Politica

La giunta dei miracoli: il ritorno dell’Innominabile nominato

L’insipido commento d’un prevedibile dramma
mercoledì 11 maggio 2005.
 

Rabbia, solo rabbia e terrorismo. Convivono, infatti, a San Giovanni in Fiore, ma hanno sorgenti e sbocchi diversi. Quale diritto, qui, lì, se non subordinato alla passiva accettazione dello statu quo e compresso, limitato, ridotto nella forma e nella sostanza? «È il sistema, non abbiamo strutture né personale competente», la dichiarazione svogliata d’un operatore nella sanità pubblica, rispetto a una legittima e sacrosanta richiesta di normalità. Quale professionista si cura tra le mura, potendo spendere molto per tranquillizzarsi in un ambiente forse asettico e grigio, al Nord, ma certamente professionale ed efficace, anzi, produttivo? Sul primo numero della Voce, riportammo un’intervista con Ettore Vitali, primario di cardiochirurgia al Niguarda. Il professore tirò fuori questioni di umanità del medico e difficoltà nelle scelte, nonostante i progressi della chirurgia e della medicina in generale. Ne derivammo una figura, la sua, di persona che s’interroga costantemente sul proprio operato, alla ricerca d’una crescita soprattutto interiore. Il punto sta proprio qui. Il Sud è sempre stato luogo di meditazione, riflessione, sapere, saper vivere. Oggi è, invece, purtroppo, regione dell’indecenza, della mafia, del terrorismo e dell’ostinazione; oltre che, ovviamente, universo di suoni, colori, culture e prospettive. La città di Gioacchino non si sottrae a questa realtà, benché si meni vanto, in modo ipocrita e patetico, riguardo alla sua salubrità, a livello sociale, etico, culturale. Abbiamo sentito troppe parole, fino a oggi: piene di vuoti e lontane dal quotidiano, dal vero. Basta con le omelie per strada, coi buoni propositi, le ricette e i progetti per cambiare e risalire dal fondo. Basta con le bugie e le identità politiche costruite sul momento, appoggiate sui paludosi terreni del vecchio affarismo della mafia bianca - quella che non mura, scioglie, spara, infossa ma organizza matrimoni e alleanze per seguitare nell’irregolarità e ricavare i più grassi profitti. La nuova giunta comunale, con Aldo Orlando, Pierino Lopez, Attilio Mascaro, Antonio Perri, Giuseppe Lammirato, Antonio Tiano e Giovanni Spadafora, è l’espressione del sistema di sempre che si consolida e procede per la sua via, come nulla fosse, nonostante la domanda, disperata, di giustizia sociale, rivitalizzazione culturale e partecipazione della società civile. Eppure, il sindaco, Antonio Nicoletti, aveva detto, in campagna elettorale, che avrebbe dato una sterzata con riconoscibili segnali di innovazione, già a partire dall’esecutivo. Mi dispiace tanto per Antonio, che riconosco sempre come amico fraterno ma che, in quanto giornalista e pensatore, debbo valutare, già dalle sue prime mosse, in termini non positivi. Intanto, anche se Gianni Vattimo ha avuto, nel periodo elettorale, un atteggiamento assai critico verso la sinistra tradizionale, poteva essere interpellato, ad esempio, per l’assessorato alla cultura. Vogliamo o non vogliamo riqualificare la nostra città? Vattimo fu preferito da Pareyson a Umberto Eco; allievo e collaboratore di Hans-Georg Gadamer, ha tenuto lezioni con Habermas e gira per il mondo assieme a Soares e da solo, promuovendo le lingue neolatine e un pensiero della verità nel dialogo - non nel diavolo - da lui concepito. Aldo Orlando ha fallito clamorosamente come delegato al turismo e allo spettacolo. Perché squalificare San Giovanni in Fiore, ritenendo i suoi cittadini impreparati a un’evoluzione, anche economica, che cominci dallo spettacolo o dalla cultura? Orlando, bontà sua, non era affatto competente nelle materie assegnategli e si è reso protagonista di decisioni, nel merito, assolutamente scriteriate e stridenti con ogni logica di buona amministrazione. Per sua stessa ammissione, il suo principio ispiratore era quello per cui «vanno accontentati un po’ tutti». Soprattutto lui, che ha gusti monotoni e gestiva un negozio di musica basato sulla dance. Sicché, per la regola, spesso ecclesiastica, del promoveatur ut amoveatur, i partiti dell’Unione l’hanno messo al vertice dell’assessorato al commercio, con tutta la “simpatia”, quindi, dei commercianti e, soprattutto, del presidente dell’Acs, Salvatore Basile. Giuseppe Lammirato, già nel cda del consorzio Valle Crati, su cui si scatenò un vespaio di polemiche dovuto a faccende giudiziarie, è l’avvocato che non condivide il difensore civico, pur senza riuscire ad argomentarlo e che, nonostante iscritto a un partito di sinistra (?), i Ds, non s’è mai concesso, anche come semplice lettore, al pensiero (marxista) di Antonio Negri, una specie di gaudioso compilatore di proverbi locali. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, se consideriamo gli altri compagni d’avventura, tutti membri di partito - meno che Tiano, che mi sembra il più pimpante, aitante, scattante, gioviale e mobile -, fedeli e riconoscenti alla chiesa madre, da cui hanno avuto concessioni o posizioni determinanti, levato quel buonuomo di Giovanni Spadafora, un idealista molto travagliato. Se aggiungiamo, poi, il dissenso, finalmente manifesto, verso la corrente tradizionalista e conservatrice di Mario Oliverio, da parte di Antonio Acri, neoeletto consigliere regionale, ne otteniamo un quadro assolutamente scoraggiante: tutto s’è fatto e si farà per mantenere un datato equilibrio di poteri catastrofici, sfacciati e arroganti. Avremmo voluto convincerci del contrario e avevamo scritto, piuttosto recentemente, di un nuovo capitolo da aprire, società civile e politica istituzionale, sulla base - anche - delle corrispondenze fra governo regionale e provinciale. Dobbiamo francamente ricrederci, almeno a guardare la nuova - si fa per dire - giunta comunale. Voglio solo ricordare che scrissi una lunga lettera, l’anno scorso, a Giuseppe Chiaravalloti e Franz Caruso, sul grave problema dell’emigrazione intellettuale in Calabria, suggerendo alcune iniziative concrete di tamponamento e percorsi di parziale soluzione. Né l’uno né l’altro hanno mai trovato il tempo per rispondermi, pur chiedendomi il voto in più occasioni. Come fan tutti, d’altra parte. Voglio dire, insomma, che una politica di autentico recupero e di sviluppo non ha più, oggi, connotazioni ideologiche. Si basa, di fatto, sulla sola competenza e concretezza degli attori (politici) e sulla loro disponibilità ad accogliere, indipendentemente da colori di parte, le indicazioni e le idee della società civile. C’erano tutti i presupposti, stavolta, a San Giovanni in Fiore, per una politica sociale e culturale di livello, liberandosi dei condizionamenti partitici in giunta. Così non è stato. Il segnale è drammatico e testimonia che la strategia del terrore, già attuata in fase elettorale, ci piace ancora, ci serve. E non ci importa che non ci siano garanzie di diritti e servizi. Non ce ne frega niente. Amen.

Emiliano Morrone


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