Guerra, sempre assurda!!!

SHIRIN EBADI, Nobel PER LA PACE. Un’intervista intorno ai temi del suo libro: "IL MIO IRAN".

domenica 15 ottobre 2006.
 

INTERVISTA

«Non conviene a nessuno creare un altro Iraq in Iran, pagherebbero solo i poveri». Parla Shirin Ebadi, Nobel per la pace

Islam: spegnete i fuochi di guerra

«I capi di Stato discutono tra loro a porte chiuse, invece il dialogo va portato tra la gente: quando si combatte sono i suoi figli a morire, per questo i popoli devono parlarsi»

Da Roma Paola Springhetti (Avvenire, 20.09.2006)

«Il Papa ha spiegato chiaramente che non intendeva offendere né Maometto né l’islam. Per me l’equivoco è stato chiarito, la storia finisce qui. Anzi, credo sia un dovere di voi giornalisti contribuire a spegnere questi fuochi». Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003, non ha voglia di parlare dell’equivoco che ha causato focose reazioni in molti Paesi musulmani. È in Italia per presentare il libro in cui racconta la sua autobiografia di donna magistrato, cui la rivoluzione di Khomeini ha tolto il lavoro e i diritti, ma che non per questo si è rassegnata, cominciando anzi una battaglia per i diritti delle persone, e in particolare delle donne, nella convinzione che, se correttamente interpretato, il Corano non è affatto inconciliabile con la libertà, la pace e il rispetto dei diritti (il titolo è Il mio Iran, Sperling & Kupfer, pp. 294, euro 17). Ed è di questo che ha voglia di parlare, della battaglia non ha mai abbandonato nonostante le minacce di morte e la prigione, e della convinzione che un dialogo tra Occidente e Oriente sia possibile, nonostante le difficoltà e le incomprensioni. «I capi di Stato parlano tra loro a porte chiuse, così come i capi religiosi. Invece il dialogo va portato tra la gente, e il miglior posto per farlo è l’università».

Quella di Teheran è sempre stata un luogo di fermenti culturali, ma a parte gli studenti, che periodicamente scendono in piazza a manifestare, c’è una società civile pronta al dialogo?

«Il popolo è per il dialogo. Con le altre donne vincitrici del premio Nobel abbiamo dato vita alla Women Nobel Iniziative, che ha sede ad Ottawa. Tra l’altro abbiamo organizzato un incontro tra 5 ong americane e 5 iraniane, a maggio in Austria. Per tre giorni hanno discusso di come ristabilire una comunicazione tra gli Usa e il mio Paese. Quando scoppia una guerra sono i figli del popolo ad essere uccisi, non i figli del presidente, ed è il popolo che paga le spese. Per questo sono i popoli che devono decidere della pace e della g uerra, e per questo i popoli devono parlarsi».

Da quando è diventato presidente Ahmadinejad, la situazione è migliorata o è peggiorata?

«La censura è più forte: molti siti internet sono filtrati, alcuni giornali sono stati chiusi, altri hanno subito attentati. Ed è strano che quando viene attaccato un giornale nessun colpevole venga mai arrestato».

Qualche settimana fa anche la sua Fondazione per i Diritti umani è stata dichiarata illegale.

«Ho creato il centro 6 anni fa con altri avvocati: offriamo il patrocinio gratuito ai prigionieri politici (che sono il 70% dei carcerati); aiutiamo le famiglie; ogni tre mesi presentiamo alla stampa alcuni casi particolarmente significativi. Ci hanno accusato di fare un’attività illegale perché la Fondazione non è registrata. Ma noi abbiamo tutti i requisiti: sono loro che non ci registrano, né ci danno un rifiuto scritto. Dunque, noi andiamo avanti, perché sono loro ad essere nell’illegalità».

Crede che il suo Paese voglia davvero continuare sulla strada del nucleare fino ad avere la bomba atomica?

«Non rappresento il governo, né conosco quello che si dicono a porte chiuse. So però che nessun Paese al mondo ha bisogno della bomba atomica, e che anzi bisognerebbe distruggere tutte quelle che ci sono, in Pakistan, in America, in Israele, ovunque siano».

Eppure, se su questo tema non si troverà un accordo, che per ora sembra lontano, si rischia un nuovo conflitto.

«Un attacco militare all’Iran avrebbe conseguenze gravissime su tutta la zona: non credo sia conveniente creare un altro Iraq. Le sanzioni economiche non distruggerebbero l’Iran, perché ha abbastanza petrolio per sopravvivere, e perché probabilmente Cina e Russia aggirerebbero le sanzioni. Pagherebbero solo i poveri, che diventerebbero ancora più poveri. C’è un’unica strada percorribile, ed è quella del dialogo».

Nel campo dei diritti delle donne, sono stati fatti passi avanti nel suo Paese?

«Le leggi devono andare d’accordo con la situazione sociale del Paese, e invece in Iraq sono rimaste indietro. Anche se il 65% degli studenti universitari sono donne, e perfino Ahmadinejad, che rappresenta i nostri integralisti, ha un vicepresidente donna, le leggi restano profondamente discriminatorie. La vita di una donna vale la metà di quella di un uomo, ed è ancora possibile per un uomo avere 4 mogli. Però c’è un movimento femminista molto forte, che negli ultimi anni ha ottenuto dei risultati, sul piano legislativo. Ma vogliamo molto di più. Abbiamo avviato una raccolta di firme per chiedere l’eliminazione di tutte le discriminazioni. Vogliamo raccoglierne un milione, di donne e di uomini, e andiamo a cercarle bussando porta a porta, e raggiungendo anche i villaggi più sperduti».

Dopo che le hanno conferito il Nobel, è più libera di lavorare?

«Recentemente mi hanno nuovamente minacciata di arresto. Vengo dall’America, dove giorni fa mi hanno conferito una laurea honoris causa. È la ventesima che ricevo, da Paesi europei, dall’Australia, dalla Turchia, dagli Usa. Ma quando mi hanno dato il Nobel, l’università dove mi sono laureata, a Teheran, ha proibito agli studenti di festeggiare. Lavorare per i diritti umani in Iran non è facile, ma non smetto».


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