[...] Il subcomandante Marcos, pipa in bocca e sagoma massiccia, arriva in sala come uno spettatore qualsiasi. E’ l’ospite d’onore, eppure il "delegato zero" si presenta per primo ed aspetta paziente, seduto al tavolo delle conferenze. [...] Marcos usa, con sapienza antica, l’arma preferita dagli zapatisti: la parola. Scioglie i concetti di "Autonomia, terra e liberta’" in aneddoti, metafore, racconti. Non si puo’ innovare il neoliberismo. Bisogna creare un altro mondo. [...]
Poi, ringrazia "i compagni arrivati dall’Italia". Tra di loro, qualcuno ha portato una maglietta del Cosenza da donare al "Sub". Pero’ qui la gente soffre. Non e’ il momento di consegnargliela. Meglio farne omaggio ad Alessio, attivista globale, ultra’ anconetano, che e’ umano almeno quanto il subcomandante [...]
Messico, nubi di tempesta di Claudio Dionesalvi (www.carta.org, 3 settembre 2006)
Qualcuno salvi il Messico, qualcuno salvi gli abitanti di San Salvador Atenco.
In una domenica d’estate si dispongono a semicerchio, circondano d’affetto la delegazione italiana dell’associazione "Ya Basta" e scandiscono a pugno chiuso uno slogan che dalle orecchie scende lungo la schiena risalendo il cervello: "Lucha lucha lucha, no dejes de luchar por una causa justa de tierra y libertad".
E’ un paesino collegato a Citta’ del Messico da pochi chilometri di un’autostrada senza illuminazione, ma obiettivamente piu’ sicura della Salerno-Reggio Calabria. Donne e bambini qui sono poveri ed accoglienti. Nei loro slogan urlano la voglia di continuare a lottare per il diritto di calpestare la terra e respirare liberta’. Meravigliosi i bimbi di Atenco. Figli di floricultori e contadini dagli occhi aztechi e la pelle opaca.
"Se puede, se puede?". Chiedono alle attiviste italiane se abbiano voglia di giocare insieme. Impugnano gusci d’uova svuotati e riempiti di coriandoli e... farina. Li spiaccicano in testa alle ragazze di "Ya Basta", che ricambiano con abbracci, carezze e qualche dolce imprecazione nei diversi dialetti italici.
Poi tutti si sciolgono in una foto di gruppo. Molti giovanissimi messicani vogliono farsi immortalare con Enrico, pizzaiolo, veronese ma del Chievo, il piu’ giovane della comitiva mediterranea. "Ya Basta", che da oltre dieci anni lavora in Messico, e altrove, con progetti sociali molto concreti, sta attraversando in queste settimane diverse esperienze di zapatismo urbano.
Dalla primavera 2005, da quando cioe’ nella Selva Lacandona del Chiapas e’ stata pronunciata la Sesta Dichiarazione che chiama i sognatori di tutto il mondo a formare una rete globale di autonomia contro il neoliberismo, il cammino zapatista e’ nuovamente uscito dai territori autonomi, dove nel 1994 scoppio’ la rivolta indigena guidata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Oggi si sparge nelle vene della metropoli, nei rivoli delle periferie.
Gia’ nel 2001, con la "marcia del colore della terra", il suo messaggio di dignita’ fu lanciato al Messico ed a tutto il mondo. Ora e’ il tempo dell’Altra Campagna, un tentativo indefinito di democrazia dal basso, in alternativa al gioco elettorale delle due maggiori formazioni politiche che si sono sfidate di recente ed aspettano ancora di sapere se ha vinto la destra o la sinistra, a causa dell’esigua differenza di voti conquistati. In effetti questo Paese e’ una polveriera. L’aria e’ tesa. Il Pan di Calderon ha ottenuto 250mila voti in piu’ del Prd guidato da Obrador, che denuncia brogli. Il verdetto della corte federale elettorale e’ previsto per il prossimo 6 settembre.
Ma gli zapatisti hanno scelto di stare fuori da questo gioco. Preferiscono viaggiare a sinistra, ma "in basso". Gli attivisti metropolitani accompagnano la delegazione italiana nel suo cammino nella megalopoli. Sospirano: "In Messico siamo in guerra col governo". E non si tratta del conflitto elettorale.
Ad Atenco, dove l’Altra campagna era passata ad inizio di primavera, il tre maggio scorso c’e’ stata una battaglia, anzi un’imboscata. Tutte le polizie del Paese hanno fatto un’operazione per sgomberare il presidio dei floricultori che lottano da anni per non farsi espropriare la terra. Qui il governo ha dato il via libera per costruire un centro commerciale "Wall Mart", proprio nella piazza in cui gli abitanti vendono da sempre i loro fiori. E cosi’ e’ scattata la rappresaglia. La polizia si e’ lasciata andare a saccheggi, deportazioni e stupri. Due ragazzi sono stati uccisi e decine di manifestanti arrestati.
I progetti di aeroporti e ipermercati, contro cui lottano gli abitanti di Atenco, rientrano nel Nafta, un accordo di libero commercio che riguarda tutto il nord del continente e si estende all’America latina, un piano di chiaro segno neoliberista.
Il disegno e’ brutale. La polizia mexicana non e’ stata da meno. Tra le ragazze stuprate al termine del blitz, c’erano anche due spagnole e una tedesca. Mentre offrono a "Ya Basta" tortillas ed abbracci, gli abitanti di Atenco ricordano e raccontano. A distanza di quasi tre mesi dalla mattanza, le piaghe restano aperte. Questo e’ il Messico, ma sono lontani i villaggi turistici italiani in riva all’oceano. Molta terra e poca liberta’.
E’ domenica ad Atenco. C’e’ una grande assemblea nel centro congressi dedicato ad Emiliano Zapata, rivoluzionario simbolo per milioni di oppressi. Il suo spirito si materializza in un altro "Spartaco" di questo tempo. Ci sono soltanto gli attivisti italiani e qualche mamma col bambino in braccio, quando nel salone entra un uomo col passamontagna, accompagnato da una scorta baffuta e disarmata. Il subcomandante Marcos, pipa in bocca e sagoma massiccia, arriva in sala come uno spettatore qualsiasi. E’ l’ospite d’onore, eppure il "delegato zero" si presenta per primo ed aspetta paziente, seduto al tavolo delle conferenze. Attende il pueblo, che entra lentamente. Pochi minuti dopo, davanti a centinaia di braccia che impugnano il machete, simbolo di questi lavoratori, Marcos usa, con sapienza antica, l’arma preferita dagli zapatisti: la parola. Scioglie i concetti di "Autonomia, terra e liberta’" in aneddoti, metafore, racconti. Non si puo’ innovare il neoliberismo. Bisogna creare un altro mondo.
Spiega i motivi per i quali e’ stata interrotta l’Altra campagna, in segno di solidarieta’ alle vittime della repressione. Inoltre, il suo esercito in Chiapas ha dichiarato l’allerta rossa, chiudendo i rapporti col resto del mondo. E’ un atto di condivisione, un periscopio virtuale. Costringe tutti gli uomini e le donne che si presentino nella selva Lacandona per parlare con gli zapatisti a "non guardare noi, bensi’ rivolgere lo sguardo alla tragedia della gente di Atenco".
Poi, ringrazia "i compagni arrivati dall’Italia". Tra di loro, qualcuno ha portato una maglietta del Cosenza da donare al "Sub". Pero’ qui la gente soffre. Non e’ il momento di consegnargliela. Meglio farne omaggio ad Alessio, attivista globale, ultra’ anconetano, che e’ umano almeno quanto il subcomandante. L’uomo col passamontagna intanto esce dalla sala, mentre la folla intona: "E - Z - L - N". Messicani e italiani gli stringono la mano. La scorta si arrende a Loredana che arriva piu’ vicina di tutti e per poco non lo bacia.
Dopo l’incontro si torna tramortiti ed euforici a Citta’ del Messico, nel Distrito Federal, un mostro di cemento abitato da 26 milioni di persone. Qui nel XV secolo gli aztechi combatterono una guerra spietata contro la citta’ di Tlaxcala per assicurarsi prigionieri da sacrificare, in omaggio al dio Huizilopochtli, affinche’ permettesse al sole di sorgere ogni giorno. Forse per questo piove sempre! Odore di frittura, dolci, tacos e pollo arrosto.
