A San Giovanni in Fiore, la notizia della mia fine s’è realmente sparsa per mari e per monti, per valli e per verzieri. So che, di fatto, qualcuno ha perfino esultato, non dico festeggiato. La riprova, se vogliamo, amico Biasi, che dalle nostre parti è più bello gioire per le sventure altrui che per le fortune proprie. E’ tutto un aspetto mimetico, cantava Peppe Voltarelli. Intelligenti pauca. Per l’ennesima volta, debbo ringraziare te, Biasi, Vincenzo, Federico, Mauro e il collega e compagno, non in senso partitico, Biagio Simonetta. Con la vostra ironia e costanza, avete continuato quotidianamente il discorso pedagogico e di informazione di questa nostra "anomala" testata. Biasi, sarebbe il caso che io t’aprissi un account. Fammi sapere. Abbiamo ritornato al mittente, come direbbe l’encomiabile Fabrizio Gigli, il Grande Giornalista, dispiaciuti per la mancanza della sua retorica retrodatata, che dava un tono solenne a queste pagine troppo inattuali. La gaia scienza dell’amministrazione florense avrà un guardiano molto agguerrito, adesso, il cui nome potrebbe simbolicamente essere Davis. Ci corre ancora l’obbligo di menzionare una lettrice poetessa, Ludovica Cartinas, che ci ha regalato un’inedita stesura dedicata al grande Goedel, una sorta di spazzino non riconosciuto. Un pensiero particolare, restituito al mio gratissimo compito, va all’immenso Ermanno Bencivenga, il quale, anche grazie a Tullio e Rosa Cusani, con estrema bravura ha offerto alla San Giovanni in Fiore prospera un momento indimenticabile, lo scorso 19 luglio, sul sentimento dell’amore. Vorrei, quindi, sottolineare il mio affetto e la mia stima, poiché son vivo, per Giancarlo Cauteruccio, che continuo a seguire, nonostante la distanze spaziali - e lui dell’architettura (dell’anima) è maestro. Ho saputo dal caro Paolo Lorimer che, dal 21 agosto prossimo, girerà in Calabria un lavoro teatrale firmato da Giancarlo, protagonisti lo stesso Paolo e Patrizia Zappa Mulas. Siccome qualcuno ci accusa che manchiamo di proposte, prima di parlare della mia amatissima Montoliveto, vorrei presentarvi il programma dell’Estate florense che avremmo avuto, qualora avessi potuto organizzarla. Avrei chiamato, per un ciclo di incontri estivi e spendendo quel poco che si poteva racimolare in mille modi, il paradigmatico Alfonso Iacono, il quale ha recentemente pubblicato un libro intitolato "Storia, verità e finzione", adattissimo a ragionare sulle ultime vicende nazionali, locali e personali. Con lui, avrei coinvolto l’invincibile Ida Dominijanni, che mi permetto, abusando, di salutare con sincero affetto. E, a seguire, il cattolico Federico La Sala, l’"alfateo" Biagio Allevato, il leggendario Saverio Alessio, l’ormai mitico Gianni Vattimo, il formidabile Santiago Zabala, l’anacoreta Roberta Sala, il mistico Nino Mirabella, l’unico Ermanno Bencivenga, il megapresidente Pippo Marra, l’instancabile Mirella Barracco, il creativo Gian Antonio Stella, il tiratore scelto Marco Travaglio e il garbato Vittorio Zucconi. Non dimenticando l’illuminato Aldo Varano e il sagace Paride Leporace, ovviamente. Per la musica, concerti con Al Di Meola e Andrea Parodi, Danilo Montenegro, Angelo Branduardi, Madredeus, Peppe Voltarelli, Alex Cimino e Antonio Faraò, Stefano Cocco Cantini e Antonello Pareti e Mauro Grossi e Antonello Salis e Bebo Ferra, Tonino Benincasa, Stefania Conte, "Pentole e computer". Proiezioni cinematografiche all’aperto: "Così vicino, così lontano", "Caravaggio", "Ladri di biciclette", "Sciuscià", "Umberto D", "San Giovanni decollato", "Miracolo a Milano", "La notte", "Cronaca di un amore", "Bellissima". Con tanto di discussione critica pubblica presieduta da Orio Caldiron. Utopie, fantasie, aria fritta e fritti silani autentici. Così come il famoso Festival della filosofia in Sila, purtroppo divenuto realtà per la caparbia insistenza, come si sa, di san Leo Franco Rizzuti, sindaco di Serra Pedace. Habemus Capa. Svoltiamo, torniamo al vero, al quotidiano, al tangibile, all’esperibile. Risparmio considerazioni etico-estetiche a partire dalla "Critica della capacità di giudizio" curata dal celeberrimo Leonardo Amoroso. Vincenzo Tiano mi invita a trattare di Montoliveto, che lo stesso ha chiamato "Monteuliveto", probabilmente perché la segnaletica stradale, davvero in errore, riporta il toponimo in forma classica. Io da quelle parti ci sono cresciuto: si può dire che, come lo stesso Vincenzo, conosca perfino la linea immobile