Speranze

LA SPERANZA DI LUIS SEPULVEDA: «CREDIAMO ANCORA NEI SOGNI» - di Vittorio Bonanni - selezione a cura del prof. Federico La Sala

sabato 25 marzo 2006.
 

Lo scrittore commenta la sua ultima pubblicazione, una raccolta di scritti sulla necessità di sperare in un mondo diverso, malgrado tutto. L’omaggio a due grandi donne cilene, Gladys Marin e Michelle Bachelet

LA SPERANZA DI LUIS SEPULVEDA: «CREDIAMO ANCORA NEI SOGNI»

di Vittorio Bonanni (Liberazione, 25.03.2006)

“Il potere dei sogni”. E’ il bel titolo dell’ultima fatica di Luis Sepùlveda (Guanda, pp. 125, euro 10,00), di quelli che evocano le grandi speranze e le utopie di un’epoca recentissima ma che appare, agli occhi dei più, dimenticata e lontana. Centoventicinque pagine di brevi racconti, ricordi, articoli usciti sul Manifesto e Repubblica negli ultimi anni, considerazioni, spesso anche amare, su un mondo che non riesce a restituire la giustizia e la dignità ai proprio figli violati, come è il caso del Cile e dell’America latina in particolare. Ma Luis, un uomo che, giovanissimo, ha fatto parte della Guardia di Salvador Allende, ha conosciuto il carcere e la tortura e che non ha esitato a combattere, nel maggio 1979, con i sandinisti in Nicaragua, non è di quelli che perde la speranza e il coraggio. E la decisione di titolare così uno dei suoi tanti scritti è la dimostrazione che lui, ai sogni e alla possibilità di cambiare il mondo, ci crede ancora. «Ho scelto di chiamare così questo libro - dice lo scrittore, i giorni scorsi in Emilia Romagna in occasione della “Human rights nights” - perché un giorno, il 16 aprile del 2002, ho tenuto un discorso presso la Biblioteca nazionale di Santiago del Cile, per presentare un casa editrice che si chiama appunto “Crediamo ancora nei sogni”. Abbiamo parlato e ricordato le nostre utopie degli anni ’70 e un compagno, presidente della conferenza, mi disse che avevamo avuta la capacità di conservare, malgrado tutto, il potere dei sogni.»

E tuttavia i sogni del passato, le speranze di un cambiamento, si sono infranti contro una realtà molto diversa e molto dura, come quella di oggi. Lei, che pure ai sogni continua a credere al punto di dire “sogniamo che un altro mondo è possibile e realizzeremo quest’altro mondo possibile”, come si rapporta con uno scenario così ostile?

Tutte le epoche, e non solo questa, sono state complicate e gravide di problemi. E la stessa vita è una cosa complessa. Ma la possibilità di immaginare un mondo migliore e di proiettarsi verso un domani diverso, più umano e generoso, è qualcosa che ti spinge a sperare. E, come dicevo, la stessa complessità della vita esige una risposta, magari anch’essa complessa, ma che sia densa di speranze e di immaginazione.

Nei suoi scritti trapela sempre un grande orgoglio per aver fatto parte di una certa sinistra, di una certa tradizione, la quale, anche se si è scontrata con dei fallimenti e delle tragedie, mantiene ancora intatta la sua validità e attualità. Un atteggiamento che qui da noi, in Europa e in Italia, si riscontra poco...

La sinistra latinoamericana non ha certo nulla di cui vergognarsi. Sappiamo che abbiamo dovuto subire delle sconfitte terribili, e che non siamo stati abbastanza intelligenti nella nostra intenzione di rendere reali i nostri sogni. Ma siamo anche consapevoli del fatto che non abbiamo commesso alcuna violazione dei diritti umani, nessun crimine e non abbiamo manipolato leggi elettorali per poter vincere a tutti i costi.

Sepùlveda, lei è uno scrittore affermato. Come crede che la letteratura possa tenere vivi i sogni e dunque contribuire alla necessità di sperare in qualcosa di diverso?

Prima di essere scrittori siamo dei cittadini, e dunque abbiamo l’obbligo di mantenere viva la memoria. Come hanno fatto Pablo Neruda e Paco Urondo, Haroldo Conti e Roberto Walsh, o cantautori come Victor Jara e Jorge Cafrune. Come scrivo nel libro “sono stati loro, e tanti altri, ad averci insegnato a credere all’universalità umana della letteratura”, e proprio per questo li hanno uccisi.

Sognare condizioni di vita migliori, reagire alle ingiustizie, sembra essere una nostra necessità, quasi scritta nel nostro dna. E quello che sta accadendo a Parigi e dintorni lo sta dimostrando...

Proprio la settimana scorsa ero in Francia per tenere una serie di conferenze. Sono stato a Bayonne, a Tolosa e le università erano occupate dagli studenti. Ho parlato con loro e mi sono reso conto che si battono contro un futuro nero, inaccettabile, che fa schifo, con la possibilità di avere solo contratti di lavoro “spazzatura”. Manca però una solidarietà internazionale, una solidarietà intereuropea tra gli studenti. E la cosa mi sorprende perché il contratto che hanno proposto ai giovani francesi non riguarda solo loro. Riguarda anche gli italiani o gli inglesi, che in alcuni casi hanno a che fare con realtà ancora più difficili.

Nel suo libro ci sono due capitoli dedicati alle donne. Uno, “Addio cara compagna”, ricorda Gladys Marin, segretaria del Partito comunista cileno, scomparsa lo scorso anno, e l’altro, “Quando le cantavo l’inno dei Beatles”, dedicato invece a Michelle Bachelet, nuova presidente del Cile, un ricordo di quando nelle manifestazioni di sostegno ad Allende, nel 1971-72, cantavate la canzone del quartetto di Liverpool, che avevate dedicato all’allora giovanissima Bachelet, militante della Juventud socialista. Un omaggio alle donne di sinistra, protagoniste della vita politica del Cile...

Certamente. Non dimentichiamo che stiamo parlando di oltre il 50% dell’intera umanità che non ha avuto l’opportunità di dimostrare tutta la sua capacità. Gladys Marin è stata una donna dotata di grande intelligenza politica e capacità intellettuale, un pezzo del Cile e della nostra cultura che se n’è andata. E adesso Michelle Bachelet, la dimostrazione di una integrità morale e di una capacità enorme, con quello sguardo che trasmette calore e fiducia. Come scrissi su Repubblica lo scorso 22 gennaio «rappresenta la speranza di farla finita con una delle piaghe più aberranti dell’economia neoliberista, quella che assegna al mercato la facoltà di limitare i diritti civili e democratici, perché la maggioranza di noi cileni crede che debba essere la democrazia a stabilire i limiti del mercato».


Rispondere all'articolo

Forum