Vita

Prima lettera di Emiliano Morrone a Folco e Tiziano Terzani, a Vincenzo Tiano e a San Giovanni in Fiore: un altro giro di corso

lunedì 31 luglio 2006.
 

Caro Folco, caro Tiziano, caro Vincenzo, cara mia San Giovanni,

oggi questa nostra Voce si incontra con la saggezza d’una vita, quella dell’immortale autore di "Un altro giro di giostra", soltanto andatosene dai nostri luoghi atomici ed elettrici, il 28 luglio del 2004. Quante cose ci hai insegnato, Tiziano. E quante lezioni ancora ci dai, col tuo parlare sereno, il tuo sorriso semplice, il tuo invito alla guarigione. Su questa testata, ci siamo confrontati in molti, pure chi non è mai intervenuto sopra un dibattito d’attualità o teoria. Ci siamo ritrovati a descrivere quel malessere contemporaneo cui alludeva Carmelo Bene nella sua spiegazione della "macchina attoriale". Siamo stati solidali, pur rilevando le nostre differenti vedute. Husserl, dove sei? Oggi, il mondo gira lentamente, mi viene da scrivere. E stamani non voglio centrare le mie riflessioni sul punto immobile rappresentato dalla città dei Fiori, dove, allo stato, mancano tracce d’una politica sociale della felicità. Chi, più di te, Tiziano, che ci guardi senza giudizio, può motivarci alla ricerca della cura? Probabilmente, Tiziano, come ricordavi nella tua ultima, bellissima intervista, si tratta di andare fuori del posto della malattia. Dobbiamo, per rigenerarci, seguire l’intuizione di Ippocrate, isolarci in una seconda porzione di spazio, osservare fenomeni sconosciuti, dialogare in una lingua ignota, nel tuo cinese, Tiziano, magari. Così, mi riporto a una trovata di Chomsky, che, in un certo senso, accomunava le lingue, anni fa, per identità di funzione: la ricerca della comprensione assieme agli uomini come noi. E mi sovviene quel meraviglioso documentario di Fabrizio De Andrè, dato a Mixer nel 1984, nel quale il poeta ragionava sul bisogno di mare dei marinai di Liguria, sull’avventura delle loro avventure lontani da casa. Tu hai girato dovunque, Tiziano: hai visto guerre, disperazioni, illogicità, abbattimenti, quelli descritti nel mio teatro su Wittgenstein. Hai potuto registrare abitudini, convinzioni, convenzioni, sofferenze e melodie quotidiane. Io non ho il tuo spirito nomade, la tua profondità di analisi e la tua gioia equilibrata. Ma vorrei, per quanto possibile, rivolgere un appello a chi latita nella ripetizione, a chi accetta, scavato, lo stato delle cose d’un sistema, piccolo o grande che sia. Vorrei dirgli di non subire la guerra, come mi hai raccomandato ieri sera. Vorrei esortarlo al confronto, all’azione, alla responsabilità dell’azione. Bene sottolineava che il teatro è "agere", non "agire". E’ immediatezza, è capolavoro di noi stessi. Riuscissimo a tradurre in pratica, sarebbe una "rivoluzione copernicana". Quanto si potrebbe fare, in questo senso. E quanto San Giovanni in Fiore potrebbe di nuovo essere sperimentale, in una simile ricerca dell’armonia e della pace, superando i luoghi comuni, la rassegnazione e la classica circolarità. Stanotte ho sognato Gianni Vattimo, che non sento da un mese. Mi ha detto: "Siate". Sarà che in questo periodo sto moltiplicando gli studi su Gioacchino da Fiore, di cui Gianni mi sembra erede; sarà che sto scoprendo una forma concreta di misticismo; sarà che mi sto avvicinando alla realtà dell’apparente irreale, dell’indicibile; sarà che amo, irrimediabilmente. Sarà che mi sto staccando dalla occidentalizzazione dell’esistenza, che ci offre solo, ingannevolmente, tinte fosche e condanne inappellabili. Sarà che tu, Tiziano, mi stai regalando consigli e spunti meravigliosi. Grazie anche a te, Folco, che con discrezione prosegui il lavoro di tuo papà. A te, Vincenzo, sii padrone delle tue briglie, e non lasciarle sciolte. E, ai giovani di San Giovanni, desideriamo un altro giro di corso. Che sia un corso nuovo, in grado di farci arrivare tutto il mistero - hai detto così, Tiziano - della vita, che è l’ultima verità, sopra la ragione.

Emiliano Morrone

nichilismopuro@libero.it


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