Qual è la “stella” che ha guidato e può ancora guidare il cammino dell’umanità?
ECLISSI DEL “DIO” DELLE RELIGIONI STORICHE.... E LE GERARCHIE ‘IMPAZZITE’!!!
Una ‘risposta’ a una musulmana in buona-fede di Federico La Sala*
6 giugno 2006, e-mail di amina salina
cari amici
sono musulmana e i miei figli sono iscritti ad alcune attività oratoriane in un quartiere popolare di Roma.Essendo una fautrice del dialogo interreligioso credo che ci siano dei valori comuni tra noi e voi..
La cosa principale da recuperare e’ l’educazione spirituale dei bambini e dei ragazzi. Stavo discutendo con alcuni animatori ed alcuni genitori durante uan cena sempre all’oratorio su queste cose.Beh e’ uscito fuori che praticamente tolta a famiglia loro non possono fare praticamente nulla o molto poco.Non esistono strumenti che possano mettere in crisi il dio profitto che e’ il vero appaente padrone del mondo.
La cosa salta fuori macroscopicamente quando si tratta di una religione come la nostra che copre le 24 ore al giorno:noi dobbiamo lottare contro il diodenaro 24 ore al giorno,rendere compatibili i nostri orari con preghiere digiuni ed altro quando questa e’ una società che vuole distruggere ed annientare la fede dentrol’animo umano. In che modo??relegando la al privato,facendone una cosa sempre piu’ invisibile finche’ sparisce.
Una volta i cristiani pregavano come i monaci forse voi lo fate ma quanti lo fanno ancora??E quanti si vcomportano veramente in modo evangelico?? No quando e’ uscita la storia delle vignette abbiamo difeso la nostra fede e cosi’ dev’essere per tutti. Questa storia del partito pedofilo e’ v era perversione:perche’ viene accettato il male in nome della libertà umana mentre il bene viene visto con sospetto?? Perche’ si accetta il tradimento coniugale,il furto delle risorse pubbliche la maia la camorra il ladrocinio di stato,e no si accetta il pudore femminile ,la fede, la preghiera la castità??
Per questo quando si afrontano questi problemi non bisogna farlo da un angolo minoritario ma come credenti alleandoci tutti perche’ i nemici della fede sono il materialismo il consumismo l’ingiustizia.Ogni essere umano ha dentro di se’ le risolrse per salvarsi e aiutare il prossimo. Solo che basta guardare una pubblicità dove la donna viene dipinta come una prostituta perche’ ti viene la voglia di vivere nell’anno Mille.
A proposito se vi capita c’e’ un bellissimo film su Maria, la Madonna realizzato da musulmani sciti di Napoli che sta facendo il giro dell’Italia .Potete chiederlo a i-puro-islam@libero.it al sig.Ammar De Martino. Chi l’ha visto ha detto che e’ bellissimo ed e’ adatto a sviluppare il tema del dialogo
Per concludere credo che i cristiani debbano autoorganizzarsi e che debbano credere poco alle Chiese che sono formate da uomini e molto al messaggio di Gesu’ - per noi Profeta per voi figlio di dio - che e’ amore e giustizia.
RISPOSTA:
Cara Amina
Permettimi - in onestà, una precisazione. A quanto pare non hai letto il testo [dell’art. Tradimento strutturale della fiducia ...e del messaggio eu-angelico. IL PARTITO DEI PEDOFILI IN OLANDA ... E NELLA ‘TEBE’ VATICANA! Una ‘risposta’ ad un cattolico in buona-fede, www.ildialogo.org/filosofia, 04.06.2006] ... e il senso del discorso ti è ovviamente del tutto ignoto - non sei la sola, e nemmeno in cattiva compagnia. Di religiosi e religiose più o meno integralisti e integralististe ce ne sono dappertutto nel mondo. Hai colto a volo solo una parte del discorso (e, su quello che dici, per gran parte la condivido).
Ma, sul resto, il mio discorso è a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e un altro - ed è antropologico e (dal punto di vista di cittadino italiano) costituzionale. E ciò che si dice nel mio art. è l’assoluta necessità oggi per tutti gli uomini e tutte le donne (atee e atei, religiosi e religiose) della terra è fare ... proseguire il cammino dell’umanità tutta - e non di fermarsi o peggio di tornare indietro rispetto alle proprie identità locali e storiche!
Partiamo dall’essere esseri umani con determinati modi di concepire gli esseri umani stessi, Dio, e il mondo.... e dopo possiamo cominciare a dialogare! Da questo punto di vista (ANTROPOLOGICO) l’indicazione di Abramo, come quella di Socrate, è identica, e ancora valida: Vai a te stesso!, Vai a te stessa! E, oggi, è tutta l’umanità che deve andare a se stessa (su questo tema, cfr. il bel libro di Moni Ovadia, VAI A TE STESSO, Einaudi, Torino 2002).
Cara Amina
SULLA TERRA, NESSUNO E’ SENZA ’PADRE’ E SENZA ’MADRE’.... TUTTAVIA C’E’ CHI CREDE DI ESSERE FIGLIO O FIGLIA DI NESSUNO, CHI DI ESSERE FIGLIO O FIGLIA SOLO DI DIO, CHI SOLO DI MAMMASANTISSIMA, CHI SOLO DI MAMMASANTISSSIMA E DIO..... E CHI CREDE DI ESSERE SOLTANTO FIGLIO O FIGLIA DELL’ “AMORE” DI “DUE PERSONE”: QUAL E’ LA "STELLA" CHE HA GUIDATO E PUO’ GUIDARE ANCORA IL CAMMINO DELL’UMANITA’?!