Dalle "tiendas" piazzate ad ogni angolo della strada s’alza un fumo denso. La polizia ti ferma, chiede i documenti. Hanno facce da deliquenti. Si accertano che sei italiano, ti portano via dieci euro e spariscono nel nulla. In alcune linee della metropolitana, gli agenti della sicurezza dividono i maschi dalle femmine, perche’ violenze carnali e molestie sono all’ordine del giorno. Bisogna stare attenti a poliziotti, tassisti-rapinatori e soprattutto all’acqua, che non e’ potabile.
L’acqua minerale e’ prodotta dalla Coca Cola, ma quella del rubinetto non e’ buona neanche per lavarsi i denti. Se bevuta, provoca un’infezione intestinale fastidiosissima: nausea, coliche, diarrea e insistenti "sedute" in bagno, fino ad un massimo di nove in quattro ore. La carovana italiana e’ decimata. Tutti attribuiscono la diarrea alla maledizione di Montezuma, ultimo imperatore azteco, fatto fuori dagli spagnoli. Da cinque secoli colpisce le viscere degli stranieri che mettono piede sul suolo messicano. A dire il vero qui un po’ tutti soffrono di problemi intestinali, altrimenti non si spiegherebbero le dimensioni minuscole del water. Alla base, ha un "collo" strettissimo, che non potrebbe mai contenere le robuste feci europee.
Tutto sa di ristrettezza. I ricchi non mancano. Tuttavia, i poveri sono una marea. Un insegnante guadagna l’equivalente di 200 euro al mese. La sanita’ pubblica e’ pressoche’ inesistente. In ospedale un intervento di appendicite costa 2000 euro, in clinica privata 5500. E cosi’ la gente per sopravvivere le inventa tutte. Gli interventi chirurgici si fanno tra amici, in casa.
Autogestione e rivolta sono un fatto quotidiano. Nei giorni successivi, la carovana di "Ya Basta" visita Xocimilco, dove si sperimenta l’autonomia zapatista fuori dal Chiapas. Da secoli, i contadini riempiono il lago di terra ed arbusti. Creando dei "chinampas", cioe’ terrapieni, hanno costruito un sistema di canali. Coltivano fiori e verdura. Producono le "alegrias", dolci buonissimi a base di cereali. Lottano contro i progetti governativi di costruire campi da golf e svendere la terra ai giapponesi, che vengono a villeggiare qui e con i loro motoscafi producono un moto ondoso che distrugge l’ecosistema.
Nella laguna, da sempre si viaggia sulle "trajineras", gondole. Sotto il pelo di quest’acqua apparentemente morta, vivono tante specie, tra cui gli xolotle, simpatici lucertoloni in via d’estinzione. Sono capaci di rigenerare quasi tutte le parti del proprio corpo in caso di mutilazione, ma non resistono alla modernita’ ed ai residui di combustibile scaricati dalle barche a motore.
Gli zapatisti di Xocimilco ospitano la delegazione di "Ya Basta" su una canoa dedicata a Digna Ochoa, un’avvocata attivista dei diritti umani uccisa tre anni fa, nel suo studio legale, da sicari del governo. Guidano i compagni italiani in un centro di riproduzione delle specie locali, dove si lavora alla salvaguardia degli xolotle e della rana-toro. Gli attivisti del "caracol" di Xocimilco parlano con orgoglio del presidio che da mesi piantona giorno e notte il carcere di Tuluca, "dove sono detenuti compagni arrestati per i fatti di San Salvador Atenco".
Sono difesi dall’avvocata Barbara Zamora, che ci riceve il giorno dopo nel suo studio tappezzato di foto del "Che" e Marcos. Parla con tale compostezza, da evocare il nostro Peppino Mazzotta, principe del foro bruzio, onnipresente nei pensieri di chi lotta. Come lui, e’ una donna sulla cinquantina, molto bella, impegnata da sempre. Racconta di violenze indescrivibili ai danni dei suoi assistiti, udienze svolte senza la difesa e violazioni continue dei diritti umani. Spera che la comunita’ internazionale intervenga per chiedere spiegazioni al governo messicano. Uscendo, a poche centinaia di metri dal suo ufficio, sulla strada campeggia un cartellone pubblicitario che invita gli europei a gustare il mare di Cancun.
In effetti, i Messicani sono disponibilissimi con noialtri. In una biglietteria, dove bisogna prenotare un pullman di seconda classe per raggiungere la cittadina di Oaxaca, Alessio di "Ya Basta" incontra qualche problema. I posti disponibili non sono sufficienti per tutti. Ma il bigliettaio ha un’illuminazione. Telefona al suo capo: "C’e’ qui una comitiva di italiani. Sono campioni del mondo. Non possiamo rimandarli indietro". Inmediatamente si rende disponibile un altro autobus, guidato da un autista regolarmente ubriaco di mescal.
A Oaxaca, un centro molto turistico distante una notte di viaggio da Citta’ del Messico, migliaia di insegnanti occupano la piazza del paese e alzano barricate con l’appoggio dell’intera comunita’. Da mesi rivendicano diritti come l’aumento degli stipendi e l’acquisto di materiali didattici. Anche qui il governatore locale, un certo Ulises, ha provato a fare la voce grossa. Nella notte del 14 giugno la polizia e’ arrivata in forze, col solito repertorio di lacrimogeni, cariche e violenze. Stavolta gli e’ andata male. La gente ha resistito, riprendendosi le strade, e adesso le presidia con tanto di "tiendas", tacos e striscioni. In piazza possono entrare tutti, tranne lo Stato. E adesso tutto il paese chiede le dimissioni di Ulises.
La carovana italiana lascia questa citta’ meravigliosa nella notte. Bisogna stare attenti. La legge messicana parla chiaro: agli stranieri e’ fatto divieto di partecipare alle vicende politiche della nazione, pena l’espulsione immediata. Destinazione finale: il Chiapas, dove si va a studiare il sistema educativo zapatista. Sul pullman passa di mano in mano una copia del quotidiano "La Jornada", una specie de "la Repubblica". C’e’ una pagina dedicata all’Altra campagna del subcomandante Marcos.
L’articolo ricostruisce il cammino fatto sinora ed elenca anche le tappe preparatorie, alcune delle quali si sono svolte in Europa. Sono menzionate anche due citta’ italiane. La prima forse e’ Bologna, ma il cronista cade in un refuso e scrive "Bisegna". E poi c’e’ una cittadina del sud. Il suo nome e’scritto correttamente: "Cosenza".
Vamos adelante!
Intervista al leader della protesta
«Insurrezione popolare se ci attaccano»
di Angela Nocioni (www.liberazione.it, 04.11.2006)
Oaxaca nostra inviata. - A Oaxaca non c’è mai stata una transizione alla democrazia, nemmeno l’alternanza. Esistono strutture di potere che altrove sono sparite dopo la Rivoluzione, cento anni fa. La molla del movimento sta nella parte esclusa della popolazione. Sono gli “usa e getta” il settore radicale della Appo. Come li chiamate voi, gli invisibili? Ecco, sono loro che spingono in assemblea verso le posizioni radicali, non i gruppi armati.
Cosa pensi degli zapatisti?
Abbiamo un grande affetto per il movimento zapatista, sono la gran causa di tutti noi, hanno innalzato la nostra bandiera e per questo gli siamo grati. Ci sono piccoli disaccordi che preferiamo discutere semmai discretamente, in privato. Personalmente credo che per non sporcarsi le mani in politica hanno pagato un prezzo alto. Una scelta di fermezza e dignità che mi è piaciuta. Abbiamo commesso la sciocchezza di non essere stati pienamente solidali contro le aggressioni quotidiane con cui li tormentano. Hanno ragione quando ci criticano per questo.
Come si comporta il Partito rivoluzionario democratico (il grande partito della sinistra messicana, ndr) con voi?
Autonomia, rispetto e appoggio.
Denaro?
