari, disorientamenti dovuti ad emigrazione o immigrazione), non sono stati in grado di rispondere ai bisogni del proprio piccolo/piccola nei suoi aspetti di base, che noi psicologi chiamiamo aspetti sensoriali ( cioè dei cinque sensi: tattili, visivi, uditivi etc.). Sono quei bisogni che ogni madre riconosce nel neonato accudendolo. La non risposta a tali bisogni primari produce conseguenze gravissime nella vita adulta. Solo, infatti, se c’è stato un ”buon ambiente” creato da una madre non perfetta ma “sufficientemente buona”, il neonato può iniziare la tappa fondamentale del suo sviluppo, quella che lo psicoanalista Eugenio Gaddini ha definito “organizzazione mentale di base”. Tutto quello che succede poi nello sviluppo è importante, ma questa organizzazione ha la stessa importanza delle fondamenta per una casa. Alla nascita il neonato è fisiologicamente assemblato (ciò avviene nella vita fetale), ma psichicamente è ancora costituito da parti sconnesse che devono essere organizzate, integrate, dall’amore di una persona che si prende cura di lui.
Qualche volta (non sempre) il futuro pedofilo ha subito nell’infanzia anche qualcosa di peggio: una violenza sessuale. Se alla mancanza di un buon ambiente, già da sola premessa di una psicosi, si aggiunge questa terribile esperienza, si può capire come alla sua struttura psichica sia stato impedito di costruirsi .
Ecclesiastici autorevoli, purtroppo digiuni di psicologia, hanno messo in connessione la pedofilia con l’omosessualità. Come s’è detto sopra, il pedofilo ha sofferenze strutturali di base che non hanno niente a che vedere con le problematiche di tipo omosessuale. Oltre a tutto, le statistiche ci dicono che il numero dei maschi pedofili è maggiore di quello delle donne, ma che tanto gli uni che le altre seducono bambini e bambine.
Che cosa cerca il pedofilo nel bambino?
Il pedofilo cerca nel bambino risposte a bisogni del Sé, a quei bisogni sensoriali di base, come l’essere toccato o l’essere guardato, che gli sono mancati nella sua infanzia. Inizia di solito il suo approccio al bambino con l’esibizione del propri genitali perché - come ritengono eminenti specialisti in questo campo - egli ha insicurezze relative alla propria identità di genere, un rapporto problematico con il proprio corpo, che richiede conferme soprattutto per quel che riguarda l’apparato sessuale e nel bambino cerca di suscitare ammirazione per i propri attributi, ammirazione non altrettanto facile da suscitare in un adulto.
Poi inizia con il bambino un “gioco di carezze”, che lo fa sentire, con un processo di identificazione, il bambino accarezzato. Ma poiché il pedofilo è un adulto, l’eccitazione suscitata da tali preliminari, sfocia facilmente in atti sessuali veri e propri, che talvolta esplodono con inaudita violenza. In tal caso poiché l’apparato sessuale del piccolo non è proporzionato a quello del suo violentatore, violenza può voler dire lacerare il bambino nelle sue parti intime. In casi estremi, per fortuna rari, quando il pedofilo ha l’impressione che il bambino stia per parlare ai genitori di quello che sta subendo arriva ad ucciderlo e a farne sparire il corpo.
Data la fragilità del suo Io, il pedofilo è incapace di tenerezza, un sentimento che si può sviluppare solo quando l’Io è in grado di controllare le proprie pulsioni. Inoltre, proprio per le sue carenze di sviluppo, ha un ridotto senso di realtà, che non gli permette di rendersi conto, non solo di quello che sta facendo, ma anche di quello che prova il bambino che subisce le sue seduzioni: è mancante di capacità empatica.
Che conseguenze ha per il bambino essere abusato ?
Le violenze che il bambino subisce hanno conseguenze diverse in base al rapporto affettivo che il bambino ha con l’abusante, al grado della loro brutalità e sono tanto più gravi quanto più è piccolo l’abusato. Le violenze subite in tenera età da parte di familiari, anche madri, che sono molto più frequenti di quello che si possa pensare, producono danni talvolta irreparabili anche da una buona terapia del profondo e comunque rimangono sempre come tracce indelebili. (Pare che il corpo abbia più memoria della psiche del male ricevuto, i torturati, infatti, non dimenticano facilmente le sevizie patite). Se infatti le violenze fatte su bambini piccoli impediscono il consolidarsi della organizzazione mentale di base, anche le violenze fatte su bambini più grandi - quelle generalmente subite da figure genitoriali come i sacerdoti - non sono prive di gravi conseguenze: nel primo caso, viene interrotto il processo integrativo, nel secondo caso avviene un processo disintegrativo, simile all’effetto di una bomba. Questo tipo di violenza colpisce tanto più gravemente in quanto il bambino si affida fiduciosamente a tali figure, e in modo inerme, senza quindi attivare lo schermo difensivo abitualmente messo in atto di fronte a una persona che non conosce.