Come ben sai, i casi della vita sono infiniti e infiniti sono i modi per camminare, ma una sola è la ’stella’ da seguire: non c’è nessun dio, se non il dio dei nostri ’padri’ e delle nostre ’madri’!!! Sulla Terra, nessuno è senza ’padre’ e senza ’madre’. Chi lo sa lo sa, chi non lo sa non lo sa ... ma lo sanno tutti gli esseri umani che è l’Amore di D-ue-IO, e non il sangue o la terra (la dimensione biologica, chiusa e cieca dei faraoni e delle ..faraone di sempre, fino ai nostri attuali - presenti in tutte e tre le religioni e anche nel campo laico), a fare di un essere biologico della specie umana un essere umano!!!
Per pensare bene la nostra identità, la nostra ’casa’, e la stessa Terra che abitiamo, bisogna allontanarsi,.... essere usciti dall’Egitto - essere andati nel deserto, e nel mare aperto!!! Mio padre e mia madre non è affatto chi mi ha generato (solo) fisicamente, biologicamente, ma chi fa (soprattutto) la volontà dell’AMORE che li ha generati come persone, che li ha uniti come persone, e ha fatto mettere al mondo altre persone!!!
In Sudafrica, da epoche remotissime (per noi civilissimi, occidentali: ’ebrei-cattolici-musulmani’ ... integralissimi, e superiori), c’è una parola che ancora oggi aiuta (e ha aiutato Mandela, Tutu, e Declerk) a bene-pensare e a bene-ragionare (Eu-Logos) nelle religioni e nelle politiche (per non perdersi nei campi di concentramento e di sterminio!!!): UBUNTU = le persone diventano persone grazie ad altre persone. Ricordiamoci di essere esseri umani - questo è decisivo: solo così possiamo dialogare, incontrarci, e risolvere i nostri problemi. Ogni altra via è SENZA USCITA ... buia e senza alcuna speranza - per tutti e per tutte!!! O no?! (06.06.2006)
M. cordiali saluti, Federico La Sala
www.ildialogo.org/filosofia, Mercoledì, 07 giugno 2006
CHIESA E ISLAM A Milano per un dibattito sul dialogo tra le due sponde del Mediterraneo:«Da potenza incontrollabile il mare si trasformi in occasione di armonia»
Il vescovo di Tunisi: «Nelle nostre scuole la via dell’incontro»
La testimonianza di Maroun Lahham:«Siamo al servizio di tutti. Per questo ci rispettano»
Da Milano Giuseppe Matarazzo (Avvenire, 19.07.2006)
«Nella mentalità biblica, il mare rappresentava il potere del male, le potenze incontrollabili. Oggi non si pensa più così. Il mare, il Mediterraneo nella fattispecie, offre preziose reti di conoscenza e tentativi di convergenza. Il mare, paradossalmente, è anche un ponte per unire le differenze in armonia». Pronuncia parole dense di significato Maroun Lahham, vescovo di Tunisi, intervenendo ieri mattina al quarto Laboratorio Euro-Mediterraneo promosso dalla Camera di Commercio di Milano, con autorevoli presenze internazionali. L’attenzione è sulla crisi mediorientale ma anche sui rapporti e gli scambi fra le sponde del Mediterraneo. Temi cari a Lahham, palestinese nato in Giordania, che si definisce «vescovo cattolico di origine araba e di cultura arabo-musulmana».
Avvicinare le due sponde del Mediterraneo. Come si vince questa sfida?
«Occorre guardare le cose con occhi nuovi: sapere che siamo diversi, nella storia, nella cultura, nella religione; sforzarci per trasformare le differenze in elementi di reciproco arricchimento; imparare a conoscere e informarsi sull’altro, soprattutto i bisogni per rispondere con generosità e gratuità».
In Tunisia ci sono ventimila battezzati su dieci milioni di abitanti. Quali difficoltà?
«Le difficoltà di una Chiesa straniera, che però è accettata. Anzi rispettata. Anche per quello che fa. Nella scuola, nella formazione, sostenendo la gente. La difficoltà maggiore è quella di sentirsi fragili, perché non fai parte del tessuto sociale del Paese. Ma abbiamo tanto entusiasmo e voglia di fare».
Qualche iniziativa in particolare?
«La nostra è una presenza di servizio pastorale che non si limita ai cattolici. È una missione, una testimonianza verso il popolo tunisino che ci accoglie. In tutte le nostre scuole non c’è neanche un cattolico. La diocesi ha messo in opera un centro culturale e pedagogico che offre sessioni di formazione a centinaia di insegnanti tunisini, sia delle scuole pubbl iche sia di quelle private. Uno dei nostri progetti per il prossimo futuro è quello di sviluppare questo centro, perché corrisponda al meglio alla propria missione e ai bisogni culturali e pedagogici della Tunisia».
È continuo il flusso di disperati che lascia l’Africa per dirigersi in Europa. Il Mediterraneo come mare della speranza...
«L’altro giorno leggevo di un marocchino fermato prima di imbarcarsi che gridava: "Uccidetemi, ma qui non resto". Nessuno lascia il proprio Paese se non è mosso dal bisogno. Per questo occorre guardare a politiche di sviluppo e di sostegno per i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Aiutare la gente a muoversi in modo legale, senza essere costretti a viaggi della disperazione nelle condizioni che conosciamo. Lavorare per creare le condizioni affinchè possano tornare. Quello che cerchiamo di fare con la Caritas diocesana per aiutare quanti vogliono rientrare in Tunisia».
