Firenze, 15 set. (Adnkronos) - E’ morta Oriana Fallaci. La scrittrice e giornalista italiana si è spenta questa notte in un ospedale di Firenze. Aveva 77 anni e da anni soffriva di un male incurabile. I familiari hanno già fatto sapere che la volontà della scrittrice giornalista era di avere esequie in forma strettamente privata, e che loro intendono rispettare questo suo desiderio. Nel più stretto riserbo anche la degenza. Sembra infatti che la giornalista fosse stata ricoverata la scorsa settimana nella casa di cura Santa Chiara, una clinica privata nel centro storico fiorentino, a seguito del progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. Ad assisterla la sorella Paola e un nipote che l’hanno seguita fino all’ultimo momento con un medico di fiducia. Tra le disposizioni da lei impartite, anche quella di togliere il suo nome dalla cartella clinica.
Oriana Fallaci nasce a Firenze il 29 luglio 1929. Giornalista e scrittrice, diventa famosa a livello internazionale per le sue interviste ai potenti del mondo e i suoi reportage, specie di guerra.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, torna alla ribalta con ’La rabbia e l’orgoglio’ rompendo un silenzio di oltre 10 dieci anni. Un lunghissimo articolo pubblicato sul ’Corriere della Sera’, introdotto dall’allora direttore Ferruccio De Bortoli, poi diventato un bestseller con poche modifiche rispetto al testo del quotidiano di via Solferino. Il tono è quello di un pamphlet contro le dittature, il terrorismo, l’estremismo, il fanatismo religioso dell’Islam, ma anche contro la mediocrità dei governanti, le ragioni di real politik per colpa delle quali la società occidentale (in primis l’Europa) non difende più, nel confronto con l’Islam, i valori che la contraddistinguono (molti i richiami al risorgimento, alla resistenza).
Le dure prese di posizione assunte nei confronti dell’Islam e dei suoi fedeli hanno destato accese discussioni tra coloro che ritengono che Oriana Fallaci abbia dato espressione a legittimi timori ampiamente diffusi presso l’opinione pubblica italiana e coloro che invece ritengono che la scrittrice abbia travalicato i limiti della normale polemica letteraria e politica, di fatto esacerbando un dibattito esistente. Non sono mancate denunce alla magistratura, in Italia e all’estero.
Nella sua ultima invettiva, lo scorso 30 maggio 2006, la scrittrice ha attaccato un po’ tutti. Romano Prodi e Silvio Berlusconi, liquidati come ’’due fottuti idioti’’; gli immigranti messicani che manifestano con le bandiere del proprio paese (’’mi disgustano’’); per il presidente venezuelano Ugo Chavez (’’mamma mia’’); per Federico Fellini, di cui non ricorda l’intervista ma che non le piace; per l’olio di oliva fatto in New Jersey.
Ma il suo obiettivo principale erano ancora una volta gli islamici: che non sopporta in generale, perché ’’non credo che esista un Islam buono e uno cattivo’’ e più in particolare perché non vorrebbe vedere mai la moschea che dovrebbe sorgere a Colle Val d’Elsa: ’’E’ vicino casa mia, prendo l’esplosivo e la faccio saltare’’. In questo caso a far parlare Oriana Fallaci, attraverso due colloqui diretti, delle email e soprattutto raccontando nei dettagli la vita di chi ’’per due decenni è stata una delle più pungenti intervistatrici del mondo’’, è stato il ’’New Yorker’’, uno dei più prestigiosi settimanali americani.
Forse Oriana Fallaci è stata la sola persona al mondo in grado di raccogliere una lunga intervista da Oriana Fallaci. La sola persona che la scrittrice ritenga sufficientemente preparata e seria per trasmettere il suo pensiero correttamente, senza travisamenti, senza successivi imbarazzi e querele. E’ nato così nell’estate del 2004 il libro ’Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci’, pubblicato in un volumetto di 126 pagine (costo 4 euro) venduto in abbinamento del ’Corriere della Sera’ il 6 agosto di quell’anno. Il successo fu immediato: un milione di copie.
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Magdi Allam: Oriana «grande Cassandra»
Il ricordo di un’«amicizia complessa» è la storia di copertina del Corriere Magazine in uscita giovedì 21 settembre
«Era l’ottobre 2003. Da New York Oriana mi riservava parole affettuosissime mentre era tutta intenta a scrivere La forza della ragione. Un’amicizia che lei aveva intensamente ricercato, chiamandomi di persona a casa, intrattenendomi per ore al telefono, facendosi scrupolo di non creare problemi a mia moglie, chiedendomi con grande attenzione notizie La copertina del numero in uscita giovedì 21 settembre sui miei figli. Un rapporto intenso alla cui base c’era un’enorme stima che lei aveva deciso di manifestare apertamente».
Comincia così il ricordo che Magdi Allam dedica a Oriana Fallaci e alla «amicizia complessa» che lo legherà alla scrittrice e giornalista fiorentina scomparsa venerdì scorso. Un ricordo che prende avvio da un incontro nella casa nel Chianti, passa da Milano e da un’intervista fatta e cancellata perchè, tra l’altro, la punteggiatura nelle sue risposte non era stata rispettata.