Perché alcuni potenziali pedofili scelgono lo stato clericale?
Come nella pianta, già nel seme c’è la spinta verso il progetto genetico che essa deve realizzare, così in ogni uomo c’è la spinta verso il compimento del proprio sviluppo. Chi è cresciuto nella condizione tragica descritta cerca intorno a sé un ambiente protettivo che lo aiuti in questo percorso. Ora ambienti costituiti da persone che si occupino di chi è in sofferenza psichica non sono facili da trovare, in una società come la nostra, in cui lo Stato sembra spesso indifferente ai problemi dei cittadini che si trovano in quelle condizioni. Si pensi alla mancata attuazione della legge Basaglia, che ha costretto molte parrocchie a diventare strutture di accoglienza di gran numero di persone in stato di indigenza psichica. In mancanza di strutture adeguate, l’ambiente clericale può essere allora sentito come particolarmente protettivo.
La scelta celibataria sacerdotale del pedofilo può anche dipendere dal fatto che il matrimonio gli appare poco desiderabile, se i suoi hanno avuto una esperienza fallimentare. In questo caso egli teme di essere inadeguato a vivere ogni tipo di relazione, e in modo particolare la relazione sessuata di coppia, proprio come sono stati inadeguati i suoi genitori. Il potenziale pedofilo, essendo una persona fragile, si sente minacciato e a rischio di disgregazione del Sé, in modo più o meno consapevole, tanto dalla propria libido che non riesce a gestire come vorrebbe, quanto dalla propria aggressività, e queste due componenti sono costitutive di qualsiasi rapporto.
Chiunque abbia responsabilità di formazione dovrebbe essere consapevole che il modo di esprimere la propria istintualità, può essere maturato e “ingentilito” da una buona “educazione” non formale: “fatti non foste a vivere come bruti” ha scritto Dante. L’educatore che affronta il problema della sessualità solo in modo repressivo non favorisce tale maturazione. È infatti la difficoltà a contenere la propria aggressività e il terrore provocato da quella che può venirgli dall’esterno(soprattutto una aggressività sessuale, se il potenziale pedofilo ha subito abusi nell’infanzia), che lo potrebbe portare ad essere attirato da strutture ecclesiastiche, in quanto ritiene che i loro membri siano persone addestrate a contenere i propri impulsi, e quindi poco temibili.
Come mai non ci si è accorti della pedofilia di un candidato al sacerdozio ?
La gente si chiede come sia possibile che chi si è dedicato alla formazione di un candidato al sacerdozio non si sia accorto della sua patologia. E come mai più tardi i suoi superiori non si siano resi conto della gravità e della pericolosità dei suoi comportamenti. Le risposte non sono facili. La prima causa sembra quella dell’ignoranza. Ignorare vuol dire non capire, e si può non capire tanto per ignoranza psicologica dei processi di sviluppo, quanto perché i propri problemi fanno velo alla comprensione. In ogni caso valutare la sanità psicologica di una persona è molto difficile: anche patologie molto gravi rimangono spesso nascoste in una parte scissa della personalità, (il cosiddetto “falso Sé”) e sfuggono persino a valutatori sperimentati. Consapevoli di ciò, alcuni ordini religiosi affiancano all’esame vocazionale dei candidati test, che sono ormai ritenuti dagli psicologi strumenti validi di conoscenza e di svelamento del non detto.
Qualcuno ha messo in relazione il celibato con la pedofilia; questo non è vero in modo diretto, però occorre fare alcune considerazioni in proposito.
