Jimmy Carter: ’’Israele possiede 150 bombe nucleari’’
Una dichiarazione che sorprende dato che Israele non ha mai ammesso di avere armi atomiche. L’ex presidente Usa ha anche spronato l’Europa a ’’rompere con gli Usa sull’embargo alla Striscia di Gaza’’ che è ’’uno dei più grandi crimini umani sulla Terra’’ *
Londra, 26 mag. (Adnkronos) - Israele possiede 150 bombe nucleari. Parola dell’ex presidente degli Stai Uniti Jimmy Carter (nella foto) che ne ha parlato a margine del festival letterario di Hay-on-Wye nel Galles.
Le sue dichiarazioni, riportate dal ’Times’ di Londra, colpiscono particolarmente dato che Israele non ha mai ammesso di avere armi nucleari, anche se molti ritengono che le abbia. Nessun funzionario americano ha mai deviato in pubblico dalla linea israeliana. La risposta standard dei vertici israeliani è che il loro Paese non sarà "il primo a introdurre l’arma nucleare in Medio Oriente".
Carter ha avuto anche parole molto dure sull’embargo imposto alla Striscia di Gaza controllata da Hamas, definendolo "uno dei più grandi crimini umani sulla Terra".
Quindi, come riporta il ’Guardian’, l’ex presidente Usa ha spronato l’Europa a rompere con gli Stati Uniti su questa questione. "Mica sono nostri vassalli - ha sottolineato - occupano una posizione di parità con gli Stati Uniti". Mentre a suo parere l’Ue mantiene una posizione "passiva" rispetto al conflitto israelo-palestinese e la sua mancata critica all’embargo imposto a Gaza è imbarazzante".
Carter considera irrealistica la politica di non parlare con Hamas, tanto più che Israele lo sta facendo indirettamente tramite l’Egitto. L’ostracismo contro Hamas se non rinuncerà alla violenza e non riconoscerà Israele e gli accordi firmati con i palestinesi, ha aggiunto l’ex inquilino della Casa Bianca, è stato messo a punto da Elliot Abrams del Consiglio americano per la sicurezza nazionale, da lui definito "un sostenitore molto militante d’Israele".
Carter è stato insignito del premio Nobel per la Pace nel 2002 per il suo impegno internazionale contro i conflitti, e in particolare per il suo ruolo nell’accordo di pace di Camp David fra Israele ed Egitto nel 1978. Recentemente l’ex presidente è stato ricevuto molto freddamente nello stato ebraico nell’ambito di un suo viaggio in Medio Oriente durante il quale ha avuto una serie di colloqui con i leader di Hamas.
* Adnkronos, 26.05.2008
Israele, 200 armi nucleari puntate sull’Iran
di Manlio Dinucci (il manifesto, 15.05.2018)
La decisione degli Stati uniti di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano - stipulato nel 2015 da Teheran con i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania - provoca una situazione di estrema pericolosità non solo per il Medio Oriente.
Per capire quali implicazioni abbia tale decisione, presa sotto pressione di Israele che definisce l’accordo «la resa dell’Occidente all’asse del male guidato dall’Iran», si deve partire da un fatto ben preciso: Israele ha la Bomba, non l’Iran.
Sono oltre cinquant’anni che Israele produce armi nucleari nell’impianto di Dimona, costruito con l’aiuto soprattutto di Francia e Stati Uniti. Esso non viene sottoposto a ispezioni poiché Israele, l’unica potenza nucleare in Medioriente, non aderisce al Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, che invece l’Iran ha sottoscritto cinquant’anni fa.
Le prove che Israele produce armi nucleari sono state portate oltre trent’anni fa da Mordechai Vanunu, che aveva lavorato nell’impianto di Dimona: dopo essere state vagliate dai maggiori esperti di armi nucleari, furono pubblicate dal giornale The Sunday Times il 5 ottobre 1986.
Vanunu, rapito a Roma dal Mossad e trasportato in Israele, fu condannato a 18 anni di carcere duro e, rilasciato nel 2004, sottoposto a gravi restrizioni. Israele possiede oggi (pur senza ammetterlo) un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari, tra cui mini-nukes e bombe neutroniche di nuova generazione, e produce plutonio e trizio in quantità tale da costruirne altre centinaia.
Le testate nucleari israeliane sono pronte al lancio su missili balistici, come il Jericho 3, e su cacciabombardieri F-15 e F-16 forniti dagli Usa, cui si aggiungono ora gli F-35. Come confermano le numerose ispezioni della Aiea, l’Iran non ha armi nucleari e si impegna a non produrle sottoponendosi in base all’accordo a stretto controllo internazionale. Comunque - scrive l’ex segretario di stato Usa Colin Powell il 3 marzo 2015 in una email venuta alla luce - «quelli a Teheran sanno bene che Israele ha 200 armi nucleari, tutte puntate su Teheran, e che noi ne abbiamo migliaia».