Lei conosce molto bene l’Islam: diffidenza, paura, opportunità?
«Parlo spesso di un Islam del sorriso. Non si deve pensare all’Islam come un miliardo di potenziali kamikaze. Non è così. Il fanatismo c’è, ma in piccolissima misura. La presenza dell’Islam in Europa può essere una "chance" per tutti. Per l’Europa, è un richiamo positivo ad avere un’identità forte, a ritornare a valori spirituali e morali che si perdono. Per l’Islam, obbligato a entrare nel mondo del pluralismo religioso e culturale, che può acquisire una mentalità rispettosa, essere più libero - o liberato - e dunque più credibile».
Intanto in Medio Oriente è ancora crisi.
«Ci deve essere un impegno deciso, imparziale e obiettivo da parte di tutti a risolvere il conflitto israelo-palestinese. È tutto lì il nodo del conflitto in Medio Oriente. Occorre da un lato garantire il diritto di Israele all’esistenza e a vivere in pace; dall’altro è necessario fare di tutto perché possa finalmente nascere uno Stato palestinese, mettendo fine a decenni di violenze, sangue e odio. Possa questa terra elevarsi a terra di dialogo, d’incontro. Dice un detto: "Chi vuol vedere un angolo di paradiso, guardi Gerusalemme". E invece...».
BASTA SOFFERENZA IN MEDIORIENTE di Michael Lerner, rabbino (16.7.2006, trad. M.G. Di Rienzo) *
Michael Lerner, rabbino, è autore di Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation (Harper, 1995), Healing Israel/Palestine (North Atlantic Books, 2003), The Left Hand of God: Taking Back our Country from the Religious Right (Harper San Francisco, 2006). E’ l’editore di “Tikkun Magazine” e rabbino della sinagoga Beyt Tikkun)
La gente in Medio Oriente sta soffrendo di nuovo mentre militaristi di tutti i fronti, e giornalisti festanti, lanciano missili, bombe, e infinite parole di autogiustificazione per l’ennesimo inutile round di violenza fra Israele ed i suoi vicini. Per coloro fra noi ai quali importa molto della sofferenza umana, questo ultimo episodio di irrazionalità evoca lacrime di tristezza, incredulità per la mancanza di empatia da ogni lato, rabbia per quanto poco si sembri aver appreso dal passato, e momenti di disperazione mentre vediamo di nuovo gli ideali religiosi e democratici subordinati al cinico “realismo” militarista.
I sostenitori di ambo le parti, contenti di ignorare l’umanità dell’Altro, si affrettano ad assicurare ai loro collegi elettorali che la colpa è sempre del nemico. Tutti questi sforzi non hanno senso. Siamo in presenza di un conflitto che si è protratto per oltre un secolo. Ha poca importanza chi abbia accostato l’ultimo cerino alla pietra focaia. Quello che è veramente importante è come rimediare alla situazione. Il gioco del biasimo serve solo a spostare l’attenzione dall’argomento centrale.
Nel gioco del biasimo ce n’è per tutti. Dipende solo da dove fai cominciare la storia. Contando sulla generale mancanza di memoria storica, i partigiani dell’uno o dell’altro fronte scelgono di dar inizio alla narrazione dal luogo in cui essi sono le “vittime che hanno ragione” e gli altri i “malvagi aggressori”. Ai Palestinesi piace partire dal 1948 e dall’espulsione di migliaia di loro dalle loro case durante la guerra ad Israele, proclamata dai confinanti stati arabi, e dal rifiuto del governo israeliano di permettere il ritorno di queste persone quando le ostilità furono cessate.
Agli Israeliani piace partire da quando gli Ebrei cercavano disperatamente di sfuggire al genocidio che affrontavano in Europa, e una cinica dirigenza araba convinse l’esercito britannico a sostenere i locali Palestinesi che cercavano di impedire a questi rifugiati di raggiungere gli altri Ebrei che vivevano in Palestina a quell’epoca. Io racconto questa storia, e il modo di comprendere ambo le parti nel mio libro Healing Israel/Palestine (“Guarire Israele e la Palestina”)
Oppure si può iniziare da fatti più recenti, dall’escalation di violenza di quest’estate. Ma dove esattamente è cominciato il tutto? Per favore, andate al sito web di B’tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, e osservate come ciascuna parte denuncia gli atti oltraggiosi dell’altra. Fin dalla morte di Yasser Arafat, e dall’assunzione di potere del Presidente palestinese Mahmoud Abbas, le principali fazioni politiche palestinesi, Fatah e Hamas, hanno osservato l’ “hudna”, cioè il cessate il fuoco.
Eppure Israele, sottolineando il fatto che la polizia di Abbas (decimata dai bombardamenti israeliani durante la seconda Intifada del 2001/2003) era incapace di contenere completamente la violenza di Hamas, della brigata dei martiri di Al-Aqsa e della jihad islamica, ha usato questa debolezza per proclamare che non c’era “nessuno con cui parlare” quando le forze di pace in Israele chiesero prima ad Ariel Sharon e poi a Ehud Olmert che le richieste palestinesi di negoziazione venissero accettate. Invece, Israele annunciò un ritiro unilaterale da Gaza e dal Nord della West Bank (realizzato nel 2005) e da ulteriori sezioni di quest’ultima (che avrebbe dovuto iniziare quest’estate con la rimozione di insediamenti illegali), il che di fatto creerebbe nuovi confini che incorporano in Israele territori che Israele stessa ha convenuto di lasciare durante gli anni ’90.
