Editoriale

Scilipoti e Berlusconi collegati, e la ’ndrangheta resta in ombra

sabato 7 maggio 2011.
 

C’è un collegamento netto fra Silvio Berlusconi e Domenico Scilipoti, l’agopuntore di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), ex deputato IdV, di cui si è parlato come stella della televisione.

L’omino, vispo e tracagnotto, ha la figura del comico: nei tratti, nell’accento, nel viso, nell’eloquio; iperbolico, grottesco, irrefrenabile.

Fa il cretino davanti alle telecamere, gli riesce bene: ha capito che deve esagerare, condire, mescolare, uscire dalle regole. Infatti, l’unico principio su cui si fonda il successo via etere è apparire il più possibile stupidi, di là dall’estetica personale. Soprattutto la tv italiana ha bisogno di riempire i palinsesti con idiozia, indecenza, vuotezza. Serve all’oligopolio dell’editoria per camuffare la realtà d’ogni giorno, carica di problemi, dolore, disparità.

La rivoluzione culturale è stata avviata e compiuta dal primo ministro, padrone della televisione e dei giornali. Anzi, Berlusconi deve tutto, perfino l’aver perso completamente il senno, ai suoi potentissimi mezzi di persuasione. E’ un prodotto di se stesso, insomma. Causa sui.

Con le sue "gag", Berlusconi è diventato simpatico, umano, paradigmatico; costruendo un sistema che premia l’esatto contrario dell’intelligenza, dell’autonomia, della moralità, dell’altruismo. Così, ha potuto ripararsi dal giudizio pubblico sulle sue frequentazioni e operazioni, di mafia e corruzione indipendentemente dalle responsabilità accertate in giudizio.

Scilipoti, invece, è apparso come meteora all’improvviso, conquistando l’attenzione dei media per aver tradito elettori e cause dell’Italia dei Valori, e per le curiosità legate al personaggio, amplificate da satira e stampa.

Ci sono due fatti, fra di loro legati, che meritano attenzione, seguendo il mio ragionamento.

Il 14 dicembre scorso, prima che Scilipoti votasse la fiducia al governo, dei poveri extracomunitari hanno sfilato nel centro di Roma con gli striscioni d’una associazione in suo favore.

Non conoscevano il soggetto, non ne avevano neppure sentito parlare. L’ho verificato personalmente, con interviste e riprese. Erano stati messi lì per scena, magari con la previsione che l’informazione, come poi avvenuto, ne avrebbe reso conto.

Forse nel furbo Scilipoti (nella foto satirica con la spilla del Pdl sulla giacca) erano ancora vive le immagini della caccia agli africani di Rosarno. Per certo, la "sua" associazione s’è detta contro l’affarismo delle banche e contro tutte le mafie; in particolare, riporto la dichiarazione d’una responsabile bresciana, "la ’ndrangheta".

Ieri, alcuni quotidiani, a partire da "Il Fatto", hanno lanciato la notizia, autentica, di rapporti di Scilipoti con esponenti del clan di ’ndrangheta Stelitano-Zavattieri. E, stranamente, l’omino tracagnotto ha dato spettacolo alla trasmissione radiofonica "Un giorno da pecora" (Radio 2), rivolgendosi da ubriaco a Gian Antonio Stella e sfidando i suoi contestatori politici e Michele Santoro.

Nel suo monologo da invasato, ligio seguendo un copione prescritto, ha inserito, frenandosi a cadenza, le buone azioni da parlamentare: denunce, atti ispettivi, posizioni.

La tv lo celebra, la stampa lo guarda, Internet lo sbeffeggia. Ma nessuno, fin qui, va a fondo circa i suoi rapporti con la ’ndrangheta.

Domenico Scilipoti è un soggetto da cui mi guarderei bene. Come dal suo maestro di comunicazione, Silvio Berlusconi.

Carmine Gazzanni


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