Riportiamo un altro passaggio del testo. Parla la Fallaci: «Puoi accettare la benedizione di un’atea? Dovresti. Secondo me è la benedizione migliore. E non dire mai, mai, mai che ti ho adottato. Potrebbe causarti molto male. Molto. Tanto affetto da quella che io chiamo la Vecchia Signora».
L’articolo di MAgdi Allam è sul numero di Corriere Magazine in edicola domani, giovedì 21 con il Corriere della Sera.
La salma della scrittrice è stata tumulata al cimitero degli Allori al Galluzzo
Oltre ai familiari, Paolo Ermini, l’editore Vallardi e il presidente del Consiglio regionale toscano
Oriana Fallaci sepolta con Fiorino e Corriere
Il nipote: "Volevamo evitare spettacolo"
Molti i cameramen, i fotografi e i giornalisti per la cerimonia funebre
Il regista Zeffirelli: "Era una fiorentinaccia che faceva paura a tutto il mondo"
(www.repubblica.it, 17.09.2006)
FIRENZE - Si sono conclusi al cimitero degli Allori di Firenze i funerali di Oriana Fallaci. La scrittrice e giornalista è stata sepolta con una copia del Corriere della Sera, il Fiorino d’oro a suo tempo conferito dal comune di Firenze a Franco Zeffirelli e tre rose gialle. La cerimonia di tumulazione si è svolta in forma strettamente privata, tuttavia ad accoglierla al cimitero c’erano stamane una cinquantina di persone che stazionavano sul marciapiede di fronte all’ingresso.
La famiglia non ha potuto inoltre evitare la presenza di cameramen, fotografi e giornalisti davanti all’ingresso del cimitero. "Se avesse potuto, Oriana avrebbe evitato questo spettacolo", ha commentato il nipote della giornalista, Edoardo Perazzi.
Perazzi ha poi criticato le manifestazioni di cordoglio di circostanza: "Ci sono state anche molte manifestazioni di affetto tardive, non particolarmente gradite, in quanto anacronistiche e ridicole".
Tra le telefonate giunte ai familiari della Fallaci, il nipote Edoardo ha confermato che ci sono state anche quelle del ministro alla Cultura Francesco Rutelli e di altri esponenti del Governo e della Regione Toscana. "Avevamo avuto richieste anche dal Quirinale - ha detto Edoardo - ma abbiamo invitato tutti a non venire, come lei aveva chiesto".
Davanti alla tomba di famiglia insieme ai familiari, una decina di amici arrivati anche da Roma e da Milano, oltre che i collaboratori più stretti della Fallaci. Tra i presenti oltre a Zeffirelli, amico da sempre della scrittrice, il presidente del consiglio regionale della Toscana Riccardo Nencini, e l’editore Carlo Vallardi.
In segno di protesta alla città di Firenze che da sempre ha negato a Oriana Fallaci il Fiorino d’oro, massima onorificenza della città, Zeffirelli ha deposto sulla tomba quello che lui stesso ha ricevuto. "Firenze è ingrata, il resto di Firenze fa veramente schifo", ha detto Zeffirelli ai giornalisti presenti. E ha aggiunto: "Eravamo amici da sempre, lei era una fiorentinaccia che faceva paura a tutto il mondo". Poi il regista si è soffermato sulla cerimonia: "E’ stata molto bella, così come dovrebbe essere fatta sempre. Sono stati ricordati i momenti lieti della sua vita e ne esco lieto e non depresso. Nessuno piangeva, volevamo esserle vicini senza sofferenza... Poteva aspettare, porca miseria... " ha concluso il regista.
Zeffirelli ha confermato che ci sarà una cerimonia di commemorazione nelle prossime settimane a Firenze. "Abbiamo deciso come cittadini di farle un omaggio da amici fra un mese - ha annunciato il regista - ma non una di quelle cerimonie del cavolo, dove tutti parlano bene del morto. Voglio fare vedere a questi mascalzoni, perchè il mondo non ha bisogno ma i mascalzoni sì, che tutta la città la rimpiange".
(17 settembre 2006)
"Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita... Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano"
(da un’intervista del 1979, di Luciano Simonelli).
VERITA’, GIUSTIZIA, E LIBERTA’: ONORE ALLA ORIANA - LIBERA e SOVRANA CITTADINA ITALIANA, MA NON ALL’ ORIANA ACCECATA E RABBIOSA TALEBANA OCCIDENTALE!!! Una nota di commento all’art. di E. GALLI DELLA LOGGIA *
"Quell’impertinente donna italiana, sfidando un supposto precetto della religione islamica, anticipava simbolicamente le decine e decine-chissà, forse, nel segreto dei loro cuori le migliaia e migliaia - di donne della medesima religione, che approdate nella libera Europa" ... VA BENISSIMO, MA va assolutamente e altrettanto - come per il ’papa’ della religione islamica - malissimo per il papa della "libera" Chiesa cattolico-romana, ove la questione della regalità e del sacerdozio delle donne è ancora tabù, e il riconoscimento dell’uguaglianza delle persone (tra uomo e donna, tra eterosessuale e omosessuale) e della loro dignità è ancora affrontata in modo preistorico e pre-evangelico !!! Cosa c’entra la LIBERA EUROPA, con la Chiesa ’Cattolica’?! Sciogliamo i nostri nodi - solo così potremo dialogare meglio, con gli altri e le altre!!! Distinguiamo: e non buttiamo via il bambino (Gesù - il messaggio evangelico) con l’acqua sporca (il ’cattolicesimo’ - il van-gélo dell’universalimo imperialista-romano)!!! Queste le sfide su cui non possiamo e non dobbiamo mollare - non su altre.... cerchiamo di non fare altrettanto con Oriana - e con noi stessi e con noi stesse!!! E con la nostra Eu-ropa!!!