“Tikkun magazine” e le forze di pace israeliane avvisarono che un ritiro unilaterale, cui l’Autorità palestinese si opponeva, avrebbe accresciuto la credibilità delle asserzioni di Hamas, cioè che gli sforzi dell’Autorità palestinese verso la nonviolenza non avevano prodotto altro che il rifiuto israeliano di discutere, mentre gli atti di violenza di Hamas e della jihad islamica a Gaza avevano condotto al ritiro dei soldati.
Non dovrebbe essere difficile capire perché Sharon andò avanti con il ritiro unilaterale. La sua intenzione dichiarata era di mantenere quanto più possibile della West Bank, e sarebbe stato molto più facile convincere il mondo che non c’era “nessuno con cui parlare” se Hamas avesse vinto le elezioni, poiché Hamas è universalmente riconosciuto come gruppo terroristico.
Quando i Palestinesi caddero nella trappola, ed elessero un governo guidato da persone che rifiutano di riconoscere ad Israele il diritto ad esistere, è stato semplice per Olmert continuare l’unilateralismo di Sharon ed annunciare piani per il ritiro dalla West Bank che avrebbero coperto l’annessione, da parte di Israele, di porzioni significative dei Territori Occupati.
Hamas ha svolto il ruolo previsto, lanciando missili Qassam su centri popolati israeliani, “provando” una volta di più alla destra israeliana che ogni tipo di ritiro non farebbe che intensificare la vulnerabilità di Israele, e dando ai “duri” le ragioni per opporsi, visto che il ritiro precedente non ha portato pace a Gaza. Naturalmente, dal punto di vista di Hamas, questo è solo un episodio di una lotta continua per la liberazione di migliaia di Palestinesi che vengono “arrestati” (o dalla prospettiva palestinese “rapiti”), incarcerati senza imputazioni e senza processo per sei mesi in vasti campi di prigionia, spesso soggetti a torture.
Ma Hamas, dovendo fronteggiare un boicottaggio economico (incluso il non versamento ad Hamas delle tasse pagate ad Israele dai Palestinesi, che Israele aveva precedentemente promesso di versare all’Autorità Palestinese) che gli impedisce di far funzionare il governo, fa dichiarazioni che indicano la possibilità di un riconoscimento di Israele in risposta al “Documento dei prigionieri”, che è stato percepito come una minaccia di tagliar fuori tutti, giacché è stato firmato da ogni fazione di Palestinesi trattenuti nelle carceri israeliane.
Per i militaristi israeliani, e per i coloni, il riconoscimento da parte di Hamas sarebbe stato una clamorosa sconfitta propagandistica. Perciò nel giro di pochi giorni gli Israeliani hanno cominciato a cannoneggiare Gaza (ufficialmente per fermare il lancio di missili di Hamas). Uno dei proiettili è atterrato sulla spiaggia, e ha ucciso una famiglia di otto persone che si stava semplicemente godendo il sole e il mare. Pochi giorni più tardi, un gruppo di Hamas ha catturato il soldato israeliano Gilad Shalit, ed Israele ha usato questo come una scusa per implementare un piano che aveva progettato mesi prima: rientrare a Gaza e distruggere le infrastrutture di Hamas.
A questo punto un’enorme escalation ha preso piede. Invece di concentrarsi sull’effettiva capacità di Hamas di agire la guerra, Israele ha scelto la via della punizione collettiva, una frequente quanto inefficace misura di contrasto per l’insorgenza, usata per eliminare il sostegno pubblico ai movimenti di resistenza. Nel calore oppressivo dell’estate, Israele ha bombardato la rete di distribuzione elettrica, eliminando a Gaza la fornitura di acqua e dell’elettricità necessaria per mantenere i sistemi di refrigerazione, provocando un drammatico calo del cibo disponibile in un’area già sconvolta, in cui vivono più di un milione di persone. Quest’atto è una violazione del diritto internazionale, come lo sono gli arresti di migliaia di individui e i missili di Hamas sui centri abitati.
In risposta, i combattenti di Hezbollah, che hanno occupato le terre abbandonate da Israele quando Israele terminò la sua occupazione del sud del Libano nel 2000, hanno lanciato un attacco alle truppe israeliane, violando gli accordi che si sarebbe mantenuta la pace su quel confine; accordi che avevano reso politicamente possibile il ritiro di Israele dal Libano, senza paura che i suoi cittadini del nord dovessero essere ancora bersagli di missili: cittadini che dal 1982, quando Israele invase il Libano, non avevano fatto altro che entrare ed uscire dai rifugi antibombe.
Dal punto di vista di alcuni nel mondo arabo, l’attacco alle truppe nel nord di Israele è stato un atto di solidarietà islamica in risposta all’escalation perseguita da Israele contro l’intera popolazione di Gaza. Costoro argomentano che non si debba chiedersi perché loro hanno agito così, ma perché il resto del mondo non agisca chiedendo che Israele metta fine all’oltraggiosa punizione di un milione di persone a causa delle azioni di pochi. Quando l’Onu tentò di agire, il governo di destra degli Usa mise il veto ad una risoluzione sostenuta dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza. Dal punto di vista di Israele, gli attacchi di Hezbollah sono stati una palese violazione degli accordi che avevano tenuto Israele fuori dal Libano negli ultimi sette anni. Ed in effetti, il far subire a civili bombardamenti a casaccio con lo scopo di terrorizzarli, è una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.