delle pigne cadute nell’autunno dell’ottantanove e rimaste magicamente inalterate, in prossimità dell’ex casello ferroviario ancora abitato dallo "Ntuosto", "u Ntuostu", personaggio dalla dura cervice, all’anagrafe Giuseppe Barberio, forse petrosamente ribattezzato a motivo del suo attaccamento al luogo, alla vita spericolata e al vino. Ritroviamo a Puebla de los Angeles, nella stessa posizione innanzi ad analoga giuntura della florense "Junture", il toponimo "Monte de los Olivos". Montoliveto è un posto semplice e semplice era mia nonna Fedelina, che vi trascorreva lunghi periodi con nonno Emilio, campione, badando ai nipoti e alla numerosissima famiglia, oggi sparpagliata. Deceduti entrambi, sono tornato a Montoliveto dimorandoci solo due volte. Ora, ci passo quando posso, mi fermo a rivedere il film della mia infanzia spensierata, andata fra partite di tennis, scorazzate in bicicletta col vicedirettore e suo fratello Pietro II, gare d’abilità al fiume, feste di San Bernardo dal sempiterno Gustavo, contemplazioni e poesie interiori. Ci passo per rendere omaggio ai miei avi, i quali, con cura e amore, alimentavano la terra e i nostri cuori, la nostra immaginazione, le nostre menti. Mi viene da piangere, non so bene perché, ogni volta che mi ci avvicino. Poi, data la mia età e il ruolo sociale, solo di mero disturbatore, mi dico che le lacrime appartengono agli eroi, ai cantori, ai romantici, agli uomini. Dunque, mi animo di coraggio e penso intensamente al dirigente dell’ufficio tecnico comunale. A quel punto, la rabbia vince su tutto, ma non sul fascino del paesaggio e sul potere della memoria, sul desiderio di vita, sulla primavera dell’animo e dell’autore. Ora sono a Roma: fa quaranta gradi, gli Zapponici, i cinematografici fratelli Zappone, miei compagni di ventura, sono ancora a dormire. Forse Antonio, il maggiore, s’è alzato. Ieri sera, intorno alle 20, siamo stati dal fruttivendolo, un cinese italianizzato, forse parente del telecronista di La Sala. Scena irripetibile. "Ci prende dei pomodori; no, limoni; limoni?, meloni". "No, no, peperoni, tre; anzi, uno; due, va". "Peperoni? Pomodori, abbiamo detto pomodori. Quelli pachini; no, no, quelli grandi". "Acqua, acqua; una cassa d’acqua". "Ha patate? Ecco, quelle; no, no, quelle: cipolle". Sul punto di uscire, Antonio ha salutato con l’espressione palmese "nta chicchera". E la moglie del Nostro, cinese doc, evidentemente appena terminato un corso di calabrese del reggino, ha proferito una frase in mandarino (!), che probabilmente significava "ci fanno o ci sono?". Perché vi racconto queste cose e, soprattutto, vi interesseranno? Montoliveto è un’oasi di distensione, ormai un fatto mentale. Montoliveto è sito di bilanci. Chi sono? A che punto mi trovo? Sono nel giusto? Queste domande hanno spesso accompagnato la mia ricerca di autore senza patente e di intellettuale locale. I miei lavori teatrali non registrati alla Siae - dove c’è un albo registi, per Pasquale Tiano, reggitore dell’ufficio tecnico comunale - mutuando da Beckett il senso di smarrimento contemporaneo, hanno provato a centrare queste stesse domande. Esse ci appartengono come viventi. In fondo, sono convinto che pure le lucertole di Montoliveto, tra il sole e la tana, se le propongono non di rado. Questo, metametafisicamente, alla faccia di chi argomenta per lo specifico umano, in favore del cogito cartesiano e altre perle da manuale. Che connessione c’è tra la fantasia e la realtà percepita o creduta tale? Io non sono dotto né colto, ergo non posso rispondere. So soltanto che mi piace procedere senza un ordine, in tutti i sensi. Oggi, a trent’anni suonati da Alex Cimino, sono un giornalista non troppo influente. Montoliveto è sito di bilanci. M’arrangio come posso: scrivo molto (ma per chi?, e per che cosa?), collaboro, ancora senza precisa collocazione né status giuridico, con Adnkronos; mi appassiona la cucina, la mia cucina; dispenso messaggi di vario genere a molte persone e ne ricevo altrettanti; conosco personalmente pensatori e intellettuali famosi; ho un computer, un collegamento veloce a Internet, parlo di quanto potremmo dare al cinema e all’informazione assieme a Max Cavallo; ho dei progetti con Michele Borrelli, Leo Rizzuti, Ermanno Bencivenga. Inoltre, continuo a inventare soggetti zavattiniani che nessuno conosce. Faccio bene da domestico, sogno di scrivere un libro con Domenico Barberio, detto "Ciaramella". Ho molti amici e nemici, vorrei fare