Federico La Sala __________________________________________________________________________________________________
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Mentre Ratzinger è sotto attacco
A PROPOSITO DI ORIANA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA (www.corriere.it, 17.09.2006)
C’è una forte suggestione simbolica - lo ha già notato ieri Magdi Allam - nella coincidenza tra la morte di Oriana Fallaci e gli attacchi islamici al Papa per il suo discorso di Ratisbona. Una suggestione che appare legata a un episodio preciso accaduto durante una delle celeberrime interviste della Fallaci, quella all’imam Khomeini nel remoto 1979. Quando cioè, di fronte al nuovo padrone dell’Iran che aveva accettato di incontrarla solo a patto che lei si coprisse il capo con il velo, Oriana, giunta alla sua presenza, se lo levò d’impeto dandogli seccamente del «tiranno ». In quel gesto, che si concentrava sul particolare dello chador e ne faceva il centro dello scontro, era anticipato il senso di quanto da lì a non molto sarebbe divenuto il motivo dominante del rapporto difficile tra l’Occidente e l’Islam: l’urto delle mentalità e delle culture, l’urto tra due concezioni antitetiche dell’eguaglianza tra le persone (tra uomo e donna, tra eterosessuale e omosessuale) e della loro dignità.
Quell’impertinente donna italiana, sfidando un supposto precetto della religione islamica, anticipava simbolicamente le decine e decine-chissà, forse, nel segreto dei loro cuori le migliaia e migliaia - di donne della medesima religione, che approdate nella libera Europa sarebbero, un giorno, arrivate in qualche caso a preferire la morte piuttosto che sottostare a obblighi e consuetudini mortificanti per il loro corpo e la loro autonomia. Con l’intuizione di chi per mestiere è chiamata a interpretare i segni dei tempi, la Fallaci capì che lì, su quell’apparentemente innocuo pezzo di stoffa, tra lei e l’imam si giocava una partita importantissima, che era poi la stessa che più tardi si sarebbe giocata tra le due culture: e di quel pezzo di stoffa fece la bandiera da agitare in faccia all’avversario. Capì- a quell’intuizione rimanendo fedele come pochi - che il futuro ci avrebbe sempre più richiesto la consapevolezza irrinunciabile della nostra identità, anche a costo di sfidare l’incomprensione e l’ira dell’altra parte. Sono l’incomprensione e l’ira che oggi si abbattono su Benedetto XVI.
Semplicemente per aver espresso, ha osservato uno studioso come Giovanni Filoramo intervistato dall’Unità, «un giudizio legittimo rispetto a un’altra religione, sulla quale ha dato una valutazione teologica ». Per aver cioè ribadito - oh quale sconvenienza inaudita per un pontefice cattolico! - la propria convinzione circa l’ unicità e superiorità della Cristologia; e che forse c’è qualche differenza tra una fede che pone Dio in una dimensione di arbitrio assoluto e un’altra che invece lo associa intimamente al Logos, alla ragione. I toni irati e intimidatori che oggi si rovesciano sul Papa sono analoghi a quelli levatisi ieri a proposito delle vignette su Maometto o l’altro ieri a proposito dei «Versetti Satanici» di Salman Rushdie. Essi servono solo a confermare quanto sia difficile il rapporto tra la nostra cultura, che tra molte altre cose conosce da secoli, anche in campo religioso, la filologia, la critica dei testi, la discussione libera, e una cultura, invece, che non avendo né larga né lunga esperienza di ciò, scambia tutto permalosissimamente per bestemmia e per offesa. Una cultura che, dando quasi a vedere di non saper rispondere in altro modo, subito minaccia, esige pentimenti, assalta e promette morte. Guai però a farsi spaventare. Ci sono sfide - ci ricorda oggi l’antica staffetta di Giustizia e Libertà Oriana Fallaci - alle quali c’è una sola risposta possibile e ragionevole: «non mollare». (17 settembre 2006)
IRAN: LA SCRITTRICE «NEMICA» DELL’ISLAM È UN FENOMENO LETTERARIO
Leggere Oriana a Teheran:«È il nostro mito»
I libri della Fallaci a ruba tra le iraniane
di Francesca Paci (La Stampa, 15.09.2006)
TEHERAN. «Do you know Oriana Fallaci?». Roz Hakimizadeh ha pronta la stessa insistente domanda ogni volta che le capita di incontrare un’italiana a Teheran: «Conosci Oriana Fallaci?».
Oriana Fallaci diventa un mito in Iran nel 1973, quando, inviata dell’Europeo, intervista lo scià di Persia Pahlevi osando definirlo un tipo «infantile» e contestando la sua attitudine a considerare le donne «accessori graziosi».
