Politica

Lettera aperta a una sinistra nazionale che non sente, non vuole sentire

A Prodi, Rutelli, Fassino, Cossutta, Pecoraro Scanio e associati, che non si sono manco degnati di rispondere
domenica 10 aprile 2005.
 

Cari prodi dell’Unione,

cari Prodi, Rutelli, Bertinotti, Fassino, Cossutta, caro Alfonso, verde, spero, cari reggitori tutti,

vi scrivo da un quartiere periferico del piccolo globo. Vi chiamo a rispondere da San Giovanni in Fiore, la città di Gioacchino, quello strano profeta d’una renovatio mundi - che non fu tanto obbediente verso il potere d’allora. Qui, strano a dirsi, la disoccupazione è a quota 51% ma la guerra, restando alle quote, non c’entra affatto. Esiste da sempre, qui, la guerra. Che fa ancora, tragicamente, vittime non riconosciute - mentre scorrono, per ogni dove, messaggi digitali di benessere, perfettamente occultando la coscienza razionale. Noi vegliamo e non ci preoccupano, in prima istanza, le riforme scolastiche, portino la firma dell’amico (non ricordo dove l’ho mai visto) Berlinguer o della perfida o tenace (non saprei mai) Moratti. Non ci interessano discorsi complessi e bene articolati. Non ci importa la persuasione, fondata su ragioni plausibili e riguardante temi attuali, scottanti, stringenti e imprescindibili. Il Sud va alla morte e voi, come altri, fingete che sia diversamente. Sono un modestissimo e molesto cronista di zona, che non ha voce, non ha mezzi, non ha seguito. Ho rabbia e ci vedo ancora. E, dalla mia, ho qualche documento bollente da parte, accanto alla possibilità, se qualcuno non mi blocca coi sistemi vigenti, di cui non sapete, di invocare la semplice osservazione della realtà. Il giornale che dirigo - o non dirigo -, la Voce di Fiore, ha chiesto a Gianni Vattimo di venire a candidarsi come sindaco. La candidatura è nata all’interno delle discussioni della redazione del mensile (www.lavocedifiore.org), sorto come laboratorio di produzione culturale, in un contesto, quello calabrese, di marginalità obbligata. Alcune idee di fondo della Voce sono state condivise dal gruppo dei fondatori già prima dell’uscita del giornale. Per esempio, che la politica ha sempre un dato essenziale: se non è fatta direttamente, si subisce in termini di effetti concreti. Questa ovvietà aveva accompagnato i nostri scambi, nel 2002, con il professor Alfonso Iacono, filosofo della politica e docente nell’Università di Pisa. Il gruppo della Voce ha una visione assai pratica della realtà locale e, proprio per questo, ha deciso di intraprendere delle azioni mirate a un attacco critico e sistematico verso un piccolo sistema di potere, alimentato attraverso intimazioni diffuse e ricatti psicologici. Probabilmente, i forti richiami della Voce e le sue dure inchieste sono una reazione naturale all’indifferenza, interna alla società, che ha prodotto, a San Giovanni in Fiore, una disoccupazione da record. Il sistema politico locale, con varie complicità, anche trasversali, ha cercato di indottrinare tutte le categorie sociali, gli individui, perché si dimenticassero radici storiche della città florense, luoghi della memoria e forza dello spirito popolare. I partiti, di destra e sinistra, hanno sapientemente eliminato ogni forma di critica e dialettica, creando una società omogenea, una società del silenzio e della paura. Questo clima, principalmente questo clima, ha prodotto allontanamento, disturbi psichiatrici, emigrazione di massa, disperazione, desolazione e dipendenza psicologica. Il movimento che la Voce ha creato attorno a Gianni Vattimo si basa sulla convinzione che un sindaco sganciato dal sistema possa riportare la città sulla strada del dialogo e sulla convergenza di quelle energie sociali che non si sono ancora rassegnate. E, soprattutto, il movimento, fatto finalmente di e da giovani, vuole parlare all’Italia intera, proprio in un momento politico in cui si vanno generando tante confusioni sulla questione sociale e meridionale. La destra è riuscita a prendere il governo regionale, sulla scia della novità berlusconiana - così è stata percepita, a livello collettivo, l’azione politica di Forza Italia. La destra, poi, è riuscita a inserire nell’esecutivo regionale un falso avvocato, Paolo Buonaccorsi, pubblicamente denunciato da Gian Antonio Stella, in un articolo apparso sul Corriere della sera del 19/03/2003. E, soprattutto, la destra ha agito avvalendosi di un incredibile apparato burocratico capace di preservare e consolidare un potere autoreferenziale. Ma non si può fare un discorso diverso per la sinistra. Nonostante l’età, rammento bene il comportamento della giunta di Rosario Olivo, all’inizio degli anni Novanta. E, se