CHE COSA SIGNIGICA DIALOGARE ...

OSPITALITA’ E DIALOGO. Il dialogo, una relazione esigente. Una riflessione di Antoine Nouis - a cura di Federico La Sala

Per dialogare, bisogna essere in due, ma bisogna anche che ciascuno sia disposto a lasciarsi attraversare dalla parola dell’altro, il che presuppone che ciascuno ammetta che la propria posizione possa essere superata
sabato 26 giugno 2010.
 


Il dialogo, una relazione esigente

di Antoine Nouis

-  in “Réforme n° 3374 del 24 giugno 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il Talmud racconta che due grandi maestri dell’ebraismo, rabbi Yohanan e Resh Lakish, avevano l’abitudine di studiare insieme. Quando il secondo morì, proposero a rabbi Yohanan di prendere rabbi Élazar come compagno di studi. Nei loro dialoghi, quest’ultimo approvava tutto ciò che diceva rabbi Yohanan e portava anche nuove prove a sostegno di quanto diceva. Rabbi Yohanan disse: “Non mi sei di alcuna utilità! Resh Lakish portava ventiquattro obiezioni a ciò che io affermavo e mi costringeva a dargli ventiquattro risposte. Allora il nostro insegnamento comune ne era arricchito. Lo studio con te non mi dà niente”.

Secondo questo apologo, lo scopo dello studio non è scoprire la verità ma andare sempre più in là alla ricerca dei suoi argomenti. Troviamo due grandi tradizioni intellettuali che si sono fondate sul dialogo: la maieutica socratica e la controversia rabbinica.

L’etica del dialogo

Per Socrate, scopo del dialogo è liberarsi da tutti i ragionamenti sbagliati per arrivare ad un pensiero rigoroso. Uno dei suoi discendenti, Aristotele, ha stabilito le regole della logica che permettono di qualificare la qualità di un ragionamento. Troviamo un frutto di questo metodo nella Somma teologica di Tommaso d’Aquino, che non esprime una proposizione senza citare e rispondere a tutte le obiezioni che possono esserle opposte. Vi si può vedere la pretesa di una verità chiusa e definitiva, ma vi si può vedere anche la probità intellettuale di un uomo che prende in considerazione tutte le confutazioni del suo pensiero.

Nel pensiero rabbinico, l’arte della disputa porta il nome di mahloquèt (discussione), parola che evoca l’apertura e il carattere sempre plurale delle interpretazioni. Lo scopo non è scoprire la verità una volta che si saranno eliminati tutti gli errori di ragionamento ma non fare un’affermazione senza metterla a confronto con altre interpretazioni.

Come forma, il Talmud si presenta come un discorso irriducibilmente plurale, commenti di commenti, turbine di domande, la maggior parte delle quali resta senza risposta univoca. Il principio di base è che, se Dio è parola, poiché per essenza Dio è infinito, anche la parola lo è. Lo scopo della disputa non è arrivare ad una affermazione pura ma ad una affermazione aperta, non idolatrica. Una volta poste le basi, possiamo presentare l’etica del dialogo attorno a tre principi.

Etimologicamente, la parola dialogo evoca il modo in cui si è attraversati dalla parola dell’altro (dia-logos). Per dialogare, bisogna essere in due, ma bisogna anche che ciascuno sia disposto a lasciarsi attraversare dalla parola dell’altro, il che presuppone che ciascuno ammetta che la propria posizione possa essere superata. Cloran scrive che “il fanatismo è la morte della conversazione. Che cosa si può dire a qualcuno che si rifiuta di cercare di comprendere le ragioni dell’altro e che, dal momento che non ci si inchina davanti alle sue, preferirebbe morire piuttosto che cedere?”. Per dirlo con altre parole con Jean-Pierre Vernant: “Non si discutono ricette di cucina con un antropofago!

Un cammino comune

Il requisito indispensabile al dialogo sta nella convinzione che noi non possediamo la verità, ma che essa è davanti a noi. Come scriveva Charles Péguy: “Una grande filosofia non è quella che pronuncia dei giudizi definitivi, che introduce una verità definitiva. È quella che introduce un’inquietudine, che apre ad una trasformazione.”

Quando, nel Vangelo, Cristo dice che lui è la via, la verità e la vita, questo versetto ci ricorda che la verità è un cammino e che si trova in una persona, Cristo, e non in una dottrina. Noi non possediamo mai Cristo, siamo sempre in ricerca per capire meglio ciò che significa la sua parola.

Il dialogo si distingue dal dibattito nel senso che il dibattito è una gara, uno dei protagonisti vince e l’altro perde; e nel senso che entrambi sono rimasti sulle proprie posizioni. Nel dialogo, invece, i due interlocutori evolvono perché hanno arricchito la loro comprensione dell’argomento. Un saggio africano diceva: “Se parlo con un uomo e lui non capisce, taccio e ascolto. Mi sforzo di capire lui, perché, se riesco a capirlo, saprò perché non mi capisce.”

È l’idea secondo la quale il contrario di una verità non è un errore, ma una stupidaggine. Ma se l’opposto di un’affermazione vera è un’affermazione falsa, l’opposto di una verità profonda può essere un’altra verità profonda. Definito in questo modo, il dialogo è esigente, per questo è così raro. Corrisponde ad una vera ospitalità nel campo del pensiero. Così come nell’ospitalità la parola ospite significa sia colui che riceve che colui che è ricevuto per indicare che entrambi, chi accoglie e chi viene accolto, si arricchiscono reciprocamente, un vero dialogo è sempre un cammino comune che sfocia su una nuova comprensione della propria verità.

Il prezzo del dialogo

Dan Bar-On, psicologo israeliano che ha lavorato alla riconciliazione tra i popoli alla frontiera di Gaza, racconta che ha permesso l’incontro tra un ebreo e un palestinese che avevano entrambi perso un figlio durante la guerra. Sono riusciti a dialogare, ma il risultato di quell’incontro è stato che si sono trovati entrambi emarginati nelle loro rispettive comunità, trattati come paria in mezzo ai loro. Più drammaticamente, Anouar el-Sadat e Yitzhak Rabbin, che sono stati uomini di pace che si sono assunti il rischio di dialogare con l’avversario, sono stati entrambi assassinati dagli estremisti del proprio campo. Il problema del nostro mondo è che è molto più facile creare un estremista che un uomo del dialogo, un ideologo che uno spirito critico. Ciò detto, solo gli uomini di dialogo sono uomini di pace e, siccome non si può vivere eternamente nel conflitto, sono loro che hanno le chiavi del futuro.

Jonathan Sacks, grande rabbino di Londra, scriveva che, a memoria del passato, doveva ricordarsi delle atrocità commesse dai suoi nemici ma che, per costruire il futuro, il dialogo si imponeva come un imperativo morale: “Per l’amore dei miei figli e dei figli dei miei figli che non sono ancora nati, non potrei costruire il loro futuro sugli odi del passato, né insegnare loro che ameranno di più Dio amando meno le persone.”


Sul tema, nel sito, si cfr.:

"X"- FILOSOFIA. A FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA.

FOUCAULT, HADOT, PROSPERI, VATTIMO. L’ "addio alla verità" degli antichi e la coraggiosa proposta della carità ("charitas"), oggi. Materiali sul tema

IL PROBLEMA MOSE’ E LA BANALITA’ DEL MALE: FREUD NELLA SCIA DI KANT (MA NON DEL TUTTO). Un’ipotesi di ricerca - di Federico La Sala


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