Roz aveva allora solo 22 anni: ma ancora oggi che lavora alla redazione politica dell’agenzia di stato Irna, una specie di Pravda della Repubblica Islamica, dove le ultime invettive antislamiche dell’autrice di «La rabbia e l’orgoglio» sono considerate alla stregua dei «Versetti satanici» di Salman Rushdie, tiene fiera sulla scrivania i libri della «giornalista più coraggiosa».
«Ci andò giù duro anche con l’ayatollah Khomeini. E con Gheddafi, con il leader pakistano Ali Bhutto. A Kissinger fece confessare che si sentiva un cow-boy solitario... Bisogna avere fegato per trattare uomini così da pari a pari».
Nella capitale delle donne costrette a celarsi dietro il chador, sia pur vezzosamente aggiustato, Oriana Fallaci occupa un posto speciale accanto alle eroine della rivoluzione femminile che sta guadagnando terreno a spese dei mullah. La prima donna musulmana premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. La scrittrice in esilio Azar Nafisi, il cui romanzo «Leggere Lolita a Teheran» viene fotocopiato clandestinamente e passato di casa in casa per aggirare la censura.
La cartoonist Marjane Satrapi, critica del fondamentalismo religioso dei pasdaran che impongono il velo alle donne e delle leggi alla francese che glielo strappano nelle scuole.
E conta poco che nei suoi ultimi libri, seguiti all’11 settembre 2001, da «La Rabbia e l’Orgoglio» in avanti, la Fallaci condanni i figli di Maometto con un linguaggio considerato «razzista» anche da musulmani progressisti: «Le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Osama bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di San Pietro».
Roz Hakimizadeh è una devota religiosa, prega cinque volte al giorno, sogna il tradizionale pellegrinaggio alla Mecca. Ma le idee politiche o il credo in questo caso non c’entrano: Roz è donna e vive sotto un regime teocratico che discrimina le donne.
E la Fallaci è una che al potere maschile gliele ha sempre cantate chiare, all’epoca dello Scià e dopo la rivoluzione khomeinista.
Maryem e Leyla non erano neppure nate nel 1974, data della prima edizione di «Intervista con la storia», saggio che raccoglie, tra le altre, la conversazione con il leader palestinese Arafat che «berciava e sputava saliva».
Sono studentesse di letteratura contemporanea al primo anno d’università, eppure citano l’incontro della Fallaci con l’ayatollah Khomeini, il 26 settembre 1979, come fossero state presenti: «Aveva chiesto il visto all’ambasciata con le unghie laccate, ti rendi conto? E poi portava i blue jeans...».
Loro che vivono lo smalto come un traguardo raggiunto solo durante l’era riformista di Khatami, hanno letto «Intervista con la storia» e «Insciallah».
Testi permessi a Teheran, almeno finora. Shirin Samii, titolare della libreria e casa editrice Ketab Sara, conferma la Fallaci-mania: «I suoi libri vanno benissimo. Sono tradotti in farsi, ma ne vendiamo tanti anche in inglese».
Sugli scaffali in legno chiaro, accanto al Corano, c’è l’edizione economica di «Lettera ad un bambino mai nato». Basta domandare in giro per verificare.
Azzadeh Assaran vorrebbe essere una giornalista coraggiosa. E lo è: bella, intelligente, femminista, di sinistra, si occupa di politica e diritti delle donne. Fa un lavoro che le rende 200 euro al mese e la mette nel mirino della polizia religiosa.
Indovinate chi è il suo modello professionale? «La Fallaci. Perché, voi giornaliste italiane avete altri idoli?».
Tra le fans della scrittrice c’è anche l’attrice Manja Rakbari, protagonista del film di Abbas Kiarostami «Dieci», donna in carriera e tutt’altro che politicizzata.
Una che, con due divorzi sulle spalle a soli trent’anni, si rifiuta d’essere definita femminista perché «sono un’artista e le etichette limitano l’arte», non crede nel futuro dei suoi connazionali che «si sono abituati a questa schizofrenia tra pubblico e privato e non cambieranno presto», rifiuta qualsiasi ideale al di là della vita, «mia unica maestra».
Ma su Oriana Fallaci si lascia andare: «E’ una tipa tostissima. Magari avercene di più come lei».
Secondo Roz Hakimizadeh un’altra ci sarebbe: «Condoleezza Rice. Hai visto come mette in riga i capi di Stato?».
Dopo la scomparsa della scrittrice: due parole su alcuni argomenti del giorno
MARIO PANCERA INTERVISTA SE STESSO
Anche lei come Oriana Fallaci? No, gli stessi temi, ma opinioni diverse. La pace, i fascismi, il fanatismo. Ma soprattutto l’uomo e la libertà di pensare. Discutiamone
di Mario Pancera *
Oriana Fallaci era una giornalista e una scrittrice di grande personalità, l’aggettivo non le regala nulla. Era famosa non solo per la sua bravura, ma anche per le sue idee. Un paio d’anni fa ha scritto un libro intervistando se stessa. Lei crede di potersi mettere sullo stesso piano?
