LS

selezione a cura di s. Federico La Sala - Italia: che cosa ci unisce - di Furio Colombo

mercoledì 26 aprile 2006.
 

ITALIA: CHE COSA CI UNISCE

di Furio Colombo (www.unita.it, 25.04.2006)

Il film «Duccio Galimberti» di Teo De Luigi, che ho potuto vedere la sera del 23 aprile, è stato per me un modo emozionante di ritornare a quel Piemonte in rivolta contro l’orrore del fascismo che ha segnato la mia vita di bambino, stupito che così tanti adulti fossero vili, ammirato fino all’esaltazione dal coraggio senza condizioni di coloro che hanno deciso di cambiare la Storia italiana.

Il film, narrato fra altri da Giorgio Bocca, uno che non è mai stato vile né di fronte alle armi né di fronte alla seduzione del buon conformismo giornalistico, è una straordinaria lezione sul tragico effetto della propaganda totale, sulla macchina di persuasione che consente di lanciare un intero popolo in una spaventosa avventura, sulla base della pura menzogna, del culto assoluto di una persona e con la invenzione, cattiva, ossessiva, efficace, di un nemico. È un documento sull’immenso fenomeno dell’opportunismo che induce a partecipare alla macabra festa, e induce ad accettare che si possa perseguitare e uccidere.

La forza del film di Teo De Luigi sta nell’avere composto, con montaggio di film di propaganda fascista e racconti dei vivi sui morti (i vivi sono anche anonimi contadini che erano bambini al tempo del fascismo) una rappresentazione corale della Resistenza. Duccio Galimberti, il brillante avvocato di Cuneo figlio di gerarca fascista e primo organizzatore di una banda partigiana è il protagonista esemplare del grande scatto di dignità di una borghesia colta che ha saputo ritrovare di colpo legami di solidarietà e di impegno con un popolo colpito, sbandato, eppure già in rivolta. Ma ciò che fa non dimenticabile il film di Teo De Luigi è lo sguardo largo che comprende tanti, comprende tutti coloro che non si sono arresi, coloro che hanno dato la vita e coloro che sono vissuti per testimoniare. Li ascoltate e vi rendete conto che parlano come se rendessero conto di un atto dovuto.

Nelle loro voci scoprite un’Italia in cui combattenti partigiani, cittadini divenuti combattenti, perseguitati ebrei divenuti partigiani, parroci e preti che hanno rinunciato alla loro facile copertura per stare con i perseguitati e con i partigiani, donne dal coraggio tranquillo, intere borgate e paesi che poi sono stati distrutti bruciando vivi gli abitanti, questo è il popolo di italiani che ha restituito un volto umano, un volto europeo, un volto accettato al tavolo della pace, a un Paese che era stato il principale complice di Hitler, dalle leggi razziali alle stragi d’Europa. Se questo film sarà mostrato nelle scuole per far ascoltare voci vere nel sottobosco della falsificazione operata in questi cinque anni di governo privato, molti ragazzi scopriranno di colpo che ci sono ragioni, da italiani, di essere orgogliosi. E se vorranno ricordare grandi momenti di unità nazionale (quella unità nazionale che ci raccomandano sempre) potranno rivedere l’episodio più tragico e più alto della Resistenza piemontese: 1944, l’intero comando militare della lotta di Liberazione in quella regione è stato catturato (su delazione di spie) e tutti sono stati uccisi a Torino in località Martinetto. Si fa avanti il nuovo gruppo che prende la guida della lotta. Non ci sono discorsi o dichiarazioni. Nel luogo clandestino in cui rischiano ogni istante di essere scoperti, si alzano in piedi e cantano l’inno di Mameli. Quell’inno, in quel momento, smette di essere un canto di regime, e diventa inno nazionale.

* * * Ho ripensato a questo episodio la mattinata del 24 aprile, nella trasmissione «Omnibus» de La7 condotta da Rula Jebreal e dedicata alla Resistenza. «Che cosa significa per voi questo giorno?» ha chiesto ai presenti la Jebreal. Giano Accame, che ha militato in quegli anni in formazioni fasciste, ha detto: «Ero già in prigione quella notte. Per me è una sconfitta». A me è sembrato giusto rispondergli: «Anche per te è l’anniversario di una vittoria, di un evento che ha cambiato la tua vita di giovanissima recluta di Salò come ha cambiato la mia di bambino. Da quel momento siamo liberi. Pensa al tremendo futuro che ci sarebbe stato in Europa senza la Liberazione che oggi celebriamo. Un mondo diviso fra aguzzini e vittime, fra persecutori e prede umane, fra rappresaglie e campi di sterminio. Come non vedere la grandiosità di ciò che è successo per tutti?».

