Missionibus

NO ALLA MISSIONE IN LIBANO - di Marco Ferrando, postato da Francesco Saverio Oliverio

mercoledì 30 agosto 2006.
 

NO ALLA MISSIONE IN LIBANO

(18 agosto 2006)

Reduce da un compatto voto di fiducia al governo sulla missione di guerra in Afghanistan, tutta la sinistra governativa plaude alla nuova missione militare in Libano. Ed anzi il plauso a tale missione sembra aver riassorbito persino il grosso di quei mal di pancia intermittenti che il rifinanziamento della missione afgana aveva suscitato. La domanda è semplice: perché? Nessuno degli argomenti addotti regge infatti all’evidenza. Ed anzi l’insieme degli argomenti spesi mi pare rafforzi l’impressione, in tutta franchezza, di una capitolazione clamorosa della sinistra.

La nuova spedizione militare come “missione di pace”? Andiamo. Persino da un’angolazione strettamente pacifista e “non violenta” è difficile intendere che un gigantesco dispositivo militare di navi da guerra, mezzi corazzati, reparti d’assalto, elicotteri da combattimento, sia missionario di pace. A meno di non avallare, retrospettivamente, proprio l’ipocrisia di quel militarmente umanitario contro cui è nato il movimento pacifista italiano. Ma soprattutto è impossibile non cogliere la concreta finalità politica della missione: non solo quella di avallare la terribile guerra israeliana che l’ha preceduta, col suo carico di crimini, devastazioni, bombe chimiche, bombardamenti di cortei funebri (tutto giustificato dalla risoluzione ONU), ma quella di completare ciò che la guerra d’Israele non è riuscita a conquistare sul campo: la resa ed il disarmo della resistenza libanese, che non è solo Hezbollah e integralista, ma anche laica, di sinistra e comunista; la riduzione del Liba no ad una sorta di protettorato occidentale, con il commissariamento di fatto del suo esercito, e l’occupazione militare di parte del suo territorio; l’ulteriore spostamento a vantaggio di Israele degli equilibri politici mediorientali, a tutto danno della stessa resistenza palestinese. Del resto è questo il trofeo che Olmert può oggi esibire in Israele, dopo le pesanti difficoltà incontrate in guerra. E questa è la ragione del pubblico ringraziamento al prezioso intervento occidentale. Si può non vederlo? Altro che lettura tecnica delle “regole di ingaggio”, già peraltro prefigurate dalla risoluzione ONU come “regole di combattimento”! La verità è che la “pace” che la missione rivendica e per cui lavora è unicamente la pace d’Israele, la forza e la sicurezza del suo Stato. E’ questa “pace” che reclama la guerra permanente in Medioriente, aperta o strisciante, da più di mezzo secolo contro i popoli arabi e contro il popolo palestinese. Una sinistra che si inchina a questa pa ce, finisce per capitolare a quella guerra.

Si obietta che la missione “riabilita l’ONU contro l’unilateralismo di Bush” e “rilancia l’Europa come protagonista”. Mi colpisce l’adattamento disinvolto dello stesso vocabolario politico della sinistra alla retorica ipocrita della diplomazia mondiale. Ma come? Quella stessa ONU responsabile di un embargo genocida contro il popolo irakeno e che ha messo il timbro - prima o dopo, in un modo o nell’altro - in tutte le guerre coloniali degli ultimi 15 anni, è oggi assunta dalla stessa sinistra “radicale” come metro di garanzia pacifista? In realtà il ruolo dell’ONU è direttamente dipendente dai rapporti mutevoli tra le grandi potenze. Nel momento in cui Bush, per sfuggire alle difficoltà del proprio unilateralismo, riapre al coinvolgimento europeo nelle politiche di polizia internazionale, e nel momento in cui, parallelamente, alcune decine di governi europei di centrodestra e centrosinistra vedono l’occasione di ricomporre la santa alleanza con gli Usa, l’ONU benedice con tant o di fanfare il ritrovato multilateralismo. Un riscatto dell’ONU? Al contrario: una subordinazione della sinistra alle politiche di potenza ed al loro mascheramento diplomatico. Quanto alla lirica del “protagonismo europeo” sarebbe bene osservare che il ruolo guida di Francia ed Italia nella mediazione non solo è in rapporto al loro passato coloniale (Francia) o di assistenza militare (Italia verso il Libano) ma è in funzione della massima efficacia dell’azione imperialista della missione: il governo Prodi-D’Alema porta in dote a Israele ed USA le particolari entrature dell’Italia in Libano (sia economiche che militari) per candidarsi a garante controllore della sottomissione del Libano alla risoluzione ONU. A cosa si devono, se non a questo, le pubbliche congratulazioni di Bush a Prodi per “la forza ed il coraggio mostrate dall’Italia”?

Non è un caso, infine, che la santa alleanza tra Europa ed USA in Libano si rifletta nell’unità nazionale interna tra centrosinistra e centrodestra. E’ accaduto in occasione di tutte le imprese militari multilaterali della stagione post ’89 (Kosovo, Afghanistan...). Accade oggi in Libano. Ed è naturale: l’interesse generale del capitalismo italiano nel mondo travalica i fragili confini politici del bipolarismo interno, nelle migliori tradizioni del patriottismo nazionale. Ma l’unità nazionale non era lo spauracchio da cui guardarsi a sinistra? E davvero i gruppi dirigenti della sinistra italiana, da Bertinotti a Diliberto, pensano di poter presentare un voto congiunto con Fini e Calderoli sulla missione in Libano come svolta a sinistra e pacifista della politica estera italiana? Il Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori si chiama fuori da questa omologazione dilagante. Non siamo usi a sacrificare i principi agli accomodamenti di governo. Non lo facciamo neppure questa volta. Per questo proponiamo da subito a tutte le forze disponibili della sinistra italiana, dei movimenti contro la guerra, dell’associazionismo pacifista e antimperialista la formazione di un comitato unitario nazionale contro la spedizione in Libano, quale strumento di controinformazione e mobilitazione. Certo il rilancio, sempre più urgente, di una sinistra anticapitalista di opposizione troverà nella questione libanese un importante banco di prova.

Marco Ferrando


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