No, economicamente non ci aiuta. Io sono membro del Consiglio nazionale del Prd, l’appoggio dei parlamentari del partito è stato decisivo perché Camera e Senato prendessero l’atteggiamento che hanno preso rispetto al governatore Ulises Ruiz.
Eppure Andrès Lopez Obrador non si è speso un granché per Oaxaca. L’altro ieri è andato a una manifestazione di solidarietà a Città del Messico, ma mentre era in corsa per le presidenziali non ha detto una parola su di voi, così come non l’ha fatto per la rivolta di Atenco. O no?
Il governo di Fox ha tentato di metterlo in relazione con noi dall’inizio, insiste nel denunciare che noi siamo suoi burattini, usa la mia appartenenza al Prd come prova. Andrés è stato attento e ha mantenuto rispetto per l’autonomia del movimento, ha mantenuto una sua strategia elettorale e postelettorale non coinvolgendoci. Ma è rispettoso della nostra lotta e sta dalla nostra parte.
In strada si urla “Se Ulises Ruiz non se ne va Calderon non si insedierà alla presidenza”. Cosa vuol dire?
A metà novembre discuteremo una strategia per tradurre in realtà questo slogan, attueremo concretamente per verificare se e quanto Felipe Calderon sostiene Ulises Ruiz.
La città non la controllate né voi, né l’esercito, né la polizia. Cosa farete finché soldati e agenti restano qui?
Se i generali che guidano l’occupazione militare di Oaxaca sono intelligenti non ci attaccano, perché già dovrebbero aver misurato la prima risposta. Ripeto: non c’è stata una convocazione alla resistenza, c’è stato un invito a ripiegare, eppure il popolo ha resistito con tutto quel che ha trovato all’avanzata della polizia. Costringerci a chiamare all’insurrezione sarebbe un’idiozia. Se i generali non sono pazzi si inventano una via per uscire vivi dalla città.
Hai paura per la tua vita?
Sì, arrivano minacce in continuazione. I sicari del Pri non scherzano. Sappiamo che mi vogliono uccidere.
Messico, vent’anni di lotte e di sanguinose repressioni, l’irruzione degli zapatisti e i “tradimenti” della sinistra istituzionale
Oaxaca, quella rivolta che viene da lontano
di Ramon Mantovani (www.liberazione.it, 04.11.2006)
Cosa stia succedendo in questi giorni i lettori di Liberazione lo possono leggere grazie ad Angela Nocioni che è sul luogo e che racconta benissimo, ora per ora, della repressione e della lotta che continua. La grande stampa italiana, diversamente da quella internazionale, ignora, non si interessa, priva i cittadini italiani di informazioni essenziali per comprendere il Messico e, più in generale, l’America Latina. Per mesi in Italia si è discusso della campagna elettorale di Andres Manuel Lopez Obrador (che in Messico chiamano Amlo), dei risultati elettorali e della vittoria di Calderon, contestata da Amlo. Secondo uno schema caro all’informazione italiana, ma non solo, perché anche gran parte del mondo politico ufficiale utilizza lo stesso schema, ogni situazione in un altro paese è paragonabile a quella italiana. Così per mesi abbiamo avuto attacchi, critiche e interpretazioni varie sulla condotta degli zapatisti che si sono tenuti fuori dalla campagna elettorale e che, anzi, hanno fatto la Otra Campaña (l’altra campagna). Ma come? Marcos non appoggia Amlo proprio quando per la prima volta la sinistra (?) può vincere le elezioni? E giù invettive e giudizi, anche sul Manifesto, senza tener conto né della realtà Messicana né delle posizioni vere dell’Ezln e de la Otra Campaña. Oaxaca è sotto gli occhi di tutti. Per chi vuol vedere ciò che li sta accadendo, e che del resto era già stato anticipato durante la campagna elettorale ad Atenco quando una violenta repressione si abbatté sulla lotta di una intera comunità, la dice lunga sulla democraticità del sistema politico messicano e sulla possibilità di riformarlo dall’alto, magari con una vittoria elettorale di Amlo. Per capire bene di cosa stiamo parlando è necessario fare qualche passo indietro.
Già nell’88 Cardenas aveva vinto le elezioni, ma durante lo scrutinio, un provvidenziale black out interruppe il conteggio dei voti. Quando tornò l’energia elettrica Cardenas, il candidato di un vasto schieramento di sinistra e progressista, si ritrovò sbalzato al secondo posto. Il Paese fu sull’orlo di una guerra civile ma Cardenas scelse la via pacifica e lo schieramento che lo sosteneva si trasformò nel Partito della Rivoluzione Democratica (Prd). Il governo che si insediò, presieduto da Salinas de Gortari, fece una riforma costituzionale allo scopo di predisporre il paese all’ingresso nel Nafta (il trattato di libero commercio con Usa e Canada). Nella riforma venne cancellato il diritto di proprietà collettiva sulla terra delle comunità indigene e vennero creati i presupposti di un violento piano di privatizzazioni generalizzate. Queste cose, tra le altre, furono causa primaria della sollevazione zapatista del 1 gennaio del 94. Lo stesso giorno dell’entrata in vigore del Nafta e del proclamato (dal governo) ingresso del Messico nel novero dei paesi del primo mondo, un nuovo soggetto fece sentire la sua voce.
Gli ultimi, gli indigeni considerati paria nella società messicana, rovinarono la festa neoliberista. Il loro messaggio al mondo, però, non fu una lamentela. Le loro parole furono un atto d’accusa non solo verso il malgoverno messicano, bensì verso il sistema della globalizzazione, verso le cosiddette istituzioni finanziarie internazionali. Soprattutto grazie alla mobilitazione dei messicani e dell’opinione pubblica mondiale il governò non poté risolvere la faccenda con un bagno di sangue e dovette accettare un negoziato. Il Prd di Cardenas, pur con tanti distinguo, si schierò per questa soluzione e molti suoi esponenti, anche di primo piano, si affrettarono ad interloquire con Marcos e gli zapatisti. Intanto Cardenas perse le elezioni senza sollevare dubbi sul risultato e il nuovo presidente Zedillo tradì il primo accordo di pace firmato con gli zapatisti che prevedeva una riforma costituzionale. Alla inevitabile rottura delle trattative seguirono anni di guerra di bassa intensità con occupazione militare dei territori indigeni del Chiapas, con massacri e persecuzioni di ogni tipo. Fino alle elezioni del 2000.
Zedillo aveva ormai portato il Pri (Partito Rivoluzionario Istituzionale), al potere da 70 anni, ai minimi termini sia perché i veri effetti del Nafta cominciavano a farsi sentire, ma anche perché con la repressione in Chiapas aveva fortemente offuscato l’immagine del Messico di fronte all’opinione pubblica mondiale. Vicente Fox del Pan (Partido de Accion Nacional), un partito conservatore di destra conquista il ruolo di innovatore. Un cambio indolore per i poteri forti condito con promesse populiste tra le quali fece moltissima breccia la seguente: «Risolverò il problema del Chiapas in un quarto d’ora promulgando la legge che traduce in riforma costituzionale l’accordo firmato con l’Ezln». Fox vince e Cardenas ottiene un misero 17% dei voti. L’Ezln nella primavera del 2001, pochi mesi dopo l’insediamento di Fox, organizza la famosa “marcia del colore della terra”. Milioni e milioni di persone assistono agli eventi lungo il percorso che porterà tutti i comandanti zapatisti dalla Selva Lacandona fino a Città del Messico. Fox lascia fare, anzi dice di voler aiutare. Gli zapatisti ottengono il risultato storico di parlare in aula, con i loro passamontagna, nel parlamento messicano. Fox promette di nuovo che promulgherà la legge. Sembrava si fosse alla vigilia del primo passo per una vera democratizzazione del Messico. Se Fox avesse mantenuto fede all’impegno solennemente preso e il parlamento avesse approvato la legge davvero sarebbe cominciata un’altra storia per il Paese. Sia perché l’istituzionalizzazione delle forme di autogoverno indigene avrebbe garantito l’ingresso nel sistema politico di più di 12 milioni di esclusi, sia perché si sarebbe determinata la permeabilità delle istituzioni alle richieste e alle rivendicazioni provenienti dal basso della società. Gli zapatisti tornarono nella Selva ed attesero.