Gli alleati europei degli Usa, che formalmente continuano a sostenere l’accordo con l’Iran, sono sostanzialmente schierati con Israele. La Germania gli ha fornito quattro sottomarini Dolphin, modificati così da poter lanciare missili da crociera a testata nucleare. Germania, Francia, Italia, Grecia e Polonia hanno partecipato, con gli Usa, alla più grande esercitazione internazionale di guerra aerea nella storia di Israele, la Blue Flag 2017.
L’Italia, legata a Israele da un accordo di cooperazione militare (Legge n. 94, 2005), vi ha partecipato con caccia Tornado del 6° Stormo di Ghedi, addetto al trasporto delle bombe nucleari Usa B-61 (che tra non molto saranno sostituite dalle B61-12). Gli Usa, con F-16 del 31st Fighter Wing di Aviano, addetti alla stessa funzione.
Le forze nucleari israeliane sono integrate nel sistema elettronico Nato, nel quadro del «Programma di cooperazione individuale» con Israele, paese che, pur non essendo membro della Alleanza, ha una missione permanente al quartier generale della Nato a Bruxelles. Secondo il piano testato nella esercitazione Usa-Israele Juniper Cobra 2018, forze Usa e Nato arriverebbero dall’Europa (soprattutto dalle basi in Italia) per sostenere Israele in una guerra contro l’Iran.
Essa potrebbe iniziare con un attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani, tipo quello effettuato nel 1981 a Osiraq in Iraq. In caso di rappresaglia iraniana, Israele potrebbe far uso di un’arma nucleare mettendo in moto una reazione a catena dagli esiti imprevedibili.
L’Iran, re Bibi e il ’popolo eterno’ di Israele
di David Grossman (la Repubblica, 04.08.2012)
Ecco un possibile scenario: Israele attaccherà l’Iran contrariamente alla ferma presa di posizione del presidente Obama che quasi supplica di lasciare questa incombenza agli Stati Uniti d’America. E questo perché? Perché Benjamin Netanyahu ha una linea di pensiero e una visione storica secondo le quali - riassumendo a brevi linee - Israele è il “popolo eterno” mentre gli Stati Uniti, con tutto il rispetto, sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro, nonostante tutto il potere che possiedono, sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate, preoccupati delle ripercussioni che un eventuale attacco potrebbe avere sul prezzo del petrolio e sui risultati elettorali. Noi invece sussistiamo nella sfera dell’“Israele eterno” e portiamo in noi una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà. Il loro presidente è “un’anima candida” che crede che i nemici ragionino in maniera razionale come lui mentre noi, già da quattromila anni, ci troviamo ad affrontare le forze più cruente e gli istinti umani più incontrollabili e oscuri della storia e sappiamo bene come comportarci per sopravvivere in queste zone d’ombra.
C’è chi si sentirebbe in ansia dinanzi a una simile descrizione ma non è da escludere che il primo ministro la ritenga appropriata e persino elogiativa nei suoi confronti. Il capo del governo gode, come si sa, del supporto di un’ampia coalizione e non deve fare i conti con una forte opposizione. In un certo senso agisce come un leader unico - “re Bibi”, l’ha definito la rivista Time - e ciò significa che nel momento in cui Netanyahu dovrà prendere una decisione cruciale, il futuro e il destino della popolazione israeliana dipenderanno più che altro dalla sua visione del mondo estremista, inflessibile e radicata.
In altre parole molti cittadini israeliani appartenenti all’intero arco politico che non vogliono che Israele attacchi l’Iran - e anche una parte dei capi dei vari settori della sicurezza che si oppongono a una simile iniziativa - sono oggi prigionieri, in maniera inequivocabile, delle ermetiche convinzioni del primo ministro.
Netanyahu ha fedeli partner di governo che condividono con lui opinioni e scelte. Il vantaggio di questi partner rispetto ai cittadini che si affidano alle loro decisioni sta nel fatto che, all’apparenza, costoro “conoscono tutti i fatti e le valutazioni”. È vero che così funziona un governo democratico ma i cittadini di Israele hanno ormai imparato sulla propria pelle che i loro leader non sono immuni da gravi errori e, come ciascuno di noi (e forse anche un po’ di più), sono inclini a fallimenti o a essere trascinati dall’euforia del potere.
Trattandosi quindi di una questione tanto vitale abbiamo il diritto e il dovere di fare ripetute domande, o almeno di esigere che chi prende le decisioni ponga a se stesso delle domande e risponda onestamente: quelli che dovrebbero sapere, sanno davvero? E sarebbero in grado (sempre che qualcuno lo sia) di conoscere e fornire “tutti i fatti e le valutazioni” coinvolti in una tale azione? Sono persuasi al di là di ogni dubbio di non esagerare nel considerare la capacità dell’esercito israeliano di risolvere definitivamente il problema nucleare iraniano? Non sottovalutano forse la forza degli iraniani? Sono completamente sicuri che se Israele bombarderà l’Iran gli iraniani non abbiano a disposizione un’atomica? E se ce l’hanno, che non la useranno contro Israele?