guardo alla realtà cosentina, non posso non osservare che Mario Oliverio (Ds), già assessore regionale, deputato in quattro legislature e oggi pure presidente della Provincia, ha compiuto una privatizzazione della politica, intesa come fatto suo - annullando ogni ruolo del popolo, pur venendo da una cultura comunista. Innanzi a questa verità, dovrei restare seraficamente in contemplazione? Quando, anni addietro, si fece, a San Giovanni in Fiore, il referendum consultivo per l’adesione alla Provincia di Crotone, furono presidiate le sezioni di voto dai compagni diessini, che proibirono una serena e democratica consultazione popolare. La maggioranza consiliare di centrosinistra, nonostante il mancato raggiungimento del quorum - questione di pochi votanti in meno -, non fece mai alcuna discussione, in consiglio comunale, su una volontà popolare, chiarissima, per il passaggio con la Provincia di Crotone. E non la fece per motivi di seggiole, dal momento che, nell’area cosentina, stanno al potere, gira e volta, sempre gli stessi. Comunque, la realtà di San Giovanni in Fiore è un caso nazionale: 1118 beneficiari del Reddito minimo di inserimento, fra il 1998 e il 2003, 150 lavoratori d’utilità pubblica e 617 precari appartenenti al Fondo sollievo della disoccupazione (che lavorano per 156 giornate all’anno). Una città in cui, grazie ad alcuni politici in particolare, ci sono state speculazioni formidabili sulla gestione del Reddito minimo, che è valso a garantire e allargare consensi e aumentare certe popolarità. Una città in cui s’è inaugurata una casa delle culture - dopo un rifacimento (a cura dello studio professionale dell’assessore ai lavori pubblici, il diessino Antonio Barberio) costato più di mezzo miliardo di lire - senza mai renderla fruibile, a distanza di tre anni dal taglio dei nastri. E dalla quale sono stati sfrattati i ciechi dell’Unione italiana di San Giovanni in Fiore, con apposita delibera di giunta, dopo una prima assegnazione formale con un atto della stessa specie. Una città in cui una struttura destinata ad attività socio-culturali, il Polifunzionale, costato tre miliardi e settecento milioni, con annesso parco comunale comprendente piscina e impianti sportivi (850 milioni di lire + due miliardi e cento milioni), è gestita sine die da una cooperativa capeggiata dal capogruppo consiliare della Margherita, Giovanni Belcastro, perfino proposto come sindaco, dallo stesso partito. Una città in cui tossicodipendenza, alcolismo, psicopatologie e disagio sociale sono elevatissimi. Una città in cui chi ha voglia di lavorare è maledettamente impedito, come l’imprenditore edile Nicastro, il cui progetto riguardante un’attivita di riutilizzo degli inerti (con la previsione di 50 posti di lavoro) è diventato, per l’inerzia di vari amministratori comunali, un insolubile rebus - come il «rombo» di Giovenale. Una città in cui le energie sociali rappresentate dai fermenti culturali e dall’associazionismo non sono affatto considerate. Basti guardare, in proposito, alle pesanti dichiarazioni di Legambiente, dello Sci Club Montenero, della Pro loco, della banda musicale Paideia e altri, non sostenuti e addirittura osteggiati. Una città, inoltre, in cui la distruzione - come metodologia unica - del patrimonio naturalistico, storico e architettonico è ormai diventata naturale, obbligatoria e funzionale al perseguimento degli scopi statutari - come ha dimostrato dettagliatamente lo studioso Francesco Saverio Alessio (www.emigrati.it e www.florense.it), nei suoi numerosi e puntuali scritti. Una città in cui il presidente del consiglio comunale, Agostino Audia (Margherita), ha costruito recentemente una casa abusiva al confine col Parco nazionale della Sila (la fonte è Pasquale Tiano, dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di San Giovanni in Fiore). Una città in cui si fanno promesse, a destra, in Alleanza nazionale, di posti sicuri, senza sudori né responsabilità, da occupare (soltanto) dopo idoneo appoggio elettorale. Una città in cui, per espressa volontà del centrosinistra, le scuole superiori sono state ubicate in periferia, edificando nuovi e inutili palazzi, nonostante i gravi problemi che interessano il sistema commerciale, trainante l’economia locale, e le innumerevoli caserme a cinque piani, che caratterizzano l’architettura e l’urbanistica florense. Una città in cui le barriere architettoniche non sono mai state rimosse, i diritti sono subordinati agli umori di pochi podestà e i doveri costituiscono delle mere facoltà. Una città in cui i politici di sinistra non hanno mai partecipato a manifestazioni di sinistra, se queste riguardavano problemi