Fox presentò la legge come aveva promesso ma già in prima lettura al Senato tutti i partiti, ripeto tutti, la stravolsero totalmente trasformandola nel suo contrario. Cambiare anche solo una virgola di una legge che traduce un accordo di pace firmato è un tradimento. Un tradimento ancor più grave perché anche il Prd decise di tradire. Gli zapatisti dichiararono finito ogni loro dialogo con le istituzioni e con tutti i partiti ufficiali e si rinchiusero in un lungo silenzio dal quale usciranno anni dopo proclamando l’autonomia dei Municipi e la formazione delle “Giunte del Buongoverno”. Più o meno un’applicazione unilaterale della legge prevista dagli accordi e un interessantissimo esperimento di democrazia diretta e partecipata. Il Prd nello stesso tempo conobbe grandi cambiamenti.
Tramontata la stella di Cardenas il nuovo leader Andres Manuel Lopez Obrador si preparava, dal suo posto di Governatore di Città del Messico, a candidarsi alla presidenza nel 2006. Una politica sempre più centrista, neoliberista, e l’accoglimento nelle file del Prd di molti transfughi del Pri, compresi uomini di Salinas de Gortari e personaggi che in passato erano perfino stati accusati di essere mandanti di omicidi contro militanti del Prd, sono state le scelte principali di Amlo per marciare verso la presidenza della Repubblica. Oltre alla conclamata alleanza con settori della borghesia messicana più ricca e affarista. Ma non è bastato. Negli ultimi tre anni si sono susseguiti scandali (veri) con l’implicazione di uomini vicinissimi a Amlo e perfino una sorta di golpe bianco consistente nel tentativo di impedire ad Amlo di presentarsi alle elezioni proprio nel momento in cui guidava tutti i sondaggi elettorali. Ovviamente gli zapatisti hanno duramente criticato, in tutto questo periodo, la trasformazione del Prd in un partito “come gli altri”. Hanno accentuato la critica nei confronti del sistema politico ed istituzionale messicano completamente sordo ad ogni richiesta proveniente dal basso ed hanno denunciato la vocazione del regime a reprimere sanguinosamente ogni legittima lotta popolare. Come se non bastasse in Chiapas un sindaco del Prd ha prima tagliato l’acqua agli zapatisti del suo comune ed ha scatenato, con i suoi paramilitari, una violenta repressione sparando contro una pacifica manifestazione che chiedeva banalmente il riallaccio dell’acqua. Nonostante i vertici del Prd si siano limitati a qualche parola di circostanza senza prendere alcun provvedimento gli zapatisti, senza omettere critiche ad Amlo, hanno per tutto il periodo denunciato il tentativo di golpe bianco contro di lui. La campagna elettorale comunque aveva sempre più il sapore di una lotta intestina ad un regime allargato anche al Prd. Una lotta di potere dentro un sistema totalmente separato dalla società. Una lotta condotta con colpi bassi, scandali, mosse e contromosse indifferenti alle reali condizioni di vita dei messicani. Una campagna clientelare con grande dispendio di migliaia di milioni di dollari.
E’ in questo clima che matura la scelta degli zapatisti di giocare il tutto per tutto. Non basta più la lotta degli indigeni, bisogna costruire insieme a tutti i settori sociali emarginati, a tutte le esperienze di lotta ignorate dai partiti e dai candidati, una solida alleanza dal basso e un programma dichiaratamente anticapitalista. Così nasce la Otra Campaña. Marcos viaggia per tutto il Messico censendo ed ascoltando la voce di quelli che nessuno ascolta. Consolida, mettendo a disposizione l’autorevolezza che l’Ezln si è conquistato in questi anni, un rapporto tra soggetti ed esperienze di lotta diversissimi tra loro ma accomunati dalla precisa volontà di costruire un’alternativa senza divenire merce di scambio nella lotta che intanto si dipana violentemente nella campagna elettorale ufficiale. Non è una campagna per danneggiare Amlo, serve a costruire partecipazione e solidarietà dal basso e a criticare tutto il sistema ostile ad ogni forma di democratizzazione della società. Ed infatti durante la campagna, a dimostrazione di quale sia la vera natura del sistema, ad Atenco si abbatte una durissima repressione contro una comunità in lotta.
Una repressione che provoca un morto, centinaia di feriti e decine di arresti. Una azione che è solo il preludio di Oaxaca ma che nell’occasione viene sollecitata anche da alte autorità locali del Prd. Poi arrivano le elezioni, e il grande imbroglio.
Amlo non accetta il verdetto e nel balletto degli organismi elettorali, tutti dominati dall’alleanza del Pri con il Pan che si dichiarano tutti sfavorevoli al candidato del Prd, anche arrampicandosi sugli specchi per negare l’evidenza di brogli conclamati, cresce una mobilitazione tesa a produrre un vero e proprio braccio di ferro istituzionale. Anche il Subcomandante in un lungo scritto denuncia i brogli, curiosamente in modo molto più dettagliato di tanti sostenitori di Amlo. Si impedisce perfino al Presidente Fox di entrare in parlamento per pronunciare il suo tradizionale discorso sullo stato della nazione. Amlo dichiara che non accetterà mai il risultato e si appresta a dare vita a forme parallele di governo.
E intanto la violenza colpisce Oaxaca dove da molti mesi è in corso una lotta prima di maestri e poi di tutta la comunità. Una di quelle tante lotte ignorate in campagna elettorale, tranne che dalla Otra Campaña. Il Messico sembra proprio essere “sull’orlo di una crisi di nervi”. Vedremo meglio cosa sarà la Convenzione Nazionale Democratica convocata da Amlo e se il suo governo parallelo riuscirà a tenere in vita un’alleanza con quei settori della borghesia e con quegli uomini del vecchio Pri che difficilmente si troveranno a loro agio all’opposizione. Non staremo a vedere, invece, che ne sarà della Otra Campaña, perché la aiuteremo in ogni modo, secondo le nostre possibilità convinti come siamo che solo da li può svilupparsi un processo di vera democratizzazione del Messico. Ed anche per il debito che abbiamo con l’Ezln.
La situazione in Messico è grave e noi non possiamo tacere. Ricopiate il Testo da sottoscrivere riportato a fine messaggio e speditelo agli indirizzi in calce. Aldo Antonelli
From: "Pindorama Mailing List" < URGENTISSIMO !!!!!!
Cari amici viaggiatori ,
ci giungono allarmanti notizie dal Messico: il capo del governo federale sig. Vicente Fox ha deciso di reprimere con violenza il movimento popolare dei cittadini dello stato di Oaxaca. E’ di queste ultime ore il fatto che migliaia di soldati sono inviati a Oaxaca con l’ obbiettivo di porre fine al movimento degli insegnanti e dell’ "Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca", che raggruppa decine di organizzazioni civili dello stato che da 5 mesi portano avanti un movimento sociale che chiede le dimissioni del governatore dello stato. Importantissimo e’ l’attuale contesto socio- politico: il presidente Fox è a un mese dal termine del suo mandato, infatti il prossimo 1° dicembre dovrebbe entrare in carica un nuovo presidente, ( lasciamo perdere per il momento chi è costui e le circostanze del recente processo elettorale) considerato da milioni di messicani usurpatore! Fox è costretto a "risolvere" il problema prima del cambio di potere.
Le ultime problematiche sociali Fox le ha "risolto" ricorrendo alla brutale repressione, in breve : 2 morti nello sciopero degli operai della metallurgica "Lazaro Cardenas" nello stato di Michoacan e decine di prigionieri; altri 2 morti e decine di donne stuprate nei camion della polizia nel villaggio di San Salvador Atenco nello stato del Messico e ancora decine di prigionieri. In merito a quest’ultima vicenda l’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ ONU ha espresso una forte condanna e ha richiesto al governo del Messico di punire i responsabili.
Questi antecedenti lasciano presagire che l’arrivo delle truppe dell’esercito così come delle forze della polizia federale non sia solo un atto intimidatorio, ma che sia imminente un nuovo bagno di sangue che potrebbe far precipitare il paese in una guerra civile. Vi chiediamo per ciò di scrivere un messaggio alle rappresentanze diplomatiche messicane in Italia chiedendo di fermare la repressione! Un possibile testo potrebbe essere il seguente, ma lasciamo alla coscienza di ciascuno di voi.