E mi è sembrata bella una frase di Vauro, altro partecipante al dibattito, che ha detto: «Certo che rispetto i morti di Salò. Sono anch’essi vittime del fascismo, si uniscono a tutta l’immensità di morti che il fascismo ha provocato in Italia e in Europa. Sono le vittime di una spaventosa macchina disumana che li ha catturati e portati a morire, esattamente come tante altre vittime, in Italia e in tutti i Paesi occupati e distrutti».

* * * Proverò a dire quale sembra a me, oggi, il segno e il senso del 25 aprile, dopo un brutto periodo della storia italiana in cui alcuni, da posizioni del potere e di dominio delle informazioni, hanno negato tutto o raccontato storie roovesciate di fascisti perseguitati e di vendette che sarebbero state il frutto esclusivo della sete di vendetta comunista. Siamo usciti da una dura campagna elettorale, ma non siamo i Montecchi e i Capuleti. Siamo fascisti e antifascisti. E se qualcuno ci dice che «antifascista» oggi non vuol dire più niente, ditegli che vuol dire «libero» e dunque il suo significato non può finire, tanto più che è consacrato dalla Costituzione. E la Costituzione è il frutto della Resistenza, scritta dalle stesse persone che alla Resistenza hanno partecipato. E se qualcuno vi dice che la fine della “categoria” «fascista» fa finire la definizione di «antifascista», rispondete che non è vero. Le culture non si evolvono per magia.

L’Europa è percorsa da fascisti che sono protagonisti di gruppi odiosi, piccoli e marginali, come erano le bande di Mussolini prima di agganciare il grande potere privato e il grande tradimento di un re. Quando, come materiale quasi esclusivo di una intera campagna elettorale, si inventano «i comunisti» e si attribuisce questo titolo (ad honorem, direi) a tutti coloro che non sono o non sono stati comunisti, ma sono certo indomabili avversari, si entra in una spirale di propaganda malevola che punta alla negazione della libertà attraverso la rappresentazione falsa (ma con mezzi potenti) dei fatti.

La concordia che ci invitano ad avere e che è uno standard di civiltà, non consiglia di smettere il saldo legame col passato. Nessuno può permettersi di fare il tifo per il Ku Klux Klan negli Stati Uniti o di elogiare la parte schiavista della Guerra di Secessione. La concordia si forma a partire dalla intangibilità dei valori comuni. Noi siamo ricchi di valori comuni. Cominciano il 25 aprile, quando abbiamo posto fine, al prezzo di molto sangue, alla sottomissione a un regime di morte. E abbiamo dato vita alla Costituzione. È vero, durante il governo che adesso finisce, e a causa di un comportamento senza giustificazioni di tanti deputati e senatori la Costituzione italiana nata dalla Resistenza è stata amputata, offesa, vandalizzata, mutilata, resa incoerente e zoppa.

Ma stiamo avvicinandoci a un referendum che dovrà restituirci quella Costituzione per la quale tanti Duccio Galimberti hanno dato la vita. A quel voto dovremo partecipare come ad uno degli eventi più importanti della Storia italiana. Riavere la Costituzione, come ci ha detto e ricordato il presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, sarà il più grande atto di omaggio alla Liberazione. Ha fatto bene il prossimo presidente del Consiglio Prodi a dedicare a quell’impegno il nostro 25 aprile. Ancora una volta non stiamo cercando una vittoria di parte, perché la nostra Costituzione non divideva gli italiani. Stiamo cercando di restituire a quel documento di libertà la sua integrità che ci unisce, perché ci mette tutti al sicuro dal capriccio del demagogo di passaggio.

Riavere la nostra Costituzione è la risposta. È spirito di concordia, il solo possibile perché basato sul rispetto reciproco.

Post Scriptum Tutto quello che ho scritto mi induce a dire, dopo le notizie sulla manifestazione di Milano, la mia repulsione per alcune grida oscene (oscene perché invocazione di morte) contro la bandiera di Israele. Quella rappresentava la Brigata Ebraica, una formazione volontaria che, durante i giorni della Shoah, ha combattuto in Italia per la nostra liberazione. Non sapere che quella bandiera appartiene all’antifascismo e alla Liberazione, ed è un simbolo di lotta alla persecuzione nazifascista, rappresenta un pauroso buco nero di conoscenza e di Storia. Ci sono tanti modi, anche inconsci, di essere dalla parte sbagliata. Mai dimenticare che da quella parte c’è ancora ciò che resta del nazismo e del fascismo.


Rispondere all'articolo

Forum