Hezbollah si sta mostrando come la forza terrorista che Israele ha sempre sostenuto fosse. La gente che vive ad Haifa o a Tsfat o in dozzine di altri luoghi in Israele sta in questo momento vivendo lo stesso tipo di paura che richiama terrori già sperimentati in precedenza (alcuni sono sopravvissuti all’Olocausto, altri sono i figli dei sopravvissuti, a molti hanno vissuto guerre che erano specificatamente dirette all’annientamento di Israele). Queste paure saranno sfortunatamente assai facili da manovrare per i politici di destra negli anni che verranno.
Ne’ dovremmo sottostimare il comportamento di Iran e Siria nello stimolare disordini e destabilizzazione. Nel mentre vi sono persone in ambo i paesi che si sentono genuinamente oltraggiate dalle azioni di Israele nei confronti dei correligionari musulmani, il record di indifferenza per le cattive condizioni dei Palestinesi nei loro stessi paesi ed il rifiuto di provvedere aiuto materiale alla Palestina affinché essa possa costruire la propria infrastruttura economica, suggerisce che l’assistenza prestata ad Hezbollah viene più dalla ricerca di un vantaggio politico e di dominio in Medio Oriente, che da una vera solidarietà morale con il popolo palestinese. L’Iran, un paese il cui presidente ha più volte negato che vi sia mai stato un Olocausto, e che esplicitamente afferma di avere lo scopo di distruggere lo stato di Israele, dà agli israeliani ragioni reali di temere, quando i suoi vicini Hezbollah o Hamas sviluppano la capacità di sparare missili sui centri abitati del paese.
Cosa avrebbe potuto fare Israele? Bene, se vi fosse stato Ariel Sharon al potere, avendo costui imparato la sua lezione proprio in Libano, è probabile che avrebbe fatto la stessa cosa che fu fatta due anni orsono, quando un uomo d’affari israeliano fu catturato dal “nemico”: uno scambio di prigionieri, in cui centinaia di detenuti vengono rilasciati per un singolo israeliano. Questo scambio è stato chiesto da Hamas, ed implorato dalla famiglia di Gilad Shalit, ma è stato respinto dal governo israeliano. Vi prego di leggere le analisi di questo errore, ed altri articoli che esaminano la situazione attuale su "Current Thinking", www.tikkun.org
Vi è comune convincimento fra i pacifisti israeliani che il Primo Ministro Ehud Olmert ed il suo Ministro della difesa laburista Amir Peretz sentano la necessità politica di mostrare che sono “forti” e perciò l’attacco e l’invasione del Libano sono le loro uniche strategie. Per il bene dei loro ego e della loro futura spendibilità politica, “devono” procedere con la folle escalation contro il popolo libanese, la maggior parte del quale ha esercitato i propri diritti democratici rigettando le promesse elettorali di Hezbollah, e votando un governo che contiene Hezbollah come piccola minoranza.
Cosa potrebbe ormai fare Israele? Potrebbe ridefinire la questione come violazioni minori ai confini, scambiare i prigionieri, annunciare unilateralmente che non terrà più nessuno in detenzione per un periodo superiore a tre giorni senza inoltrare una formale denuncia penale contro coloro che hanno agito violentemente, e rilasciando tutti gli altri. Potrebbe dare inizio a veloci e pubblici processi, e punire chiunque (soldato o ufficiali di Shin Bet ed Aman) abbia usato la tortura, o come la definiscono loro la “moderata pressione”, sui prigionieri.
Potrebbe immediatamente annunciare la propria intenzione di rafforzare la posizione del presidente dell’Autorità palestinese Abbas, consegnandogli i soldi delle tasse, e aprire una negoziazione sullo “status finale” entro due mesi. Nel frattempo, Israele potrebbe cominciare a smantellare il muro di separazione, e promettere di ricostruirlo solo lungo le linee di un confine internazionale su cui siano d’accordo ambo le parti. E Israele potrebbe unilateralmente censurare la propaganda antipalestinese all’interno dei media controllati dal governo, e cominciare a costruire una cultura della nonviolenza, ed istruire gli Israeliani rispetto alla necessità di compensazioni per i Palestinesi rifugiati.
Cosa potrebbero fare i Palestinesi? Il presidente Abbas potrebbe annunciare che invita Israele a formare una forza mista israelo-palestinese di confine, di modo da garantire che non vi siano più aggressioni ai civili israeliani, in cambio dell’immediata apertura dei negoziati sullo “status finale”, prima che si diano ulteriori ritiri dalla West Bank. Ci sono state polizie miste e coordinamento di forze di sicurezza sino al settembre 2000, ed esse contribuivano a mantenere basso il livello di violenza, sino a che Ariel Sharon non compì il suo viaggio provocatorio a Temple Mount.
Abbas potrebbe poi dichiarare che il popolo palestinese che lo ha eletto è impegnato in una lotta nonviolenta (nonviolenta, non passiva) per porre fine all’occupazione, ma che chiunque agisca violentemente contro Israeliani o Palestinesi stessi verrà processato e, se trovato colpevole, perderà la cittadinanza palestinese.