uno stage con lo scrittore Giampaolo Spinato; a San Giovanni in Fiore, vorrei proporre un ciclo di lezioni teatrali con Cecilia, mia amica e moglie del mio amico (di sempre) Walter. Spero di organizzare dei concerti, nella Città dei fiori, col maestro Filippo Martelli e - da quanto tempo! - Francesca Balestracci. Vorrei rimborsare Roberto Visconti - dove sei? - per la sua performance dietro l’Abbazia florense, del 7 agosto 2003. Vorrei riappacificarmi con le persone con cui ho sbagliato e non avere rancori verso qualcuno. Vorrei un mondo decisamente migliore, giusto. Sto con una bellissima - in tutti i sensi - ragazza. Non so se riuscirò mai a dirle, ogni momento, che non sarei, se non ci fosse. Mia madre, una donna d’altri tempi, ha subìto un intervento chirurgico delicatissimo, dopo tante sofferenze, ricoveri, operazioni, attese, terapie ed esperienze umane d’umanità denudata. Succede soprattutto in ospedale. Guardo chiaro, per carattere. E, coi miei limiti immisurabili, sono proteso all’altro, per puro spirito di verità. Continuo a questionare cogli organi e i pianoforti della Regione Calabria, non sopportando la lentezza dei loro musici né la ripetitività meccanica dei suoni, delle melodie e delle canzoni di Casa nostra. Vorrei riprendere i contatti con Tony Spadafora e Tina Schueller, che saranno in giro per il globo rifiutandone le evitabili contraddizioni. Vorrei che a Gianni Vattimo San Giovanni in Fiore desse la cittadinanza onoraria e mi piacerebbe che lui un po’ si fermasse, che rimanesse più in famiglia. Vorrei essere vicino di casa di Antonio Totti Chessa, oramai più prezioso di Socrate. E vorrei ridere, ridere sempre. Tante altre cose vorrei: quando si quadra un bilancio, bisogna anzitutto desiderare. Per il resto, amici miei, ho ancora molte cose da dire, da raccontare, per chi vuole ascoltare. Sto analizzando la mia posizione politica globale: mi scopro sempre più sedotto dalla prospettiva egualitaria del mio compagno di adolescenza Francesco Basile. Lui sì che ha una coscienza di classe, per quanto la sua classe liceale non avesse coscienza di lui. Scusatemi tutti per lo spazio rubato. Sapete, Montoliveto fa questo effetto. E Vincenzo Tiano lo sa bene. Perciò, allo scopo di levarmi dal profondo letargo degli ultimi tempi, mi ha scritto questa parole chiave, "Monteuliveto". Non so dove si sia cacciato il mio prof Luigi Lombardi Vallauri. Se mi fosse davanti, gli direi: "Grazie". A lui come a chi, con fiducia e pazienza, ci ha seguito fino a qui, Antonio Guarascio, la moglie, i suoi bambini. A loro come a chi non ci ha mai incrociato. Alla prossima, allora. Magari, troverò il modo per presentarvi l’impareggiabile Andrea Di Bernardo e gli insostituibili Francesco Fallaci, Pina Martini, Fulvio Cauteruccio, Marco Messina, Gennaro De Rosa, Loris Giancola, Giuseppe Voltarelli, Mariolina Guarnieri e Giandomenico Zoccali. E Maria Paola Falqui.
Vi anticipo, congedandomi, la prossima pubblicazione, sulla Voce, d’un mio scritto sopra "Un amore da quattro soldi", di Ermanno Bencivenga.
Emiliano Morrone
nichilismopuro@libero.it
Il ricordo del tuo Monteuliveto, come il ricordo dei miei luoghi d’infanzia, vivono ancora immersi in quell’atmosfera di cui il nostro io narrante, a volte, vuole restituirne i colori, i profumi, il sapore.
Chiamiamole "intermittenze del cuore", caro Direttore, atte a recuperare un tempo passato, ma forse, solamente, per accorgersi che quel tempo, neanche quando era presente, l’abbiamo posseduto veramente.
La particolarità dei nostri luoghi, così vivi nella nostra memoria, stranamente suscitano sempre una riflessione sulla morte e, quindi, il ricordo di chi ci ha lasciato. Come se il ricordo, in quest’ultimo caso, diventasse sempre più labile con il trascorrere del tempo, come se corresse il pericolo di dissolversi completamente.
Il tuo Monteuliveto, così come i miei luoghi d’infanzia, vorremmo metterli a disposizione dei più giovani, affinchè anche loro respirino la nostra spensierattezza di allora, la nostra appartenenza di quel microcosmo inattaccabile in cui vivevamo, così lontano da ciò che stava accadendo al di là dei suoi confini.
Ora, con la consapevolezza che quel mondo incantato e protetto è scomparso con la nostra entrata nella vita vera, con tutte le nostre responsabilità e sofferenze quotidiane, almeno il ricordo di quei luoghi ci permetterà, forse, di affrontare la nostra esistenza con un filo di triste ironia.
Cordiali saluti. Biasi