Sulla valutazione dei candidati al sacerdozio pesa anche, in maniera più o meno consapevole, la preoccupazione dei vescovi per la crescente secolarizzazione della nostra società. Le candidature sacerdotali sono diminuite di numero e le esigenze pastorali influiscono certamente su una minore severità di giudizio dei candidati. La diminuzione del numero delle vocazioni potrebbe anche avere a che fare con la sessualità e la repressione della sessualità e viceversa. L’abbandono della vita sacerdotale avviene spesso, non sempre, perché nel cammino dello sviluppo l’individuo scopre il valore della sessualità. Siccome, quindi , il desiderio di vivere la propria sessualità è una minaccia di abbandono della vita consacrata, la sessualità viene sentita dall’istituzione come temibile e quindi da reprimere, con i risultati negativi di cui s’è detto.
Con ciò non si vuol affermare che il celibato non possa essere vissuto in modo esemplare da persone mature in grado di sublimare le loro pulsioni sessuali. Freud, ingiustamente considerato da molti cattolici un pericoloso sessuomane, aveva teorizzato che una persona normale possa sublimare le pulsioni. Sublimare, secondo lui, significa “deviare la pulsione sessuale verso una nuova meta non sessuale tendente verso oggetti socialmente valorizzati”. Se la sublimazione riesce, il celibato non solo è vissuto bene, (in particolare in alcuni ordini monastici in cui c’è vita comunitaria di preghiera), ma è una condizione auspicabile, quando un sacerdote si impegna a dare vita a uomini e donne che vivono in ambienti di miseria disumana, impegno quasi impossibile da sostenere in coppia. Il privilegio di avere conosciute persone del genere mi ha aiutato a non abbandonare la fede. Ma perché la sessualità arrivi al livello elevato della sublimazione occorre innanzi tutto che il soggetto abbia ricevuto inizialmente una buona strutturazione di base - altrimenti la sessualità può erompere in forme perverse in momenti inaspettati della vita - e deve anche, va ripetuto, non essere rigidamente repressa.
Abbiamo scritto sopra che la persona che ha avuto difficoltà di base è portato istintivamente verso ambienti ecclesiastici; dobbiamo aggiungere che anche se spesso trova in tali ambienti persone mature e generose, esse sono in grado di aiutarlo ma non di risolvere i suoi problemi più gravi. In altri casi può accadere invece che sia proprio la non maturità del superiore a non fargli riconoscere la gravità della patologia del candidato. In altri casi, inoltre, può accadere che la non maturità del formatore lo possa portare inconsciamente a sentire che il candidato, proprio perché è fragile, può essere facilmente sottomesso e dunque non porrà particolari problemi dal punto di vista disciplinare.
E’ capitato non infrequentemente che si ritenga , magari in buona fede, che la grazia di Dio possa guarire anche le situazioni più difficili. Qualche volta questa buona fede si accompagna a una buona dose di presunzione sulle proprie forze taumaturgiche, a ignoranza e a diffidenza verso le terapie psicoanalitiche. (Quanto questa ignoranza sia prevenuta lo prova il fatto che Freud, il quale ha messo in evidenza l’importanza della sessualità, è stato un marito fedele, anche se gli atteggiamenti transferali amorosi delle sue pazienti hanno certamente messo alla prova la sua serietà nella condotta terapeutica).
Le misure adottate in passato quando ci si è resi conto della pedofilia di un sacerdote sono state adeguate? E sono adeguate quelle che pare si stiano per prendere? Le misure adottate quando ci si è resi conto della pedofilia di un sacerdote sono state adeguate?
Nella nuova consapevolezza che l’istituzione ecclesiastica mostra nei confronti del dramma della pedofilia nella Chiesa e degli errori commessi da quei superiori che non hanno agito immediatamente nei confronti del sacerdote, considerando magari utile il semplice spostamento in un altro ambito, appare di evidente importanza la necessità di aggiornare le norme di prevenzione e di punizione in questa materia. Sembra ovvio che debba essere reso più cogente l’obbligo per i superiori, anche i più renitenti, a non considerare più tali eventi come “cosa loro”, in modo che il pedofilo sia sottoposto a un processo giudiziario amministrativo e penale anche in quegli stati in cui la denuncia non è obbligatoria: il pedofilo ha commesso atti che non riguardano lui solo, e un solo ambiente, ma che lo rende pericoloso per l’intera società. Non potrà mai svolgere una funzione sacerdotale.