Abbas potrebbe recarsi nella West Bank e a Gaza a discutere di nonviolenza, potrebbe implementare una fine immediata alla retorica anti-semitica ed anti-israeliana della stampa palestinese e nelle scuole palestinesi, e ribadire che è determinato nel voler costruire una cultura nonviolenta in Palestina. Cosa gli Usa e gli stati occidentali potrebbero fare? Essi potrebbero indire immediatamente una conferenza internazionale, in cui siano rappresentate tutte le nazioni del mondo che sono disposte ad accettare il diritto di Israele ad esistere all’interno dei confini del 1967 ed il diritto dei Palestinesi ad esistere a Gaza e nella West Bank, e favorire un accordo che sia gradito ad ambo le parti e garantisca pace e sicurezza ad entrambe. Ogni paese partecipante sarebbe ammesso alla conferenza dopo aver depositato su una banca internazionale neutrale l’equivalente dello 0,1% del suo PIL, allo scopo di creare un fondo internazionale che serva a riparare i danni come descrivo più sotto. Come la comunità Tikkun ha già detto nel passato, i termini dell’accordo dovrebbero includere:
1. Confini definiti per ambo gli stati, con aggiustamenti sulle linee decise nell’accordo di Ginevra (Israele incorpora alcuni territori di confine, dando in cambio eguale quantità e qualità di territorio allo stato palestinese);
2. La condivisione di Gerusalemme e dei suoi luoghi sacri, con ambo gli stati legittimati a stabilire in Gerusalemme la propria capitale nazionale, ove Israele controllerebbe i quartieri ebraici ed armeni, più il Muro e i territori adiacenti, e la Palestina avrebbe il controllo su Temple Mount e le sue moschee;
3. Tutti gli stati partecipanti alla conferenza internazionale metteranno almeno lo 0,1% del loro PIL in un fondo internazionale che offra compensazione ai Palestinesi che hanno perduto proprietà, impieghi e residenze nel periodo 1947/1967, ed agli Ebrei che fuggirono dagli stati arabi nel medesimo periodo (la compensazione non verrà data a famiglie arabe od ebree il cui reddito complessivo sia superiore ai 5 milioni di dollari).
4. Una forza di polizia congiunta, israeliana/palestinese/internazionale sarà creata per garantire la sicurezza dei confini ad ambo i paesi. Gli Usa e la Nato stipulerebbero con i due stati un patto di mutua sicurezza, in cui assicurano il proprio intervento ad entrambi in caso di aggressione dall’altro, o di qualsiasi paese terzo al mondo.
5. La creazione di una Commissione per la riparazione e la riconciliazione, che porti alla luce tutte le violazioni dei diritti umani da ambo le parti, che istruisca processi formali a coloro che non vogliano spontaneamente testimoniare sul proprio coinvolgimento in tali violazioni, e supervisioni un nuovo curriculum di studi sulla pace per tutte le scuole e le università, curriculum mirato ad insegnare la riconciliazione e la nonviolenza nell’azione e nella comunicazione. Lo scopo precipuo di tale Commissione sarà il favorire le condizioni per una riconciliazione dei cuori, e per la reciproca comprensione, riconoscendo che ambo i paesi hanno avuto persone crudeli ed insensibili che necessitano di pentirsi, ed entrambe le parti hanno una legittima narrazione degli eventi che deve essere accettata come punto di vista legittimo dall’altra parte.
Chi sono gli amici di Israele e del popolo ebraico? Coloro che sostengono la via verso la pace e la riconciliazione. Chi sono i loro nemici? Coloro che li incoraggiano a persistere nella fantasia di poter “vincere” militarmente o politicamente. Proprio come i nemici oggettivi dell’America negli anni ’60 erano coloro che insistevano nel voler continuare la guerra in Vietnam, e gli amici oggettivi erano i cittadini che vi si opponevano, così oggi gli amici del popolo ebraico sono quelli che fanno tutto il possibile per impedire gli entusiasmi sulle avventure militari israeliane, e per scalzare il rifiuto di trattare i Palestinesi come aventi diritto alla libertà ed all’autodeterminazione tanto quanto il popolo ebraico. Chi sono gli amici dei Palestinesi? Coloro che li incoraggiano su un sentiero di nonviolenza, e ad abbandonare la fantasia che la lotta armata, accoppiata all’isolamento politico di Israele, condurrà ad un buon risultato per i Palestinesi. Chi sono i loro nemici? Coloro che predicano l’idea di uno “stato unico”, o il boicottaggio economico globale, senza capire che il non offrire una stato sicuro agli Ebrei in Palestina non produrrà mai nulla di positivo, ma solo resistenza continua da Israele e dal mondo ebraico. Noi della comunità Tikkun, che siamo amici di ambo le parti, abbiamo chiaro il nostro orientamento. Il nostro scopo è dire la verità, sia ai potenti in Israele, sia agli spossessati in Palestina, e cioè di dire ad entrambi che senza un rovesciamento radicale delle direttive strategiche che stanno seguendo non si arriverà a nessun risultato. Questa verità potrebbe certamente venire ascoltata, la questione è se verrà ascoltata prima che un’altra generazione di arabi e israeliani perda la vita. Poiché a noi importa molto dell’umana sofferenza che c’è da ambo le parti, preghiamo affinché tale verità venga udita, e che i nostri suggerimenti per una risoluzione del conflitto vengano implementati. E faremo di più che pregare: manifesteremo contro i governi degli Usa, di Israele e della Palestina sino a che non cambieranno direzione. Ci organizzeremo ed informeremo, ed intraprenderemo passi nonviolenti per far arrivare loro il nostro messaggio.
* www.ildialogo.org, Mercoledì, 19 luglio 2006
Libano, mezzo milione di sfollati Israele: l’offensiva va avanti. D’Alema: pericolo per il mondo *
Quasi mezzo milione di sfollati per i bombardamenti israeliani. Un ottavo della popolazione libanese, che si aggira intorno ai quattro milioni di abitanti, senza una casa. Per Roberto Laurenti, rappresentante a Beirut dell’Unicef, «la situazione è al tempo stesso allarmante e catastrofica».