mondiali o tentavano di aprire discussioni e avviare un movimento. Ricordo, ad esempio, una performance, il 7 agosto del 2003, in favore di Adriano Sofri, realizzata da un gruppo di giovani e ostacolata in ogni modo dalla maggioranza (di centrosinistra) di giunta, in testa il vicesindaco Aldo Orlando (Margherita). Perché, a San Giovanni in Fiore, è necessario proibire aggregazione e socialità, anche se sono in nome di ideali e valori della sinistra storica. Come in una canzone di Frankie hi-nrg, «il fine è solo l’utile, il mezzo ogni possibile, la posta in gioco è massima, l’imperativo è vincere - e non far partecipare nessun altro -, nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro: niente scrupoli o rispetto verso i propri simili perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili». Una città in cui gli emigrati sono stati dimenticati e abbandonati, al punto da abolire la loro Consulta dallo statuto comunale e riammetterla solo dopo tre anni di battaglie estenuanti. Una città in cui l’emigrazione continua, procede, avanza - svuotando il centro abitato. Una città in cui un giovane intellettuale che voglia farsi strada è, già in partenza, in condizioni impossibili: non può scegliere. Non ha alcuna garanzia presso ordini professionali e non svolge le mansioni del suo mestiere. Proprio a San Giovanni in Fiore, ci sono stati diversi giovani che hanno pensato, con ogni buona intenzione, di svoltare con la carriera politica. Nella maggioranza dei casi, sono stati spremuti e usati per le "nobili" ragioni di partito. Quando, poi, si poteva - e doveva - puntare su di loro, per un effettivo rinnovamento politico e amministrativo, è sempre venuta in luce la triste evidenza del sistema: no, il diritto di badare alla cosa pubblica appartiene, per scelta divina, soltanto a qualcuno. Questo gioco, cari prodi dell’Unione, è stato benissimo a voi, che l’avete accettato, legittimato e ratificato per vincere. Poiché, non scordiamolo, «l’imperativo è vincere». «Nothing else matters», cantavano i Metallica. Sì, fa nulla. Al diavolo le risorse d’un territorio e, in particolare, quelle umane. Come dire, va tutto bene, purché, poi, riusciamo a portare i bambini nelle strade perché rifiutino, cantando, i progetti per la scuola del ministro dell’Istruzione, ormai ben poco pubblica. E non diciamo, cari prodi dell’Unione, che l’onorevole Mario Oliverio, leader della sinistra cosentina, ha concesso la vecchia Scuola tappeti di San Giovanni in Fiore a una cooperativa di sua fiducia che gestisce le mense scolastiche e ha ricavato la sua bella pizzeria - come la cooperativa che ha in concessione il Polifunzionale - nei locali della Scuola. Che cosa avrebbe dato, a San Giovanni in Fiore, una Scuola tappeti, conosciuta in tutta Italia, in tempi di mercato globale e incontro delle culture? Ma anche questo è un dettaglio trascurabile. Il potere si struttura e ramifica, a sinistra, qui, a San Giovanni in Fiore, insinuando bugie e gettando fango su chiunque ostacoli questo rovinoso e delittuoso processo. Si organizzano finzioni con abilissime regie di gente che si batte il petto, la domenica, in chiesa, e poi diffonde calunnie d’ogni fatta contro le coscienze critiche - e irriducibili - di San Giovanni in Fiore. Voglio che sappiate, cari prodi dell’Unione, che il signor Antonio Guarascio, un geometra comunale con la testa a posto, è ancora vittima di gravissime intimidazioni e cattive dicerie, per usare degli eufemismi, solo perché ha denunciato pubblicamente una prassi, all’interno dell’Ufficio tecnico comunale, che va accertata nelle opportune sedi di competenza. Voglio che almeno leggiate quali sono i pilastri che reggono la vita della comunità florense; anche perché qui ci venite a domandare e prendere voti. Che cosa può sperare un giovane, un’anima con una coscienza, una mente che immagina un mondo fatto di istituzioni democratiche o che abbia perfino superato la stretta necessità del contratto sociale? Rispondete, se volete. In ogni caso, resta questa mia lettera. Dal clima che ho provato a descrivere è nata la reazione di giovani, i miei amici e me, che non accettano né accetteranno questo sistema di potere per il potere. Gianni Vattimo è con noi, ci ha guardato negli occhi, ci è venuto incontro. Come Pasolini, che ha voluto comprendere direttamente la sofferenza meridionale, Vattimo è sceso al Sud; è venuto a San Giovanni in Fiore, per dare una speranza concreta alla nostra voce e per testimoniare che l’impegno civile e umano non è condizionato da interessi particolari e può oltrepassare ogni genere di dubbio.

Emiliano Morrone


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