E da augurarsi che in questo aggiornamento si consideri la questione anche dal punto di vista psicologico. Si ha l’impressione, dai giudizi espressi da ecclesiastici autorevoli, che il pedofilo sia considerato soprattutto da un punto di vista morale, come un grave peccatore che ha commesso atti “ignominiosi” dai quali può pentirsi e riscattarsi. Ma per fare un peccato non occorre avere la piena consapevolezza di quello che si sta facendo? Non è facile per uno psicoterapeuta che ha avuto a che fare con la pedofilia trasmettere ai non addetti ai lavori la gravità degli esiti di un abuso su un bambino. Ma è ancora più difficile fare capire, soprattutto ha chi ha responsabilità nei suoi riguardi e diffida magari della psicologia, che il pedofilo è un malato grave, con un Io talmente poco coeso, da arrivare talvolta a non essere consapevole di quello che fa o ha fatto. Solo un Io integro è in grado di esprimere veri atti di contrizione e di penitenza. Il pedofilo non può arrivare alla possibilità di chiedere perdono e soprattutto non è in grado di cambiare i suoi comportamenti dopo che ha fatto un atto di contrizione. Ogni madre sa bene che un bambino piccolo, quando è sgridato, spesso non ricorda cosa ha fatto, altre volte lo nega. Anche nei casi in cui arriva a chiedere scusa e dice “Non lo faccio più” ciò non significa che poco tempo dopo non rifaccia esattamente quello che ha fatto.Vista in questa ottica, perde molto valore la considerazione della maggiore o minore gravità degli atti compiuti che possono richiedere un richiamo, un ammonimento e solo in casi estremi la riduzione allo stato laicale. Inoltre come si può essere sicuri che un atto considerato “poco grave”, dato che appare soltanto come un preliminare sessuale non scatenerà in altre occasioni imprevedibili una violenza distruttiva?
LA PEDOFILIA E’ CONSUSTANZIALE ALLA TEOLOGIA CATTOLICA (...) Siamo di fronte ad una sciagura doppia che si svolge su un duplice piano. Bambini e ragazzi sono stati trasformati in vittime sacrificali del rituale demoniaco cattolico, nel luogo più sensibile e intimo immaginabile della loro identità, da quelli che avrebbero dovuto guidarli e proteggerli. Oltretutto, la cosa più abietta è che tali vittime siano state tradite da coloro che, come comunità religiosa, intendono rappresentare un segno di santità nel mondo, da chi ha sempre voluto dettare le leggi della moralità nella nostra società, da chi ha immancabilmente negato la carne in nome dello spirito, da coloro che si professano fratelli, che negano l’uso del preservativo e i rapporti sessuali prima del matrimonio... E tuttavia, il problema è ancor più occulto, più profondo: celando le pulsioni maniacali della pedofilia clericale, la Chiesa non cerca di difendere soltanto la sua eticità internazionale. Essa difende in tal modo il suo più oscuro retaggio, il suo fosco segreto “iniziatico”, consistente nel SACRIFICIO DELL’INNOCENTE, di cui è zeppa la sua tragica leggenda bimillenaria. Chi vorrebbe ascrivere la devianza pederastica clericale del sesso al celibato, individua soltanto la superficie del problema, dimenticando che la mancanza di una compagna, indurrebbe semmai a ricercare un rapporto con altre donne e non con bimbi, la cui età è delicatamente sospesa tra i 6 e i 12 anni. Diamo perciò una definizione di pedofilia, tratta da uno studio che le autorità ecclesiastiche avrebbero dovuto conoscere benissimo, poiché esse stesse - fin dagli anni ‘80 - avevano dato incarichi di studiare le cause e gli effetti degli abusi sessuali del clero ai loro esperti:
“L’atto o la fantasia di essere coinvolti in attività sessuali con bambini in età pre-puberale come metodo preferito o esclusivo per raggiungere l’eccitazione sessuale” .
Dopo lo scandalo in Alaska a carico della Compagnia di Gesù (110 violentati tra il 1959 e il 1986, con relativo risarcimento di 50 milioni di dollari), l’avvocato delle vittime, Ken Roosa ha affermato che “In alcuni villaggi eschimesi è difficile trovare un adulto che non sia stato sessualmente abusato” . Patrick Wall, ex monaco benedettino, consulente degli avvocati nei processi, ha dichiarato che le gerarchie gesuite erano a conoscenza delle tendenze dei sacerdoti accusati, in quanto avevano già commesso molestie altrove, ma sono stati lasciati liberi di agire senza nessun controllo:
«Avevano il potere assoluto sulle persone e sulla cultura del luogo. Avevano il potere politico. Avevano il potere della razza. Avevano il potere di farti andare all’inferno. Per le vittime non c’era via di scampo» .