«No. Mi addolora che ci abbia lasciato. Leggevo i suoi articoli e ho letto alcuni suoi libri. Abbiamo lavorato nella stessa casa editrice, io al settimanale “Oggi” e lei all’“Europeo”, ma l’ho incontrata solo una volta. Era sempre in viaggio. Ricordo che quando tornava a Milano, alla Rizzoli, sul nostro corridoio c’era sempre un grande movimento, aveva una personalità non comune. Si sapeva che c’era “la Fallaci”, era una figura che aveva idee e le sapeva imporre».
E allora, ha un senso che lei si autointervisti pubblicamente?
«Sì. Tutti abbiamo diritto di parlare e di scrivere, si tratta di vedere se, avendo qualcosa da dire, si trova un editore. Oriana Fallaci ha usato tutti i mezzi leciti a sua disposizione per divulgare le sue idee. Dovrebbero farlo più persone».
Ma lei ha, come la Fallaci, qualcosa da dire?
«Sì, qualcosa di molto diverso. La Fallaci era su un altro piano, ha pubblicato una «Trilogia» e l’«Apocalisse»; ha attraversato per lavoro tutto il mondo e mezzo secolo della nostra società: poteva permettersi queste cose. Ha pure scritto la storia di un bambino mai nato, un grande libro, di grandi sentimenti. Lo ricordo come un libro d’amore. Nei suoi ultimi libri, a mio parere, ci sono invece pagine di odio che io non accetto e, per la stima che avevo di lei, mi rattristano. Mi ricordano il primo fascismo».
Il primo fascismo?
«Sì, quando il motto principale era “Credere, obbedire, combattere”, forse più stupido che cattivo, ma incitante all’unità del partito fascista sotto uno stesso capo, con la stessa sottomissione e tutti pronti a uccidere chi non era d’accordo».
Proprio a uccidere?
«Sì. Un altro motto di quel capo, Benito Mussolini, era: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi”. Era un motto di vendetta, di morte. Il fascismo era un partito nazionalista, che odiava chi la pensava diversamente. I revisionisti della storia italiana del Novecento l’hanno messo da parte. A ben vedere i terrorismi di destra del dopoguerra nascono da queste sciocchezze prese alla lettera».
Dallo sport
all’uniforme
Eppure, visto oggi, sembrava un partito sportivo, amante dell’aria libera; ha dato ordine alla scuola, ha portato a scuola molti ragazzi. Ha perfino inventato i ludi juveniles per gli studenti.
«Certo, organizzava gli sport, ma a fini militari. Dedicava il sabato pomeriggio allo sport e lo chiamava il sabato fascista. Dopo la quinta elementare o poco più, i ragazzi facevano la ginnastica premilitare, cioè venivano intruppati come i soldati in attesa di essere chiamati di leva per fare i soldati davvero. Si indossava l’uniforme fin dall’asilo. Quanto alla scuola, la riforma Gentile è stata un’ottima riforma, lo dicono tutti, ma era una riforma classista. Forse non si poteva fare di meglio, ma le cose stanno così. Quanto al resto, era un partito cupo, lo si vede anche dai richiami storici, dalle divise e dagli emblemi, teschi e bandiere nere. Perfino le sue canzoni e l’arte erano cupe. La sua storia era di continuo riferita a Giulio Cesare, un generale ucciso perché i suoi avversari pensavano che volesse imporre a Roma la sua dittatura. In questo, purtroppo (perché un assassinio è sempre un assassinio), la sorte si è ripetuta. Prima di riottenere, nel 1945, la democrazia si sono avuti rivolgimenti che è meglio dimenticare: sul piano umano, naturalmente, non su quello storico. Dalla storia abbiamo sempre da imparare».
Cita le canzoni, ma ce n’è una che dice «Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza» e così via: non sembra affatto cupa.
«Perché si ricorda sempre soltanto il ritornello. Questo è un inno degli arditi, che precedettero i fascisti, e poi aderirono in massa al fascismo. Comincia così: «Del pugnale il fiero lampo, della bomba il gran fragore, tutti avanti, tutti al campo, là si vince oppur si muore». È un inno all’omicidio-suicidio, un vero inno terroristico: tra l’altro vi si esalta il gesto di Felice Orsini che attentò alla vita di Napoleone III. Il pugnale, le bombe, il sangue ricorrono spesso nel patriottismo fascista. Basta leggere i libri del tempo».
E c’è un secondo fascismo?
«Siamo nel Duemila e molte cose sono cambiate, ma la sostanza di molte persone è la stessa dei padri o dei nonni. È un fenomeno naturale, i fascisti di seconda generazione lo negano e i ciechi non lo vedono, ma le vecchie idee sono tornate. Invece di un solo egoismo, ce ne sono tanti. Tutti vogliono per sé e negano per gli altri. È per questo che nascono le associazioni di volontari, aumenta il numero di coloro che si offrono come volontari per aiutare la società, alleviare i dolori di poveri, vecchi, malati, immigrati e così via. Tutti questi sono antifascisti. Forse non lo sanno, ma è così. La generosità è il contrario dell’odio».
Che cosa è «cambiato»
nel Duemila
In questi anni, tuttavia, in Italia ondate di ripensamenti hanno a tratti coinvolto tutto il paese, e molti che dovrebbero preoccuparsi non se ne preoccupano. Anzi, più di uno si accoda ai revisionisti della storia contemporanea e della società forse convinto di essere stato nell’errore fino a ieri.