Il bilancio delle vittime dei raid israeliani, secondo calcoli incompleti e, ovviamente, provvisori forniti dal ministro degli esteri Massimo D’Alema, ha superato ormai i duecentoventi morti (il 30 per cento dei quali, aggiunge l’Unicef, sono bambini). Oltre cento i palestinesi uccisi nella striscia di Gaza dall’inizio delle ostilità. Ma quello che preoccupa forse di più ora è la crisi umanitaria che può innestarsi di fronte all’esaurimento delle scorte alimentari e alla progressiva distruzione delle infrastrutture del Paese.
Israele, dal canto suo, esprime soddisfazione per quelli che definisce successi militari: «Nelle ultime 24 ore gli attacchi in Libano sono continuati con successo - afferma martedì sera il generale Gadi Eisenkot - Fino ad ora sono stati colpiti almeno 1000 obiettivi terroristici, comprese 180 postazioni di lancio dei Katyusha e di altri razzi a lunga gittata».
Il premier Olmert ha ribadito che l’offensiva «continuerà a colpire obiettivi dei miliziani fino a quando non saranno liberati i due soldati rapiti e non sarà ripristinata la sicurezza dei cittadini israeliani». Il numero due dell’esercito Moshe Kaplinski non esclude «un’invasione massiccia via terra»: «In questo momento non pensiamo di intraprenderla, ma se dovremo farla la faremo»
ISRAELE E’ SOLO di Luciana Castellina (il manifesto, 18 luglio 2006)
Sono preoccupata - molto - per tutti quegli ebrei di origine assai diversa che hanno deciso di essere israeliani. Condivido l’allarme di questi giorni sulla sorte del paese che hanno creato. Come potrà infatti mai sentirsi sicuro uno stato che ha fatto crescere attorno a sé tanto odio? Come potrà mai legittimare davvero la sua esistenza, non nelle istanze istituzionali dove è più che riconosciuto ma nella coscienza dei milioni di arabi che gli vivono accanto e che per ragioni analoghe a quelle della diaspora ebraica si sentono anche loro fra loro solidali, se non assumendo il problema del popolo che la costituzione del loro stato ha lasciato senza patria né casa? Come potrà il governo di Tel Aviv invocare l’applicazione - sacrosanta - della risoluzione 1559 dell’Onu che ingiunge a Hezbollah di disarmare, quando ha, esso stesso, da mezzo secolo, ignorato ogni altra risoluzione delle Nazioni Unite, a cominciare dalla, fondamentale, 242 che gli ingiungeva di ritirarsi entro i confini del ’48? Come potrà rendere convincente la propria voce che si accompagna a quella del suo altrettanto incosciente alleato americano nel rivendicare l’intervento armato contro l’Iran perché pretende di possedere un potenziale nucleare, quando Israele stessa lo possiede in violazione di ogni norma internazionale? Come potranno raccogliere adesione nella denuncia degli orrendi regimi dell’Iran, di Saddam Hussein, dei Talebani, quando intrattengono ottime relazioni con altrettanto orrendi regimi reazionari (a cominciare da quelli del Golfo), e di fronte al disastro cui ha condotto l’intervento «democratizzatore» degli americani? Come potrà chiedere solidarietà contro la minaccia di Ahmadinejad, di Hamas, di Hezbollah, che rifiutano di riconoscere ufficialmente lo stato d’Israele, quando ogni giorno non solo insidia ma rende risibile ogni prospettiva di creare uno stato palestinese, che infatti ancora non c’è, né mai ci potrà essere fino a quando a quel mozzicone di terra che dovrebbe costituirne l’embrione è negato ogni attributo di sovranità, del controllo delle proprie frontiere, economia e risorse, esposto al kidnapping e all’assassinio dei propri rappresentanti democraticamente eletti, ridotto a peggio di un bantustan nell’Africa dell’apartheid? Come potrà ottenere una reale accettazione della propria esistenza e far dimenticare le sofferenze e privazioni inaudite che la creazione di Israele ha imposto a chi ci abitava ed ebreo non era, se non col coraggio di ragionare sulla rispettiva storia e cercare con umiltà un compromesso, non negando con arroganza i diritti degli altri, ma riconoscendoli e chiedendo però che anche gli altri riconoscano i propri? Come mai sarà possibile cancellare dalla memoria dei propri vicini le stragi quotidiane di innocenti, l’aver ridotto la Striscia di Gaza a un campo di concentramento esposto alle incursioni, senza acqua, cibo e lavoro? Come potrà sentirsi più forte ora che si è giocato ogni simpatia anche in Libano?
Sgomenta in queste ore, ancor più che la sostanziale indifferenza verso le vittime, la cecità e l’incoscienza di chi si pretende amico di Israele e che, pur vivendo altrove, dovrebbe dunque avere il vantaggio della lungimiranza che dà la distanza. E invece scelgono di aggiungere le loro grida alle grida della più irragionevole, furiosa e primitiva reazione, anziché richiamare quel governo alla ragione, farlo riflettere sull’errore tremendo di aver volutamente bruciato l’interlocutore migliore che avrebbe potuto avere, la laica Olp, e di detenere tuttora i suoi uomini più lucidi in galera, così aiutando il popolo israeliano a capire che la vera sicurezza del paese può esser conquistata solo per via politica, creando legami sociali culturali economici con i propri vicini, dando sicurezza e non insicurezza ai palestinesi. E’ vero: Israele è sola. Avere dalla sua il paese più potente del mondo, e con esso i suoi vassalli - media governi imprese - non riduce il suo isolamento. A chi sta a cuore salvare questo stato deve smetterla con questa mortifera, pericolosa, cieca solidarietà.
