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SENZA DIALOGO TRA USA E IRAN, UNA TREGUA INGANNEVOLE E PERICOLOSA. Un’analisi di Lucio Caracciolo

lunedì 28 agosto 2006.
 
[...] La tregua che i contendenti si sono di fatto autoimposti perche’ conveniva ad entrambi e’ ingannevole. Israele non puo’ accettare lo status quo perche’ ha perso questa fase dello scontro con Hezbollah, e quindi con l’Iran, che considera la guerriglia libanese come il suo braccio armato sul fronte occidentale. Hezbollah nasce e si legittima come "resistenza antisionista": l’unica forza araba ad avere costretto i soldati con la stella di Davide a cedere territorio in cambio di nulla, come accadde nel 2000 con il ritiro dal Sud del Libano. Dunque la sua contrapposizione ad Israele e’ esitenziale. Il punto da stabilire non e’ se, ma quando e come riprendera’ lo scontro [...]

Tregua ingannevole

Il cessate il fuoco ha fatto comodo ad Istraele ed Hezbollah. per guadagnare tempo. Ma per una coesistenza pacifica e’ necessario il dialogo tra i padrini della guerra, Iran e Stati Uniti. Oggi rifiutato a parole da entrambi

di Lucio Caracciolo

(L’espresso, N.34 - 31 agosto 2006)

Adesso l’errore piu’ grave sarebbe illudersi che la guerra libanese di luglio-agosto fosse un temporale d’estate. La tregua che i contendenti si sono di fatto autoimposti perche’ conveniva ad entrambi e’ ingannevole. Israele non puo’ accettare lo status quo perche’ ha perso questa fase dello scontro con Hezbollah, e quindi con l’Iran, che considera la guerriglia libanese come il suo braccio armato sul fronte occidentale. Hezbollah nasce e si legittima come "resistenza antisionista": l’unica forza araba ad avere costretto i soldati con la stella di Davide a cedere territorio in cambio di nulla, come accadde nel 2000 con il ritiro dal Sud del Libano. Dunque la sua contrapposizione ad Israele e’ esitenziale. Il punto da stabilire non e’ se, ma quando e come riprendera’ lo scontro. Peraltro, lo stesso cessate il fuoco attuale viene regolarmente violato da entrambi.

Hezbollah sta cercando di riarmarsi in vista del prossimo round e Israele vuole impedirglielo con il blocco aeronavale e con i raid mirati a tagliare le linee di rifornimento della Siria. Inoltre, il governo Olmert spera di recuperare parte del consenso perduto con un colpo fortunato - l’uccisione di Nasrallah, leader di Hezbollah - o almeno con la cattura di qualche dirigente nemico, da scambiare con i propri soldati tuttora prigionieri del "Partito di Dio". Fra una scaramuccia e una incursione, facile che la crisi degeneri di nuovo in guerra aperta, al di la’ dei piani di Olmert o di Nasrallah.

In questo contesto, la missione Unifil appare piuttosto azzardata. La ritrosia delle maggiori potenze a impegnare consistenti forze sul terreno discende dalla probabilita’ di trovarsi tra due fuochi. In guerra non c’e’ posizione peggiore della terra di nessuno fra le linee nemiche . I caschi blu, partiti come garanti della pace, diventerebbero bersagli del nuovo conflitto. Nell’attesa, i soldati della "forza di interposizione" sarebbero ridotti a spettattori inerti, consapevoli di potere poco o nulla contro l’eventuale ripresa delle ostilita’ da parte dei contendenti.