«Chi non si preoccupa non conosce la storia. Chi si accoda al revisionismo (stiamo usando una parola che un tempo faceva parte di un vocabolario particolare, ma oggi è usata da tutti), arrivando addirittura a negare l’importanza delle proprie radici non ha studiato abbastanza o è un opportunista: spera di ottenere consensi seguendo la direzione del vento politico. Si guardino le sigle e i nomi di ieri e di oggi: riflettono le stesse inclinazioni. Il primo fascismo è finito con la Repubblica sociale italiana, Rsi; è risuscitato con il Movimento sociale italiano, Msi. Un parlamentare cattolico ha detto tempo fa che l’antifascismo è un patrimonio di tutti. È una sciocchezza dannosa: non si possono considerare uguali i fascisti e gli antifascisti. Gli ideali fascisti non sono antifascisti. È un danno anche per la chiesa, il fascismo è sempre stato nemico della chiesa cattolica. Se ne serviva, questo sì, ma sui libri di testo delle scuole elementari negli anni Trenta si presentava il Natale come una leggenda cristiana e la Pasqua come un rintoccar di campane e garrire di rondini. Era il tentativo della dittatura di sradicare la religione fin dai primi anni di età, di soffocare lo spirito».
Poi però il fascismo è cambiato, ha perfino cambiato il nome e la sigla.
«No, il primo fascismo si chiamava Partito nazionale fascista, le varie trasformazioni hanno prodotto Alleanza nazionale. Che cosa c’è di cambiato? Manca solo, per evidente opportunità politica, il secondo aggettivo».
Forse i revisionisti degli altri partiti cercano soltanto voti.
«Per che farne? Per governare? Chi può fidarsi degli opportunisti? Non si può essere nello stesso tempo fascisti e antifascisti, stare con i venditori di fumo e con i truffati: è vero che molti elettori credono ciecamente ai mass media e a chi ha la faccia giovane e sempre sorridente, ma è altrettanto vero che, oltre a vendere chiacchiere, con la parola si possono divulgare le idee. Importante è possedere gli strumenti e avere la libertà di usarli. Tuttavia, in Italia, molti che hanno le idee non possiedono gli strumenti o, sembrerà assurdo, ma lo ritengo molto vicino alla verità, hanno paura a esprimersi. Questa mancanza di libertà è il risultato del fascismo. Si naviga in un mare di opportunismo, da qui al rozzo menefreghismo (ben contrario del ”I care” sostenuto da don Milani), alla disaffezione elettorale, al qualunquismo, alla fuga dal voto, il passo è breve e molto grave se non mortale per la democrazia.
Allora è d’accordo con chi vorrebbe dare al popolo il potere di eleggere direttamente i vertici dello stato?
«No, il popolo è multiforme: deve eleggere chi è più preparato e dà le maggiori garanzie per scrivere le leggi, superare le vecchie, farne di nuove e farle rispettare nell’interesse di tutta la società. Tocca a questi, cioè al Parlamento, scegliere, se possibile, il più adatto alla carica: un uomo di prestigio per onestà, intelligenza e studi. Se il contadino X., direttamente o attraverso i suoi familiari e gli amici, con la forza di leggi che egli stesso avesse fatto approvare, possedesse miliardi, giornali e televisioni verrebbe eletto presidente della repubblica. Si veda la prudenza della Chiesa. La violenza del denaro non è la forza della democrazia. Del resto, la frase “Tutto il potere al popolo” è stata sempre usata per instaurare le dittature. ».
Quando gli italiani
votavano per una scarpa
E l’opposizione?
«Un abile predicatore o un venditore tv non ha alcuna difficoltà a mettere all’angolo anche il più onesto e saggio uomo di legge o di economia: raccoglie migliaia di sostenitori. Lo vediamo, appunto, anche nelle maggiori democrazie. Se si vuole X oppure Y alla presidenza della repubblica, basta gridare che il popolo è sovrano e dirgli che deve votare direttamente il suo beniamino. Gli si fa credere che è libero, mentre viene trattato come una gallina nella stia. Cinquant’anni fa, a Napoli, i cittadini votavano per il comandante Lauro sindaco, perché questi distribuiva spaghetti e scarpe spaiate, non perché sapevano realmente chi fosse: credevano al denaro e pensavano che il mondo fosse Bengodi. Al posto di un silenzioso Einaudi oggi potrebbe essere eletto un faccendiere. Ce ne sono in tutti i partiti. In questo senso il popolo non è sovrano. I fatti sono qui a dimostrarlo».
Molti dicono che, in Irak, oggi siamo in guerra, altri sostengono che siamo in missione di pace, che esportiamo democrazia, costruiamo ospedali, scuole e insegniamo agli iracheni ad apprezzare la libertà. Che cosa pensa della guerra? Ha anche lei paura dell’Islam?