Per Israele è una guerra di sopravvivenza
«Lo scontro in atto non riguarda una delle tante questioni territoriali per decidere dove sono i confini. È tutta un’altra cosa: Israele combatte una vera e propria guerra di sopravvivenza . È bene che tutti i politici lo capiscano. Quando per esempio il ministro degli Esteri D’Alema dice che la reazione di Israele è sproporzionata usa parametri che nulla hanno a che fare con la realtà dei fatti. La dimensione strategica di questo scontro è molto più impegnativa».
A cosa si riferisce in particolare? «Israele ha lasciato il Libano nel maggio del 2000, i confini sono stati disegnati dall’Onu, e c’è stata anche una risoluzione: spiegava che spettava al Libano la responsabilità di spostare gli Hezbollah dal confine. Ma hanno avuto mano libera e con il tempo hanno costruito un esercito molto forte, perché armato potentemente con i missili iraniani Fajir 3 e 4 e i missili Kassam inviati dalla Siria».
La posizione italiana è sbagliata? «Dire che la posizione di Israele è eccessiva è un grosso errore. Non c’è niente di eccessivo. È la risposta a una vera e propria minaccia esistenziale. Basti pensare che il mese scorso c’è stato un incontro ai massimi livelli tra l’Iran e la Siria: hanno stretto un patto militare contro Israele in collaborazione con gli Hezbollah e Hamas. E dentro Gaza come nel West Bank sono state trovate anche tracce della presenza di Al Qaida».
Vuol dire che Israele è accerchiato e minacciato? «C’è una saldatura che può diventare fatale per Israele. Esiste un pericolo strategico che lo minaccia basato su un forte sentimento antisemita. Israele si trova a combattere un feroce presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che ha definito gli ebrei dei bevitori di sangue e che punta a una vittoria militare con la forza della bomba atomica».
Quale è il ruolo dell’Iran in questo scontro? «Teheran è una sede ormai centrale in questa crisi. Il leader di Hamas va in viaggio lì, una volta al mese. Gli Hezbollah hanno agito in maniera da coprire l’Iran sulla questione nucleare che verrà posta al G8. È una grande cortina fumogena alzata sul problema dell’Iran. Ma gli è andata male e c’è stato un attacco massiccio israeliano sul Libano e le sue infrastrutture. Ma l’eccitazione integralista è ormai troppo forte e Israele non può accettare di alzare le mani in segno di resa».
Quanto sono potenti gli Hezbollah in questo momento? «Gli Hezbollah sono difficili da trasferire dal sud del Libano, hanno molti soldi. Il governo libanese potrebbe accettare di spostare gli Hezbollah, ma bisogna vedere se Beirut è in grado di farlo, se è forte o debole. La sua democrazia è fragile. Ma Beirut dispone di un esercito che potrebbe farlo. Se vuole»
Intervista a Fiamma Nirenstein, di Raffaela Scaglietta, il Giornale.it, 15.07.2006
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Fiamma Nirenstein, fiorentina, editorialista, inviata e scrittrice de La Stampa, insegna storia del Medio Oriente all’Università Luiss di Roma, è stata direttore dell’Istituto di cultura italiana a Tel Aviv e ha intervistato tutti i leader mediorientali, da Arafat a Sharon. Ha seguito gli scontri a Safed, al nord di Israele
Seconda stella a destra questo è il cammino
e poi dritto fino al mattino
poi la strada la trovi da te,
porta all’Isola che non c’è.
Forse questo ti sembrerà strano,
ma la ragione ti ha un po’ preso la mano
ed ora sei quasi convinto che
non può esistere un’isola che non c’è.
E a pensarci che pazzia,
è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo, lo sa,
non può esistere nella realtà.
Son d’accordo con voi, non esiste una terra
dove non ci son santi né eroi
e se non ci son ladri, se non c’è mai la guerra,
forse è proprio l’isola che non c’è....che non c’è.
E non è un’invenzione e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché...poi la strada la trovi da te.
Son d’accordo con voi niente ladri e gendarmi,
ma che razza di isola è?
niente odio e violenza, né sodati né armi
forse è proprio l’isola che non c’è....che non c’è.
Seconda stella a destra questo è il cammino
e poi dritto fino al mattino
non ti puoi sbagliare perché, quella è l’isola che non c’è
e ti prendono in giro se continui a cercarla,
ma non darti per vinto perché
chi c’ha già rinunciato e ti ride alle spalle,
forse è ancora più pazzo di te.
L’ISOLA CHE NON C’E’ (E. Bennato)
EVERLASTING ITALY - W O ITALY - VIVA L’ITALIA SEMPRE VIVA - VIVA L’ITALIA !!!
Caro Biasi GIA’ E ANCORA NON SOLO I MAGI, MA TUTTI GLI ESSERI UMANI SEGUONO LA STELLA ... E ALLA FINE ERODE NON AVRA’ PIù NIENTE DA RODERE, NE’ DI SE STESSO NE’ DEGLI ALTRI!!! SAN GIOVANNI IN FIORE ... E’ GIA’ FIORITO - IN PACE E IN GIUSTIZIA, COME GERUSALEMME!!! Apri, Ben-Nato.. che non sei altro!!!, tutti e Due gl-I O-cchi ... e vedrai !!! Anche i Lari-ci Pi-sani sono già in fiore! Metti in cammino.... il g. 20 p.v. è il giorno della festa di ELIA - non dimenticarlo!!! Che grandi, il nostro GIOACCHINO, il nostro FRANCESCO, la nostra CHIARA, il nostro DANTE e la sua GEMMA, la sua LUCIA .....
M. saluti, Federico La Sala