Spettabile Ambasciatore della Repubblica del Messico,tramite la presente, desidero manifestare la mia grande preoccupazione per quanto succede nello Stato di Oaxaca Messico. Convinto come sono che l’opzione militare per risolvere i problemi sociali non sia mai una vera soluzione e che essa lascerà ferite sempre più profonde all’interno della società messicana, chiedo che si percorrano tutte le strade del dialogo per risolvere in modo pacifico la situazione certo come sono che questo sia sempre non solo possibile , ma anche necessario.
L’indirizzo mail dell’ambasciata messicana a Roma è: correo@emexitalia.it L’indirizzo del Consolato messicano di Milano: info@mexico.it
Attivate le vostre reti !!! Ringrazio in anticipo
Francisco
Messico, reporter Indymedia filma il suo killer *
Brad Will ferito a morte«A Oaxaca è stata recuperata la pace sociale», ha assicurato lunedì il presidente messicano Vicente Fox. Ma divampano ancora le braci della giornata di disordini e morte di domenica messi a tacere da un imponente schieramento di truppe federali. Tutto è iniziato in realtà cinque mesi fa quando sono iniziate le proteste popolari cominciate dai maestri. I manifestanti chiedevano le dimissioni del governatore Ulises Ruiz. «Tutto ciò è avvenuto alla luce del sole, nella più completa trasparenza e senza l’uso delle armi», ha assicurato il capo dello stato nel suo primo intervento su ciò che successo a Oaxaca. Ma fino domenica si sono contati dodici morti. Venerdì scorso, poliziotti in abiti civili - o, secondo testimoni, dei bande paramilitari di provocatori del Pri, il partito di destra di cui fa parte il governatore Ruiz - hanno agito per costringere Fox ad inviare le truppe federali sparando sulle barricate erette dai manifestanti uccidendo due persone, tra le quali il cameraman indipendente Usa Bradley Roland Will, attivista newyorkese di Indymedia. Brad Will ha filmato l’uomo che gli ha sparato mortalmente e il video è stato diffuso da You Tube. Con lui nella stessa giornata di venerdì sono morti altri due civili: il docente Emilio Alonso Fabián, della delegazione dei Loxicha, ed il cittadino Esteba Ruiz, e - secondo Indymedia - altre 23 persone sarebbero rimaste ferite da colpi di arma da fuoco.
Domenica nella violentissima e prolungata battaglia campale tra le truppe federali e i manifestanti, secondo militanti dei diritti umani e Radio Universidad, l’emittente controllata dalla Asemblea Popular de los Pueblos de Oaxaca (Appo), vi sono stati quattro morti: due ragazzi di 15 e 12 anni, un docente ed un infermiere. La notizia è stata però smentita dal portavoce presidenziale Ruben Aguilar. Intanto, nonostante le affermazioni di Fox, che ha assicurato che «allo ristabilimento della legge e dell’ordine si può sommare ora il dialogo democratico e la ricerca di accordi», secondo gli analisti è molto probabile che i settori più radicali dell’Appo non vogliano cedere e siano pronti ad inscenare nuove proteste per costringere Ruiz, che accusano di governare con la repressione e la corruzione, a dimettersi.
Non è ancora chiaro però se il ritorno alla calma di cui ha parlato Fox sarà reale e destinato a durare. L’accordo raggiunto con i maestri sembra essere saltato. «Non abbiamo intenzione di tornare al lavoro fino a quando non avremo garanzie scritte» per la sicurezza degli insegnanti, ha detto Danier Reyes, uno degli ultimi insegnati ad aver abbandonato la piazza occupata, dopo l’intervento della polizia. I manifestanti si sono spostati ora nella Università cittadina, e hanno promesso che continueranno la loro battaglia fino a quando non sarà rimosso il governatore. Gruppi di manifestanti hanno eretto in alcuni punti della città nuove barricate, mentre l’emittente Fm Radio Universidad, dopo una sospensione del funzionamento, ha ripreso la sua funzione di coordinamento dell’azione dei manifestanti che occupano ancora la televisione statale. Tre manifestazioni di protesta si sono svolte ieri sera, in Italia la notte scorsa, tutte con un itinerario diretto alla piazza dello Zocalo - cuore di ogni protesta in Messico - nel pieno centro cittadino presidiato da ingenti forze dell’ordine. E la lotta di Oaxaca ha ricevuto l’appoggio anche degli zapatisti del Chiapas.
Il subcomandante Marcos ha letto a Chihuahua, nel nord del Messico, un documento di solidarietà con il popolo di Oaxaca e «con il suo più degno rappresentante, la Appo», appoggiando le richieste di dimissioni di Ruiz e del ritiro dell’esercito. Il subcomandante ha anche proposto uno sciopero nazionale in tutto il Messico per Oaxaca il 20 novembre 2006». «Fino ad oggi - ha proseguito - la polizia federale ha assassinato per lo meno tre persone, fra cui un minorenne, ferendo decine di persone, ed arrestando decine di manifestanti che sono stati trasferiti illegalmente in prigioni militari». L’Ezln ha inoltre rivolto un appello alla mobilitazione «durante tutto il primo novembre, con blocchi di strade e sentieri che attraversano territori dove gli zapatisti sono presenti in Chiapas». Intanto i deputati e i senatori del Parlamento da Città del Messico hanno invitato il governatore dello Stato di Oaxaca di dimettersi. Il Senato federale in realtà avrebbe il potere di dimettere forzatamente Ruiz ma la procedura viene contestata aspramente. Allo stesso tempo una maggioranza di deputati ha chiesto le dimissioni immediate di Ruiz come base di un accordo tra il partito d’azione nazionale (il Pan, di destra) del presidente Vincente Fox e il partito di rivoluzione democratica (Prd, di centrosinistra).
* www.unita.it, Pubblicato il: 30.10.06 Modificato il: 31.10.06 alle ore 8.39
Messico, una carneficina nella città occupata dai maestri
di Angela Nocioni (www.liberazione.it, 29.10.2006)
Oaxaca - nostra inviata
Una pallottola in pieno petto. Brad Will è morto venerdì pomeriggio con la telecamera in mano in una stradina stretta e lunga, piena di sole, mentre filmava per Indymedia l’attacco di un gruppo paramilitare a una delle novecentocinquanta barricate tirate su alla meglio per proteggere Oaxaca dall’arrivo dell’esercito. Pareti di lamiere e sassi abbandonate quasi tutte ieri mattina dopo l’ordine di intervento della polizia federale.
Quando chiudiamo l’edizione gli agenti mandati dal presidente Fox sono ancora fermi all’aeroporto, armati fino ai denti. La morte di un cittadino straniero è stato il pretesto per un intervento preparato da mesi. Non sono iniziati gli scontri, ma si sente il rumore di spari arrivare dalle porte della città. Il passaparola tra le vedette sulle barricate è di concentrarsi in quattro punti diversi e di organizzarsi per difendersi. Il Zocalo, la piazza della cattedrale, è dalle otto di mattina una unica, immensa barricata. Porte sbarrate, finestre chiuse, centinaia di persone (tantissime donne) sedute dietro muri di materassi e ferri. Ferme ad aspettare. I portavoce della città insorta sono in perenne riunione sotto una tenda blu. I cartoni con le facce di Stalin, Lenin e Marx, vicino a Emiliano Zapata e a “Che” Guevara, dondolano su fili legati attorno ai pali della luce.
Fiorentino Lopez Martinez, un ragazzo esile dall’aria mite che parla sempre a bassa voce, è il coordinatore dell’assemblea popolare, organizzazione in stragrande maggioranza indigena. «Non abbiamo armi - giura tenendosi la testa tra le mani - resisteremo con quel che abbiamo. Ci stanno arrivando notizie di rastrellamenti in corso in tutto lo Stato. Abbiamo bisogno d’appoggio. A Città del Messico si stanno preparando per scendere in piazza ma ci serve l’aiuto di tutti, anche all’estero. Dite di protestare ovunque contro la repressione del movimento pacifico di Oaxaca».