«Gli ospedali, le scuole, le case li costruiscono i muratori. I militari fanno un altro mestiere. I giornali pubblicano che la guerra è già costata migliaia di miliardi di euro e che sono morte decine di migliaia di persone, uomini, donne, bambini. Falluja non l’hanno distrutta i muratori e nemmeno i contadini: questi, al massimo, prendono le armi per difendersi, non per andare a distruggere case e scuole degli altri. Per farlo devono essere comandati, avvelenati dal fanatismo o ingaggiati col denaro. Per questo da un lato ci sono i kamikaze, dall’altro i professionisti. C’è chi ha paura dell’Islam, chi degli ebrei, chi dei cristiani: perciò gli uomini si sono divisi in tante confessioni religiose. Penso che si debba aver paura del fanatismo, della superstizione, dell’ignoranza, della sete di potere, che si trovano ovunque e ovunque possono generare violenza. Quanto alla guerra, sono fermo al quinto comandamento, è vecchio, ma funziona. C’è più umanità in queste due parole, «Non uccidere», che in milioni di discorsi politici».
Oggi l’esercito italiano è costituito da militari professionisti, il paese si è messo al passo con i tempi, che cosa ne pensa?
«Da laico penso all’ordinario e ai cappellani militari, a quello che hanno insegnato i vari Mazzolari, Milani, Balducci e altri sacerdoti. Mi domando se, come un tempo venivano giustificati affermando che seguivano gli sventurati che davano il loro sangue per la patria, cioè per la legittima difesa della loro terra, della famiglia, dell’avvenire dei loro figli, oggi qualcuno dirà che i sacerdoti seguono i professionisti della guerra perché abbiano il viatico se muoiono e il conforto della fede se restano feriti. Può darsi che ci siano anche altre risposte, ma toccano ai vertici della chiesa, alla Cei oppure allo stesso pontefice. Per quel che mi riguarda, ero contrario alla presenza negli eserciti dei sacerdoti, in via ufficiale, fin da prima. Oggi la situazione è ancora peggiore. La non presenza del sacerdote è una denuncia dei cristiani contro la morte, non un’assenza di Dio al fianco dell’uomo che soffre. È un parere personale. Fin che dura la guerra in Irak io farei suonare a stormo tutte le campane delle chiese, ogni mattina all’ora dell’inizio del lavoro».
Romero: «Il silenzio
è peccato»
Tutti diranno che lei esagera.
«Guardi, tempo addietro sono stato alla Fondazione Lazzati, che è accanto a una chiesetta in largo Corsia dei servi, a Milano. C’era un convegno e alcune persone, dopo la messa, parlavano gravemente. A venti metri, davanti a un negozio di abbigliamento, dormivano, per terra tra cartoni e giornali, tre uomini. Non quelli che qui chiamano volgarmente barboni, ma all’apparenza extracomunitari, senza famiglia, senza lavoro. Non basta, all’ingresso del convegno ho preso in mano il periodico «Appunti» dell’associazione Città dell’uomo (la Provvidenza non mi poteva presentare occasione più efficace) su cui ho trovato queste parole: “Dobbiamo sentire che ogni morto è una vita umana, una violazione della dignità e del diritto degli uomini. Non diventiamo indifferenti, chiediamo a Dio di non renderci insensibili, per non fare peccato grave con il nostro silenzio, fino a farci complici dell’ambiente in cui viviamo”. Sono del vescovo Oscar Romero, poi è stato assassinato: “Non diventiamo indifferenti, non facciamo peccato grave col nostro silenzio, non diventiamo complici”. Esagerava. Per chi non conosce il nome di Lazzati, ricordo che era un professore universitario, antifascista, scampato da un Lager nazista. E dall’altra parte, evidentemente, nessuno può dimenticare i gulag sovietici: milioni di morti per una dittatura disumana».
Che cosa pensa di «Oil for food»?
«È una bestemmia, chiedere petrolio per il proprio benessere in cambio di cibo per la sopravvivenza è come chiedere: o la borsa o la vita. Ma ci pensa? Con il petrolio alimentiamo il lusso e le armi, con cui andiamo a colonizzare proprio coloro che lo cedono per non morire. Significa creare l’odio in intere generazioni, dall’odio nasce la vendetta. È peggio che appostarsi tra gli alberi per assaltare una diligenza, quello è un delitto contro cinque o sei persone, questo è un crimine contro l’umanità. Non intendo offendere nessuno, ma mi pare che il resto siano chiacchiere o, peggio, consapevoli menzogne.
Ci sono altre cose da dire?
«Moltissime, ma ora tocca agli altri lettori, di qualsiasi tendenza ma che si sentono veramente liberi, di intervistarsi. Per parte mia ricorderò due preti. Diceva don Zeno Saltini, l’ideatore di Nomadelfia, durante i governi democristiani di Alcide De Gasperi: “È un governo cristiano quello che lascia maneggiare miliardi agli speculatori?”; e don Primo Mazzolari (un sacerdote, non un arruffapopoli) citando il Vangelo: “Adesso chi non ha la spada venda il mantello e ne comperi una”. La spada delle idee, naturalmente.
Mario Pancera
* www.ildialogo.org, Sabato, 16 settembre 2006
L’Islam, il Papa e la forza della Fallaci
Qualcuno vuole conquistarci, soggiogare le nostre nazioni ed estirpare tutti i nostri diritti e valori. Non è un’opinione, ma una certezza, una promessa, una minaccia. Ribadita recentemente dal leader in carica di uno dei Paesi islamici più grandi e potenti al mondo, l’Iran. Il presidente Ahmadinejad ha infatti affermato in una trasmissione sulla TV di Stato iraniana che non c’è «arte più bella, più divina, più eterna dell’arte del martirio [...], una nazione con il martirio non conosce cattività», e ha proseguito dicendo che «a Dio piacendo, l’Islam cosa conquisterà? Conquisterà tutte le vette di tutte le montagne del mondo».