I chierico-pedofili hanno una sessualità ferma all’età preadolescenziale e sono prigionieri del loro narcisismo sadomasochistico e delle deviazioni dei sentimenti e delle pulsioni. Essi non sono mai riusciti a diventare adulti, poiché l’isolamento del seminario, la solitudine, la tristezza della vita, gli abusi ai quali si viene sottoposti in tenera età, bloccano un organico sviluppo verso una concezione naturale del corpo e delle sue funzioni procreative. In tal modo essi subiscono una regressione che è l’essenza intima del cattolicesimo, zeppo di simboli infantili, che rimandano ad un rapporto sadomasochistico di premi e punizioni con una madre che non c’è più, o non c’è mai stata in quanto corpo che partorisce. Ne deriva una passività che ha del meccanico e del computerizzato. Essa conduce i clonati a non aver alcuna responsabilità nei crimini che commettono: è il demonio, la società contemporanea, i bambini che provocano... Così la stessa ritualità cattolica è una regressione continua. Battezzare i neonati quando sono incoscienti è una tattica adoperata anche dal pedofilo che sfrutta l’inconsapevolezza del bimbo per approfittare di lui in chiave sessuale . Ricordiamo che Gesù si fece battezzare all’età di trent’anni e non a tre giorni dalla nascita. Anche l’eucarestia è un simbolo che rimanda ad una fase orale dello sviluppo infantile: è il sacerdote che imbocca il ragazzo con l’ostia consacrata, una “pappa” che è concessa soltanto ai bravi piccini. Almeno ogni domenica bisogna sottomettersi, confessare i propri peccati all’autorità rassicurante e protettiva del padre, che vuole delle pecore sempre pronte ad ubbidire a qualsiasi ordine. L’abuso di potere è altresì una componente essenziale della psicopatologia cattolica: il fanciullo o l’innocente da sacrificare “col sangue” deve essere passivo ed inconsapevole, ubbidiente ed arrendevole. Nel rapporto tra prete pedofilo e bambino si riproduce la stessa relazione che c’è tra Chiesa e fedeli che devono ubbidire ingenuamente ai comandi del potere divino! L’autorità religiosa diviene, così, il carceriere delle proprie vittime, che l’amano perché gli concede un’ora di aria libera la settimana. La pedofilia, pertanto, si configurerebbe come un ingrediente indispensabile alla compattezza interna della Chiesa. La trasgressione realizzata ti aggrega alla setta, ne è una “iniziazione” a carattere liturgico. Ti ammette nel gruppo criminale per sempre. La macchia d’infamia è un elemento di coesione indistruttibile. Il tumore ama le cellule tumorali che l’accrescono oltremodo. Le cure rappresentano la sua morte e vanno rifiutate con ogni mezzo. Difendendo se stessa la Chiesa preserva il suo osceno segreto: la perversione sessuale come momento di completa e perenne adesione alla consorteria. Così si perpetua il sistema di regole occulte. Perciò gli scandali sessuali dei preti sono principalmente nascosti dall’Opus Dei, la fazione più lugubre del Vaticano. Ecco le giustificazioni più comuni che i preti pedofili adducono durante le loro violenze carnali: «Un prete conforta la vittima, dopo aver fatto sesso: “Che vuoi? Anche il prete è soltanto un essere umano”. Un altro, dopo avere stuprato analmente un ragazzo di 13 anni: “Tutto OK. Siamo semplicemente uomini. Tutti abbiamo diritto di soddisfare le nostre necessità e desideri”. Un altro dice ad un giovane che ha invitato a letto: “Che male c’è che un uomo dimostri fisicamente il suo affetto ad un altro”. (...) Un prete dice ad una adolescente mentre la abusa sessualmente: “Questo ti mostrerà quanto Gesù ti ama, perché io sono un prete”. Un altro sacerdote tenta di dimostrare la stessa cosa ad una ragazzina, dicendo, quando le tocca i genitali, che lo faceva con un’ostia consacrata. Un altro religioso, con una perversione particolare, dice alle sue vittime di dare e ricevere clisteri, usando Acqua Santa e che si tratta di una benedizione interna. E così via...
da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus Edizioni), maggio, 2010. 544 pagine, 167 immagini, € 25
http://alessiodibenedetto.jimdo.com/novita-2010/
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