La città è isolata. Cancellati tutti i voli. Chiusa la stazione degli autobus. Il gioiello coloniale del sud messicano è in autogestione da cinque mesi. Quattordici morti finora (ma il bilancio potrebbe cambiare di molto prima di domenica mattina). Venerdì gli ultimi quattro: Will Bradley, l’insegnante indio Emilio Alonso, un uomo di cui non si conosce ancora l’identità ed Esteba Ruiz, uno degli attivisti di Radio Universidad, la radio del movimento, finito dissanguato perché non è arrivata l’ambulanza. Tutti uccisi venerdì pomeriggio in azioni simultanee, in luoghi diversi della città, da sconosciuti a volto scoperto. Maestri e indigeni occupano da maggio uffici governativi e palazzi, radio, porticati, scuole e piazze, decisi a cacciare il governatore Ulises Ruiz Ortiz, considerato un usurpatore.
Brad Will era arrivato da New York all’inizio di ottobre a raccontare la ribellione di Oaxaca contro Ruiz Ortiz. La pallottola che l’ha ucciso nella stradina della colonia Santa Lucia, alle porte della città, è stata sparata a trenta metri. Difficile stabilire se il colpo era diretto a lui o se l’hanno preso per caso. «Era tutto dentro questa storia. L’ho visto spesso in giro in questi giorni. Era bravo. Si prendeva dei rischi pur di filmare» raccontava venerdì sera David Delapaz, fotografo messicano dell’agenzia Efe, con lo sguardo fisso sull’ultima immagine del reporter statunitense con gli occhi già sbarrati nei minuti disperati degli inutili soccorsi. Erano a pochi metri di distanza quando Brad è stato ucciso. «Stavo dietro l’angolo - ricostruisce la scena il fotoreporter - l’ho visto un attimo prima che lo colpissero».
La protesta delle barricate ora chiede le dimissioni immediate di Ulises Ruiz, governatore dello Stato. E Il presidente uscente Fox ha inviato migliaia di agenti federali
Messico, la strage di Oaxaca la città occupata dai maestri
di Angela Nocioni (www.liberazione.it, 29.10.2006)
Oaxaca, Messico nostra inviata
«All’ingresso della strada c’era un gruppo di uomini a volto scoperto. Non più di sette, otto persone. Sparavano contro una barricata, difesa da quelli dell’assemblea popolare. Lui era in mezzo, faceva le riprese da dietro un palo della luce. Mi sono sporto per scattare e ho avuto l’impressione che si stesse muovendo, credo per proteggersi perché era praticamente allo scoperto. Non ha fatto in tempo». Nel quartier generale degli insorti dicono di aver riconosciuto nel gruppo paramilitare facce note del braccio armato del Pri, il partito del governatore.
Prima dell’arrivo della polizia federale Oaxaca viveva già in stato d’assedio. Uomini incappucciati dentro jeep a vetri scuri giocano da giorni al tiro al bersaglio contro le barricate. Fino a ieri il coprifuoco c’era solo di notte, anche se da almeno una settimana sparano ormai pure in pieno sole. Impossibile stabilire il numero dei feriti perché molti si curano nei posti di pronto soccorso volanti. Il movimento denuncia decine di desaparecidos.
L’escalation è cominciata giovedì pomeriggio. I maestri, in sciopero dal 22 maggio, erano riuniti nell’“Hotel magistero” per decidere a quali condizioni riaprire martedì le scuole. C’era anche Bradley “Brad” Will. Filmava. Dalla finestra è entrato un grido: «Esplode, correte via, ci arriva addosso». Un autobus del trasporto pubblico in fiamme, in bilico, in mezzo alla strada. Fernando Ruiz, l’autista, era stato scaricato pochi metri più giù da un gruppo di incappucciati che lo aveva fermato puntandogli un coltello alla gola: «Non ce l’abbiamo con te, basta che ci porti all’hotel magistero e poi scendi». L’autobus si è fermato su un avvallamento prima d’arrivare addosso all’edificio. Un’auto rossa bruciava dall’altro lato dalla strada. Le avevano tolto il freno e poi incendiata. E’ finita sulla parete di una casa a fianco dell’hotel. Nella strada accanto un gruppo di uomini vestiti di nero sparava in aria. Poi è fuggito in un’auto senza targa con i vetri oscurati.
L’assemblea popolare, la Appo, si è sostituita ai maestri nella direzione della rivolta. Gli analisti della sinistra di Città del Messico, corsi fin qui per raccontare “il nuovo Chiapas” (gli zapatisti hanno garantito da tempo disponibilità piena ad appoggiare il movimento) descrivono i maestri del sindacato 22, cellula dissidente dell’elefantiaca organizzazione di categoria degli insegnanti, come «gli intellettuali organici dell’ultima ribellione messicana».
Nei fatti, però, chi decide ogni passo degli insorti sono gli indios della Appo. Loro controllano gli accessi al centro, loro decidono cosa occupare e quando, loro gestiscono la sicurezza. A loro il governo ha offerto ieri, a metà pomeriggio, di sedersi al tavolo della trattativa. «Stiamo per riunirci e decidere cosa fare», ci dice Flavio Sosa, leader politico della Appo venuto a presiedere l’assemblea del Zocalo. La polizia, per ora, è ferma all’aeroporto in un grande spiazzo, a dieci minuti dal centro cittadino.
In città non sono tutti d’accordo con la resistenza ad oltranza. Molta gente è stanca, chi vive del turismo vuole una soluzione, una via d’uscita che faccia tornare i turisti. «Soluciòn ya» imploravano cartelli dalle vetrine dei negozi deserti del centro. Il grosso del commercio però è ambulante. E gli ambulanti stanno tutti con il movimento. «Que se vaya el asasino gobernador», sta scritto sui banchi volanti del Zocalo: dove mentre si aspetta la polizia federale continuano a sventolare surreali festoni di carta, accanto alle tende del pronto soccorso.
Nella cattedrale un doppio cartello spiega la posizione della Chiesa. Che è appena più accorta di quella dei commercianti. Chiede «una soluzione presto», ma non accenna alle condizioni del movimento.
Sotto ogni albero del Zocalo c’è un capannello di persone attorno a radioline portatili. Tutte sintonizzate su Radio universidad, diventata l’unica voce della rivolta da quando il governo ha tolto il segnale alle emittenti occupate dal movimento. Erano undici.
E’ rimasta solo Radio universidad perché si tratta dell’antenna di un ateneo autonomo ed è più difficile per il governo intervenire sul segnale. Le stanno però tagliando l’energia elettrica. E gruppi di incappucciati fanno la ronda attorno alla redazione, chiusa a chiave in un edificio a cinque minuti di auto dal Zocalo.
«Ci servono generatori elettrici - dicono dai microfoni della radio - gas e qualsiasi cosa utile a difenderci. Le linee telefoniche sono saltate, chiamate i cellulari. Resisteremo».
Ruiz è un colonnello del Partito rivoluzionario istituzionale (il Pri), il partito-Stato che ha governato ininterrottamente per 70 anni il Messico prima di essere scavalcato a destra dall’ascesa del Partito d’azione nazionale (Pan) dell’ex dirigente della Coca Cola, Vicente Fox, che a dicembre dovrà passare la presidenza a Felipe Calderon, uomo dell’Opus dei che ha strappato per 300mila voti (e accuse di frodi) l’elezione del 2 luglio all’uomo forte della sinistra Lopez Obrador. A Ruiz il movimento imputa, tra l’altro, di esser stato eletto due anni fa con schede false e di governare al di fuori della legge.
La protesta non è una novità per Oaxaca, dove i maestri scioperano da 26 anni e mai meno di un mese. Questa volta non si è trattato di un braccio di ferro per i salari, tanto che gli insegnanti hanno rifiutato tutte le proposte di aumenti. Il Senato della Repubblica la settimana scorsa è stato chiamato a votare «l’estinzione dei poteri dello Stato». Se l’è cavata con una soluzione paradossale. Ha deciso che a Oaxaca esistono ancora i margini per l’esercizio del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, e che quindi Ulises Ruiz può rimanere al suo posto, ma che la situazione è comunque ingovernabile. Tradotto: via libera alla possibilità di un intervento militare. Che infatti è arrivata puntuale sabato mattina. Perché «gli ultimi fatti accaduti minacciano l’ordine e la pace degli abitanti della città» sta scritto nel comunicato con cui il presidente Fox ha dato agli agenti l’ordine di riprendersi Oaxaca.
