INTER-BAYERN. Almeno questa volta nessuno può dare torto a Mourinho quando dice che i suoi giocheranno «contro tutto e contro tutti»

ANCHE CON IL VENTO CONTRO: *INTER, INTER, INTERNAZIONALE!!!* "L’Italia si spacca sulla Champions". Boh e Bah. Una nota di Michele Brambilla - a cura di Federico La Sala

A Madrid non c’è solo Inter-Bayern: il nostro calcio si gioca un posto in Europa ma il Paese è troppo abituato a tifare contro
sabato 22 maggio 2010.
 

[...] Soprattutto chi ha lavorato o vissuto in provincia sa quale siderale distanza ci sia non dico fra Roma e Milano, ma fra Bergamo e Brescia, fra Palermo e Catania, fra Prato e Firenze, fra Como e Cantù, fra Varese e Busto Arsizio. Stupirsi poi che in un mondo come quello del calcio, dove ogni differenza si amplifica fino a diventare odio, ci sia in questo momento all’opera un popolo di gufi, è piuttosto naif. Gli interisti che si aggirano in queste ore per Madrid coltivando un sogno fanno gli scongiuri [...]

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L’Italia si spacca sulla Champions

A Madrid non c’è solo Inter-Bayern: il nostro calcio si gioca un posto in Europa ma il Paese è troppo abituato a tifare contro

di MICHELE BRAMBILLA (La Stampa, 22/05/2010)

MADRID Volendo buttarla in politica, il primo vincitore della finale di Champions di questa sera è Umberto Bossi. Infatti ieri Van Gaal, l’allenatore del Bayern, ha detto in conferenza stampa che a sostenere la sua squadra c’è tutta la Germania, ed è vero: lettere aperte di incoraggiamento e attestazioni di fede senza se e senza ma arrivano da Sud a Nord, dal Baden Württemberg alla Prussia e alla Sassonia ed è un miracolo, visto che i bavaresi sono sempre stati considerati i più terroni fra i tedeschi, e nemmeno quando Ratzinger fu eletto Papa l’intera nazione ne fu davvero orgogliosa. Ai Mondiali del 1974 - tanto per stare a paragoni calcistici - quando il capitano della grande nazionale tedesca (poi vincitrice del trofeo) Franz Beckenbauer andava a giocare a Colonia o Amburgo, lo apostrofano al grido di «maiale bavarese».

Ora invece non si fanno distinzioni, anche la Baviera rientra nel Deutschland uber alles. Non così si può dire per l’Inter. Almeno questa volta nessuno può dare torto a Mourinho quando dice che i suoi giocheranno «contro tutto e contro tutti». In Italia non solo i tifosi nerazzurri, infatti, si preparano a scendere in strada per far festa. Prontissimi alla baldoria sono anche gli juventini, i milanisti, i romanisti e chissà quanti altri ancora: naturalmente, in caso di vittoria del Bayern. Si dirà che gli juventini hanno il dente avvelenato per l’esito di Calciopoli, che i milanisti hanno un po’ di fegato grosso per i tanti scudetti consecutivi dai cugini, che Roma è segnata dal fatto di essere stata declassata, da «città eterna», a «città eterna seconda».

Si dirà che la squadra che vince è sempre la più antipatica: è successo anche alla Juventus che per un trentennio ha vinto praticamente un campionato su due. Ma questo è vero solo in parte perché il tifo contro è sempre esistito. La storia che «quando si gioca in coppa siamo tutti italiani» è una pietosa bugia ammannita dai cari, vecchi, distinti ed educati telecronisti della Rai d’antan: nessuno ci ha mai creduto veramente. Gli interisti scoppiarono di gioia incontinente quando, nel 2005, il Milan si fece beffare in finale dal Liverpool; i torinisti sembrarono rivivere gli antichi fasti dopo le finali perse dalla Juve; e così via, potremmo andare avanti all’infinito. Il tifo contro c’è pure per il campionato: quando l’Inter perse lo scudetto il 5 maggio 2002, juventini e milanisti fecero festa: eppure Calciopoli non c’era ancora stata, eppure l’Inter non era ancora una squadra «antipatica perché vincente», anzi suscitava un misto di pena e di tenerezza, non gliene andava bene una e sulla squadra e sul suo presidente alcuni editori fecero fortuna con libri di satira spietata.

Ricordo una battuta che girava allora: «Sapete qual è la barzelletta più corta del mondo? È di una parola sola: Inter». No davvero, le spiegazioni calcistiche continenti non bastano. È che nel calcio rispunta fuori l’Italia dei Comuni, e ancor di più dei rioni, dei campanili, dove il nemico peggiore è sempre colui che ti sta più vicino. Non è un caso che gli odi più grandi, nel calcio, prosperino fra le squadre della stessa città. E non ci sono ragionamenti, neppure di possibile tornaconto, che frenino la voglia di rivalsa. Ad esempio: se questa sera l’Inter perderà la Coppa, dall’anno prossimo saranno solo tre, e non più quattro, le squadre italiane che avranno il diritto di partecipare alla Champions. Juventini, milanisti e romanisti avrebbero quindi tutto l’interesse a sperare in una vittoria interista. Ma nel tifoso il sentimento prevale sulla ragione, e non c’è da scandalizzarsi, è umano che sia così. I tifosi interisti questa sera sono vittime dello stesso sentimento che li ha viceversa beneficati del tifo laziale qualche settimana fa.

Anche allora, per un supporter della Lazio la gioia di vedere i romanisti perdere lo scudetto era di gran lunga superiore all’interesse di guadagnare tre punti che avrebbero reso certa la salvezza. Ecco perché i tifosi interisti che sono venuti con noi ieri mattina, da Malpensa, e tutti quelli che abbiamo incontrato in plaza Mayor o nel pomeriggio davanti al Santiago Bernabeu (tre di loro, Giovanni Cappello e i fratelli Sergio e Paolo Dabbeni, erano partiti in macchina da Milano alle venti di giovedì senza mai fermarsi) hanno viaggiato da soli, anzi con il vento contro di un’Italia che è ancora divisa non solo nel calcio, ma anche nella rivendicazione di tasse, di spiagge, di laghi.

Soprattutto chi ha lavorato o vissuto in provincia sa quale siderale distanza ci sia non dico fra Roma e Milano, ma fra Bergamo e Brescia, fra Palermo e Catania, fra Prato e Firenze, fra Como e Cantù, fra Varese e Busto Arsizio. Stupirsi poi che in un mondo come quello del calcio, dove ogni differenza si amplifica fino a diventare odio, ci sia in questo momento all’opera un popolo di gufi, è piuttosto naif. Gli interisti che si aggirano in queste ore per Madrid coltivando un sogno fanno gli scongiuri. Nei giorni in cui si prepara a portare finalmente a casa il suo federalismo, Bossi sogghigna vedendo che perfino la Germania federale è più unita dell’Italia che si appresta a festeggiare i 150 di vita.


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