In altre parole la “conoscenza” dei nostri leader si basa solo ed esclusivamente sui fatti oppure è distorta e influenzata da ansie, desideri ed echi di traumi del passato che nessuno è esperto nell’ingigantire quanto il capo del governo? E, la cosa più importante: i nostri leader capiscono che la decisione di attaccare una potenza come l’Iran (peraltro contrariamente all’opinione degli Stati Uniti) potrebbe rivelarsi il più grosso errore mai commesso da un governo israeliano? Chi è a favore di un intervento contro l’Iran si muove lungo un asse i cui estremi sono “o la bomba atomica iraniana o il bombardamento dell’Iran” e dal quale pende un’insegna: “Per sempre divorerà la spada” (II Samuele, 2, 26).
I leader israeliani sono talmente prigionieri di questo ragionamento automatico che sembra che, dinanzi a qualunque dilemma o a qualunque decisione relativa alla sicurezza, un verdetto celeste o una legge di natura condanni quasi sempre Israele a muoversi solo ed esclusivamente tra “o la bomba o il bombardamento”. Ad aggredire o a essere aggredito. Certo, un Iran dotato di armi nucleari rappresenta un pericolo reale, non è una paranoia del governo israeliano. Ma nella situazione attuale esistono altre direzioni di movimento, altre possibilità di azione - o di inazione. E naturalmente esiste l’inequivocabile promessa americana che l’Iran non avrà armi nucleari. Ma Israele sembra già essere al culmine di un processo in cui agiscono forze ben note e più potenti di lui, quasi primordiali, alimentate dalla percezione storica ricordata in precedenza che fa sì che di solito i timori si realizzino e che calamita verso situazioni di minaccia esistenziale.
Quindi, con maggiore enfasi, si pone la domanda: perché ministri e alti dirigenti di tutti i settori della sicurezza - quelli ancora in carica, non solo quelli del passato - non si alzano a dire la loro? Quelli che in conversazioni private si oppongono all’iniziativa di un attacco, che ritengono che un’aggressione israeliana prorogherebbe soltanto di poco la nuclearizzazione dell’Iran e temono le conseguenze a lungo termine di un’aggressione simile per Israele, per la sua stessa esistenza. Perché non si alzano adesso, quando ancora è possibile, per dichiarare: noi non collaboreremo con questo delirio megalomane, con questa disastrosa concezione messianica? La fedeltà al “sistema” è forse più importante della fedeltà a ciò a cui hanno dedicato la vita: la sicurezza e il futuro di Israele? Un’iniziativa di questo tipo sarebbe il gesto più significativo che potrebbero fare oggi per Israele, per la sua sicurezza e il suo futuro.
Anche noi cittadini, improvvisamente silenziosi dinanzi alle ombre che si addensano su di noi, raggelati, rassegnati a priori, con gli occhi chiusi dinanzi a ciò che appare di giorno in giorno più minaccioso e frastornante nella sua rapidità, come potremo poi affrontare noi stessi e i nostri figli quando ci domanderanno perché abbiamo taciuto? Perché non siamo usciti a frotte a manifestare nelle strade contro la possibilità di un’altra guerra scatenata da noi? Perché non abbiamo eretto nemmeno una tenda di protesta, simbolica, davanti alla residenza del primo ministro per mettere in guardia dalla catastrofe che ci sta franando addosso? Dopo tutto, parafrasando un verso del poeta Haim Nachman Bialik scritto in un contesto completamente diverso, saremo noi “con la nostra linfa e il nostro sangue a pagare l’incendio”.
Carter: Israele ha 150 atomiche
L’ex presidente Usa ha rotto un tabù fra i vip della politica americana *
LONDRA L’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter ha affermato che Israele possiede 150 teste nucleari. La dichiarazione è stata fatta ieri al «Times» di Londra durante una visita al festival letterario di Hay-on-Wye nel Galles.
Sono in molti a ritenere che Israele possieda un arsenale mìnucleare, alcuni esperti ritengono che abbia tra le cento e le ducento testate atomiche, ma Israele non ha mai confermato. Dalle frasi riportate dal giornale non è chiaro se Carter abbia citato l’opinione di uno di questi esperti, o un rapporto dell’intelligence Usa o se fosse una sua affermazione. Certo Carter ha così rotto una specie di tabù: negli Usa nessun Vip della politica ha mai riconosciuto il fatto che lo Stato ebraico - abbottonatissimo al riguardo - è a tutti gli effetti una potenza nucleare. Ma, non molto tempo fa, solo il Segretario della Difesa Usa, Robert Gates ha affermato al Senato che Israele è una potenza nucleare.
Sempre al festival letterario, in un’intervista al Guardian, Carter ha affermato che i governi europei dovrebbero giungere a un punto di rottura con gli Stati Uniti sull’embargo internazionale a Gaza, mettendo fine al loro atteggiamento di sottomissione. Il blocco imposto dal Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) su Gaza, secondo Carter, è stato «uno dei più grandi crimini umani commessi sulla terra» avendo comportato «la prigionia per 1,6 milioni di persone, un milione dei quali rifugiati». Un mese fa, durante la sua visita in Medio Oriente, il premio Nobel per la Pace aveva fatto infuriare Israele annunciando di voler incontrare a Damasco la guida suprema di Hamas, Mashaal.
* l’Unità 27.05.2008