Già il 14 giugno scorso era stato tentato lo sgombero. La polizia, quella volta, era quella mandata dal governatore. L’operazione non riuscì. Ulises Ruiz spedì tremila poliziotti, altrettanti agenti in borghese e due elicotteri contro i maestri insorti. Quattro ore di pallottole ad altezza d’uomo e una pioggia incessante di granate. Quel gesto furioso ed inutile fu solo l’ultimo di una serie di scontri armati tra polizia e manifestanti durante la campagna elettorale per le presidenziali. Ad aprile la mobilitazione dei minatori dello stato del Michoacan era stata fermata con l’esercito che aveva lasciato in strada due morti e ottanta feriti. A maggio la protesta dei venditori ambulanti in una delle città satellite di Città del Messico era stata soffocata da un’azione di guerra della polizia, con due morti e un’infinita serie di violenze compreso lo stupro delle donne arrestate. Tutte decisioni prese personalmente da Vicente Fox che ieri ha deciso di fare un bel regalo a Felipe Calderon e gli ha tolto le castagne dal fuoco prima dell’assunzione formale dell’incarico del primo dicembre. L’uomo dell’Opus Dei debutta comunque alla presidenza con le mani già sporche di sangue. Toccherà a lui, capo di stato a metà, contestato da mezzo Paese già prima di insediarsi al governo, decidere cosa fare del sud del Messico. Di nuovo in fiamme.
La storia del pensiero
Subcomandate Marcos
Intervento di Marcos al Coordinamento indigeno peninsulare (www.carta.org)
Compagne e compagni: ringraziamo il Coordinamento indigeno peninsulare e il Congresso nazionale indigeno per averci riservato un posto in questo incontro. Ringraziamo anche i compagni e le compagne di Candelaria, Campeche, per essere la sede dove si trovano e camminano le nostre parole e pensieri. Questa è la nostra parola di indigeni zapatisti quali siamo, che non solo saluta la radice maya che ci unisce ai popoli indigeni che danno dignità ai suoli e cieli in Quintana Roo, Yucatan e Campeche. Ma anche la grande radice che ci rende uno con tutti gli indigeni del nostro paese.
Se prima nel Congresso nazionale indigeno abbiamo trovato la dignità indigena che con differenti lingue, culture e modi, lotta per i nostri diritti, ora nell’Altra Campagna abbiamo trovato altri popoli indigeni e altre compagne e compagni che stanno in basso e a sinistra. La nostra causa come popoli indigeni si mantiene viva e presente grazie, tra altre cose, ai compagni e compagne del Congresso nazionale indigeno, specialmente i popoli indigeni della regione Centro Pacifico.
Con loro siamo entrati in questo nuovo passaggio che cerca di costruire un nuovo modo di fare politica, anticapitalista e di sinistra, di realizzare un programma nazionale di lotta e una nuova costituzione, e che chiamiamo L’Altra Campagna. In questo movimento stiamo imparando a chiamare compagna e compagno l’operaio e l’operaia, il contadino, lo studente, il maestro, la donna, giovane e bambina, l’anziano, il bambino, l’impiegato, l’artista, l’intellettuale, il religioso impegnato, il diverso per la sua preferenza sessuale, il giovane, molte persone defraudate, sfruttate, disprezzate e represse da un sistema che ha fatto del denaro la sua legge e della simulazione la sua dottrina.
Diversi quali siamo, abbiamo trovato un’uguaglianza cercando e trovando il responsabile delle nostre sofferenze: il sistema capitalista. Le nostre singole lotte non si sono perse, sono cresciute non solo perché hanno unito il loro coraggio ad altre, ma anche perché hanno individuato chi è il nemico ed hanno deciso di affrontarlo.
La nostra lotta per la libertà, la giustizia e la democrazia sa che queste non sono possibili nel sistema che si è imposto a ferro e fuoco nel nostro paese.
La libertà che è stata strappata alle nostre compagne e compagni prigionieri di Atenco ed alle centinaia di detenuti e detenute, desaparecidos e perseguitati politici nel nostro paese. La giustizia che viene negata al popolo oaxaqueño che, nell’Assemblea Popolare del Popolo di Oaxaca, chiede l’uscita del malgovernante Ulises Ruiz. La democrazia che si è trasformata in frode e sfacciata burla nelle passate elezioni presidenziali e che sta trasformandosi nella tomba della via elettorale.
Noi che stiamo nell’Altra Campagna cerchiamo di costruire un’altra libertà, un’altra giustizia ed un’altra democrazia. Sappiamo che per questo dobbiamo distruggere il sistema capitalista e cercare, insieme, un altro paese. Nel tragitto, dobbiamo costruire anche il nostro spazio come differenti, difendendo la nostra identità e storia. Come popoli indigeni quali siamo questa costruzione non può essere messa da parte o subordinata. Ha il proprio passo, la propria logica, il proprio destino. Così l’abbiamo visto dentro questo grande movimento, dove alcune persone continuano a non vedere la nostra differenza e quella di altri ed altre, e vogliono imporre la loro visione e le loro decisioni.
Dunque, lontano dai mezzi di comunicazione e dai temi "importanti" per là in alto, dentro L’Altra Campagna continuiamo ad avanzare come popoli indigeni, ci riuniamo, ci troviamo, stringiamo i nostri accordi e continuiamo a costruire un’identità, la nostra, dentro L’Altra Campagna ed il nostro paese.
Anche come zapatisti continuiamo ad aprire il cuore e l’ascolto al pensiero di chi con noi lotta. Senza fare chiasso, il nostro ascolto raccoglie parole da differenti suoli e realtà, ma tutte del basso, di sinistra. Con questo pensiero compagno stiamo preparando i nostri passi successivi. Questo incontro di popoli indigeni, ora nelle terre maya della penisola, è parte di questo processo che stiamo percorrendo. E qui sta la nostra parola.
Nel frattempo in alto il rumore e la fretta dei potenti cercano di imporre un’altra volta un malgovernante, incoronandolo con la menzogna ed il disprezzo.
Nel frattempo si dice e ripete che conta solo lo sguardo e la voce che mira in alto. Nel frattempo si diffonde tra cuori buoni e nobili che niente importa se non si segue il movimento che aspira a stare in alto. Nel frattempo, dappertutto si compra e consuma la menzogna che impedisce lo sguardo critico e l’analisi profonda. Nel frattempo si torna a dimenticare perfino il colore che abbiamo noi che siamo del colore della terra, compresi quelli che dicono di volere il bene di tutti. Nel frattempo là in alto si guardano tra loro e tra loro nessuno ascolta.
In questi tempi di rumore e confusione, la parola che siamo torna a incontrarsi con quelli che sono come noi. Noi, le zapatiste e gli zapatisti dell’Ezln, sappiamo insieme a voi che il domani si ferma nella notte, nel silenzio, nell’ombra. Sappiamo che la grande sostenitrice del mondo, la Ceiba, la madre, ha le sue radici in basso, nel profondo, in quello che non si vede; e che da lì si innalzano e sostengono il mondo ed i cieli che si vedono ed ammirano. Questo è il nostro pensiero.
Il nostro pensiero impiega molto tempo a camminare nel nostro cuore prima di farsi parola e strada che invita ad un destino quelli che in basso sono con noi. E questo nostro modo esaspera molto chi alimenta il rumore in alto. Se non camminiamo alla velocità e nella direzione di quelli che sono in alto, dicono che non esistiamo, che siamo caduti, che siamo morti, che basta, che ci siamo sbagliati, che abbiamo sprecato un’occasione, che abbiamo perso. Ma noi sappiamo che ogni volta che abbiamo camminato al ritmo dell’alto ed abbiamo cercato un posto per la nostra parola tra coloro che sono il Potere o aspirano ad esso attraverso la strada che il Potere stabilisce, abbiamo perso. Sappiamo che non è in alto, né nel tempo né nello spazio, dove troveremo quello che cerchiamo, di cui abbiamo bisogno, che meritiamo.