Chi cerca il nostro annientamento non sarà il mondo islamico in toto ma, se è vero che il 90% dei terroristi attentatori è islamico, la questione è certamente un problema interno all’Islam, come ci spiega con cognizione di causa Magdi Allam. Per una persona normale che legge la vicenda sullo sfondo degli attacchi terroristi e degli innumerevoli proclami di morte e distruzione lanciati dai luogotenenti di Al Qaeda, la questione non dovrebbe essere di difficile interpretazione. Parte del mondo islamico, aizzato e indottrinato dall’estremismo wahhabita, vuole conquistare l’Occidente. E una altra è con questa connivente, non piazza le bombe, ma neanche condanna chi lo fa.
L’esegesi dei fatti è quasi immediata. E l’Europa cosa fa per difendersi? Per avere una vaga idea della «geniale» strategia intrapresa basta pensare ad alcuni fatti significatici. Alla decisione, in primis, di sostituire il simbolo della Croce Rossa con un cristallo rosso: non sia mai che l’emblema della misericordia di Dio per gli uomini possa turbare Allah [...]
Per fortuna esistono ancora persone libere che spezzano il vincolo dell’omertà. Ponendo un freno all’iperbole di assurdità che ci tocca vedere. Una di queste persone è Oriana Fallaci, che imperterrita sembra ormai tra i pochi superstiti che rispettano ancora il vetusto criterio scolastico dell’«adeguatio rei et intellectus», che dice cioè «le cose come stanno». Come domenica scorsa quando, nell’intervista apparsa su Libero, ha dato la sua opinione sull’immigrazione islamica, sul compito di Benedetto XVI e sul Corano. Certo fra non molto si leveranno una miriade di polemiche tra i benpensanti, inorriditi da una Fallaci che dalle pagine di Libero ha tuonato contro un’Europa che arretra ossequiosa di fronte ad una «mezzaluna» che vuole schiacciarla. E che per farlo ha scelto la strategia dell’invasione, anzi l’ha ormai attuata. Sono state spalancate le porte a chi ci vuole circoncidere e infibulare, abbiamo permesso a 40.000 terroristi di venire a vivere in casa nostra in forza, dice la Fallaci, «della pietà e del pluriculturalismo, della civiltà e del modernismo». E’ ormai tardi per tornare indietro, per cacciare chi usa dei nostri diritti come strada per dominarci.
Ma ciò non significa che non rimanga niente da fare. Per questo manifesteranno la loro indignazione anche i vari intellettuali che ci insegnano da «veri laici» che gli uomini sono divisi in morali, amorali e immorali. Perché la Fallaci, dall’alto del suo irriducibile laicismo, del suo viscerale e toscano anticlericalismo, spera che quel vuoto creato da una sinistra che si è alleata con il nemico, da un laicismo che «nei riguardi dell’Islam ha perso il suo treno», sia riempito dal Papa. Proprio da quel Papa che nelle giornate tormentate dall’«alieno» che la consuma, lei dice, la fa sentire meno sola. Quel Papa che sente tanto vicino perché autorevole espressione e massimo interprete di quel Cristianesimo con cui Oriana, pur senza possedere la grazia della fede, riconosce una comunanza esistenziale, che sa essere una radice dalla quale «non può, non deve e non vuole prescindere».
La vicinanza che la Fallaci avverte con Papa Ratzinger sta nel riconoscere un punto di sintesi che accomuna entrambi, la «forza della ragione», come notò mons. Fisichella in un’intervista al Corriere della Sera. E’ la stessa facoltà che ha spinto Benedetto XVI a chiedere a chi non crede di provare a vivere assumendo come vera l’ipotesi dell’esistenza di Dio, ipotesi che Oriana Fallaci ha preso in considerazione tanto da raccomandare a tutti di farci almeno una «pensatina». E’ interessante infine come la giornalista individui chiaramente l’origine di tutti i mali nel Corano stesso, nella struttura stessa dell’Islam, che per quattordici secoli non ha fatto altro che «scatenar guerre ossia conquistare e sottomettere e massacrare». Forse a qualcuno potrà sembrare eccessivo tutto ciò, opinabile, discutibile. Ma alla Fallaci, per la sua onestà intellettuale, gli «eccessi» glieli perdoniamo.
Quello che conta davvero è il suo continuo e libero esercizio della ragione. Che la conduce a scrollarsi di dosso la paura e la convinzione ormai dogmatica che dell’Islam non si possa dire alcunché di male per dar seguito ad una falsa idea di rispetto. Che la porta, lei atea, a condividere in tutto il giudizio di Papa Benedetto XVI sullo smarrimento dell’Occidente come conseguenza della perdita dei valori cristiani, tanto da dichiararsi una «atea cristiana». Di fronte all’imperante dilagare del pollitically correct, all’ambiguità di una sinistra antioccidentale, all’annichilimento fisico e culturale della nostra società, si può solo sperare che persone come la Fallaci continuino a emergere e fungere da monito per chi ancora spassionatamente e lealmente vuole ricercare la verità.
di Paolo Nessi