L’unica possibilita’ di soluzione sta nel dialogo diretto tra i padrini strategici di Israele e Hezbollah: Stati Uniti e Iran. Dal punto di vista israeliano - e americano - occorre impedire con ogni mezzo che Teheran si doti di un arsenale nucleare, che potrebbe devastare lo Stato ebraico (compresi i territori palestinesi e i paesi arabi vicini, ma questo non sembra preoccupare gli iraniani). Ora questo e’ teoricamente possibile in due modi: con la forz o per via negoziale. Entrambe le strade paiono ostruite. I progetti di destabilizzazione dall’interno del regime di Ahmadinejad architettati dalla CIA sono estremamente fantasiosi ma inefficaci. Quanto ai negoziati, sembrano molto improbabili, malgrado la dichiarata disponibilita’ iraniana a discutere "seriamente" sul nucleare (ma senza sospendere l’arricchimento dell’uranio). Gli iraniani rivendicano il loro diritto a sviluppare un progetto atomico che essi presentano come puramente civile (ma quasi nessuno ci crede). Gli americani, seguiti con qualche riluttanza dagli alleati europei, minacciano sanzioni e si riservano il ricorso all’opzione militare (bombardamenti dei siti nucleari e industriali).

E’ davvero impossibile il dialogo tra Stati Uniti e Iran? A oggi, parrebbe proprio di si’. Ma a ben guardare, entrambi potrebbero ala fine essere costretti a riallacciarlo per mancanza di alternative migliori. Bush perche’ ha gia’ abbastanza guai nella regione per permettersi una guerra contro l’Iran. Ahmadinejad perche’ avrebbe molto da guadagnare da un negoziato aperto su posizioni di forza (la consapevolezza occidentale e israeliana di non potere abbatterlo ne’ bloccare con le armi il suo sogno atomico), che potrebbe sfociare nello sdoganamento dell’Iran sulla scena mondiale e in notevoli vantaggi economici e commerciali. Sempre che i due protagonisti e i loro piu’ vicini consiglieri non siano vittime di riflessi apocalittici o comunque ideologici, che li potrebbero convincere dell’inevitabilita’ di uno scontro finale in cui ognuno giochera’ il tutto e per tutto.

Perche’ si apra questa prospettiva strategica occorre che nel frattempo Israele ed Hezbollah non riprendano a spararsi in grande stile, trascinando i rispettivi padrini nella mischia o almeno bloccandone ogni velleita’ negoziale. In fondo, la scommessa del cessate-il-fuoco d’agosto e della conseguente missione Unifil e’ tutta qui: guadagnare tempo. Ma il tempo non lavora per la pace. Le dinamiche dei due campi - abbiamo visto - inclinano verso la ripresa delle ostilita’. Per tentare di impedire una guerra assai piu’ pericolosa di quella appena soffocata, serve che tutti i protagonisti della scena mondiale - comprese Cina, Russia e potenze europee - operino da subito per avvicinare l’obiettivo di portare Usa e Iran - quindi Israele ed Hezbollah - a trattare i termini se non di una vera pace, almeno di una coesistenza pacifica. Pochi ricordano che Khomeini inizialmente non aveva escluso qualche forma di collaborazione con Israele ne’ con gli Stati Uniti. E’ irragionevole sperare che gli attuali padroni dell’Iran recuperino quella lezione di pragmatismo?

Qualcuno obiettera’: ma i palestinesi? Siamo stati abituati a considerare la questione di quel popolo senza Stato come l’alfa e l’omega dei conflitti mediorientali. Forse e’ opportuno rivedere quel dogma. per i regimi arabi come per i persiani, i palestinesi sono stati e restano piu’ un pretesto da sfruttare che una causa da difendere. Un fattore di legittimazione interna e di moltiplicatore della potenza esterna. Quale sarebbe oggi l’importanza dell’Egitto e della Giordania se non si fosse aperta la ferita palestinese? Come potrebbe la Persia di Ahmadinejad trovare tanti consensi nell’universo islamico se non si presentasse come il campione della guerra santa contro il Satana israeliano - e quindi il Supersatana a stelle e strisce?

Se i palestinesi sono strumento dei loro presunti amici e se non costituiscono una minaccia per l’essitenza di Israele a causa della loro debolezza e delle divisioni interne, si capisce che nessuno abbia davvero urgenza di battezzare uno Stato palestinese degno di questo nome, cioe’ formato da Gaza e Cisgiordania. Contrariamente a quanto sentiamo ripetere, la Palestina, se mai nascera’, sara’ frutto e non seme della pace in Medio Oriente. E’ questa la vera tragedia del popolo palestinese, di cui oggi non sembra importare granche’ a nessuno.


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