Abbiamo imparato. Ora sappiamo. È con chi è come noi perché è diverso. In alto ci offrono una strada piena di luci, prestigio, fama, applausi, saluti da chi ha come lavoro il pensiero e la parola. Ma questa strada non porta dove noi vogliamo andare. Se conduce da un’altra parte, perché dovremmo unire il nostro passo a quello di altri, per molti che questi altri siano, sulla strada che tracciano dall’alto?
Abbiamo imparato. Ora sappiamo. Il posto dove il nostro passo troverà libertà, giustizia e democrazia, non esiste. Dobbiamo crearlo. E dobbiamo farlo con altri diversi nel loro dolore e storia, ma resi simili da chi ci deruba ed opprime, chi ci disprezza e sfrutta. E in questo posto deve stare il colore che siamo della terra, col proprio passo, col nostro modo. Compagne e compagni: qui, in queste terre maya, ricordiamo la Ceiba madre e la storia del pensiero che si cela nel suo corpo. E la raccontiamo con le parole di chi fu il nostro capo e che portava nel sangue la dignità degli indigeni maya. Questa è...
La storia del Pensiero
Raccontavano i più vecchi dei nostri antenati, i saggi anziani dei nostri villaggi, che gli dei più grandi, quelli che crearono il mondo e cominciarono a farlo funzionare affinché poi fossimo noi a percorrerlo, avevano lasciato tutto inconcluso. E non perché fossero lazzaroni o perché si fossero distratti nel trambusto della festa.
Questo era il loro piano, perché i mondi finiti e completi sono quelli che impongono dall’alto coloro che hanno reso dio il denaro e sacerdotessa la stupidità umana che di tanto in tanto, come ora, si fa governo con la menzogna. Cosicché furono molte le cose che rimasero in sospeso nel mondo primo che crearono gli dei più antichi, quelli che crearono la strada. Si dice, per esempio, che il pensiero non nacque dagli dei.
Ovvero, il pensiero non nacque così come lo conosciamo ora, ma era solo un seme che rimase lì affinché chiunque lo prendesse e lo facesse nascere e gli desse forma e modo e strada e destino.
E furono molti i pensieri che da allora nacquero. E non solo uno o pochi, ma tanti che come colori dipinsero il mondo nel quale fummo e stiamo. E così c’è, per esempio, il pensiero che solo uno o una è importante, che il collettivo non vale, non conta, che bisogna cercare il bene individuale anche a costo del male collettivo. E questo è il pensiero che ora comanda ed è governo e verità imposti nelle nostre terre indie. E questo è il pensiero che vuole sterminarci per quello che siamo e vuole trasformare in merce la nostra storia, la nostra cultura, la nostra terra, la nostra dignità.
Ma questo pensiero si veste di molti abiti che ingannano, che nascondono il suo inganno. A volte si veste con abiti di libertà, e mente. A volte con l’abito della giustizia, e mente. A volte con manto di democrazia, e mente.
"Uguaglianza" dice quello che sta in alto perché col nostro dolore si arricchisce. E la libertà che promette è quella che vuole per commerciare col nostro sangue. E la giustizia che difende è quella che lo lascia impunito e persegue chi in basso non si arrende. E la democrazia che proclama è quella della rassegnazione di fronte alle diverse facce dello stesso Potere che ci deruba, ci sfrutta, ci disprezza e ci persegue.
Ma ci fu e c’è un altro pensiero. Il pensiero che sa che non sono uguali quello che in alto vive del nostro sangue e quello che in basso fa andare avanti il mondo col suo lavoro. Il pensiero che conosce la storia di lotta che in basso duole. Il pensiero che cerca di costruire un’altra cosa, un altro mondo. Il pensiero che non si rassegna a quello che gli occhi vedono e le orecchie sentono, ma incomincia a guardare ed ascoltare ciò che non appare né ha suono. Il pensiero che anima le nostre compagne e compagni detenuti di Atenco, e col quale resistono all’ingiustizia e all’oblio. Il pensiero che innalzano i nostri compagni e compagne di Oaxaca che lottano per liberarsi dal malgoverno che li opprime. Il pensiero che si fa strada in chi ha fatto suo un nuovo modo di fare politica che non guarda né aspira né sospira all’alto che ci disprezza. Il pensiero per cui come popoli indigeni e come zapatisti dell’EZLN lottiamo.
Compagne e compagni: la leggenda indigena maya che racconta che la Ceiba madre, la sostenitrice del mondo, affonda le sue radici nell’inframondo e su questa forza alza e sostiene i cieli, non guarda solo verso la storia che fummo, guarda anche verso quello che siamo e saremo nel domani che ha il nostro passo e quello di altri.
Come zapatisti, come popoli indigeni di radice maya, come compagne e compagni di lotta, salutiamo le parole e le storie che qui si parlano e si incontrano. E qui diciamo: il domani di libertà, giustizia e democrazia che necessitiamo e meritiamo, avrà il colore che siamo della terra, o non sarà. Ricevete, compagni e compagne, il nostro saluto, il più piccolo del mondo che ora è solo pensiero e passo nell’ombra, ma che già si affaccia ad un’altra alba, una che svesta il mattino da paura e vergogna.
Con i popoli indigeni!
Libertà per le prigioniere e i prigionieri di Atenco! Giustizia per il popolo di Oaxaca! Democrazia per il Messico del Basso! Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Agosto 2006
(Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
Era accusato di aver vinto le elezioni di due mesi fa grazie a brogli elettorali Ora si teme la reazione dei sostenitori del candidato sconfitto Andres Manuel Lopez Obrador
Messico, i giudici hanno deciso
Felipe Calderon è presidente (www.repubblica.it, 05.09.2006)
CITTA’ DEL MESSICO - Il nuovo presidente del Messico è il conservatore Felipe Calderon, il candidato del Partito di Azione nazionale. L’annuncio è stato dato dal Tribunale elettorale federale, i cui sette giudici hanno approvato la decisione, "definitiva e inattaccabile", all’unanimità.
Si chiudono così due mesi di battaglie legali, iniziate dopo le elezioni del 2 luglio scorso. Calderon aveva superato il candidato della sinistra Andres Manuel Lopez Obrador, per circa 233mila voti, pari allo 0,56% del totale. Secondo i suoi avversari politici, la vittoria era il frutto di brogli elettorali.
Per i giudici, però, "le irregolarità ipotizzate non sono state dimostrate". "Il candidato che ha ottenuto più voti è il cittadino Felipe Calderon - ha detto il presidente del tribunale, Leonel Castillo -. L’elezione presidenziale è valida ed è dichiarato presidente eletto del Messico dal primo dicembre 2006 al primo novembre 2012".
La sentenza non sembra però in grado di spegnere le polemiche politiche. Il candidato sconfitto ha già annunciato che non riconoscerà la vittoria di un "presidente illegittimo" e cercherà di formare un governo parallelo.
Ora si teme la reazione dei sostenitori della coalizione di sinistra Per il Bene di Tutti, che da tempo organizzano manifestazioni di protesta e che da oltre un mese bloccano una parte di Città del Messico. Subito dopo l’annuncio, centinaia di manifestanti che appoggiavano Andres Manuel Lopez Obrador hanno cominciato a rumoreggiare all’esterno del tribunale, sorvegliati a vista da ingenti forze dell’ordine.
Il presidente uscente Vicente Fox, esponente dello stesso schieramento di Calderon ed accusato di averlo supportato apertamente violando le leggi che regolano la campagna elettorale, si è complimentato con il vincitore. In un breve messaggio, ha inoltre invitato tutte le forze politiche messicane ad intavolare un proficuo dialogo.
Felipe Calderon, 44 anni, è avvocato ed economista ed è già stato ministro dell’Energia. Nel suo programma ha promesso di dare la priorità ai milioni di messicani poveri. La sua elezione è considerata una buona notizia per gli Stati Uniti. Washington avrà infatti in lui un alleato di grande importanza strategica in America Latina.
(5 settembre 2006)