Questione meridionale

“Questione meridionale”: analisi, pareri e soluzioni - di Francesca Oliverio

I problemi agrari, l’emigrazione, l’orgoglio della propria identità nel vissuto di Paolo Cinanni: un’antologia dedicata principalmente ai giovani
giovedì 19 ottobre 2006.
 

Quando il dolore e l’amarezza generati da un’esperienza difficile incontrano la pervicacia della persona che la vive, spesso scocca la scintilla della creatività, che porta frutti buoni e costruttivi nella vita del diretto interessato, in quelle di coloro che gli vivono accanto e non solo... L’esperienza di cui si vuol parlare in questa sede è quella dell’emigrazione, connotata dalla sofferenza dell’abbandono del proprio luogo d’origine e dal non facile inserimento in un nuovo tessuto sociale. La creatività è quella di un uomo che ha fatto tesoro del proprio vissuto e lo ha messo al servizio degli altri, dei suoi conterranei in particolare. L’uomo in questione è Paolo Cinanni, politico calabrese del Partito comunista italiano, nonché meridionalista e scrittore di numerosi testi sulla “questione meridionale” dal taglio analitico e propositivo. Un florilegio dei suoi scritti è stato pubblicato in Abitavamo vicino alla stazione. Storia, idee e lotte di un meridionalista contemporaneo (Rubbettino, pp. 306, € 15,00), antologia a cura del figlio Giovanni e di Salvatore Oliverio. Il libro è stato promosso dall’Amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore (Cosenza), il paese della Sila Grande in cui Cinanni svolse per un periodo la sua attività politica, con l’obiettivo specifico di dare ai giovani uno strumento d’analisi della “questione meridionale”, anche nei suoi risvolti contemporanei.

L’uomo Paolo Cinanni

Nato a Gerace (Reggio Calabria) nel 1916, fu costretto ad emigrare con l’intera famiglia a Torino, all’età di tredici anni, in seguito alla morte del padre. Malgrado le ristrettezze economiche, portò avanti gli studi, preparandosi per la maturità classica con l’aiuto di un professore di grande levatura culturale: Cesare Pavese. Lo scrittore piemontese, del quale apprezzò il coraggio ed il rigore logico, fu per lui «una guida sicura» che gli consentì di «attingere alla fonte genuina della cultura». Non tagliò i ponti con la propria terra d’origine, di cui continuò a studiare dinamiche e problemi socioeconomici ed in cui scese attivamente in campo nel ruolo di dirigente del Partito comunista. Divise la sua vita fino alla fine, nel 1988, tra l’attività politica e quella editoriale, pubblicando diversi testi sulle lotte per la conquista della terra, sull’emigrazione e sui problemi connessi al lavoro, temi ai quali sono state dedicate, nell’ordine, tre specifiche sezioni dell’antologia.

Il problema della terra

L’arretratezza dell’agricoltura meridionale è la causa diretta del fenomeno migratorio. Questa è la conclusione che Cinanni trae dallo studio dei problemi economici del Sud Italia. Per migliorare la redditività del settore, è indispensabile, a suo parere, che i contadini abbiano dei titoli di legittimo possesso delle risorse terriere. Solo in virtù di questi ultimi, infatti, è possibile avviare investimenti in opere di miglioramento ed ottenere finanziamenti dagli istituti di credito, per far decollare il settore agricolo. L’analisi compiuta dal meridionalista calabrese poggia sulle solide basi del rilievo statistico e della ricostruzione storica, di cui si è servito per esporre il suo pensiero. Dati alla mano, sciorina i fallimenti dei provvedimenti legislativi che hanno tentato di risolvere il problema e racconta decenni di lotte portate avanti dagli agricoltori, talvolta conclusesi in tragedia, come nell’ottobre 1949 a Melissa (Crotone), sulla costa ionica. Un limite dell’analisi della “questione agraria” nel Sud Italia, però, sta nella mancanza di un effettivo confronto della situazione calabrese con quella delle altre regioni meridionali, in cui altri elementi hanno probabilmente inciso sulle dinamiche socioeconomiche della gestione delle risorse terriere.

La lungimiranza dell’analisi

Particolarmente sagace si è rivelata, dopo la riforma costituzionale compiuta nel 2001, la soluzione del problema che lo studioso pensò: dare potestà legislativa alle Regioni in materia di usi civici, e concedere maggiore autonomia agli enti locali. Profetico sembra essere il passo di Le terre degli enti, gli usi civici e la programmazione economica, uno dei testi richiamati dall’antologia, in cui propone di tenere in debita considerazione il turismo come attività di sviluppo delle terre montuose, in virtù di due grandi risorse delle montagne calabresi: il paesaggio e la salubrità del clima. Il meridionalista calabrese indica la Svizzera, in cui il turismo è diventato «industria della montagna», come esempio da imitare. Ulteriore prova della prodigalità dei consigli di Cinanni è nel suggerimento, dato agli agricoltori di montagna, di riunirsi in libere associazioni economiche, al fine di rispondere alla polverizzazione della proprietà contadina con un’organizzazione cooperativistica del lavoro. È datata 1987, infine, la sua proposta di istituire una convenzione di lavoro comune tra l’Università della Calabria e la Comunità montana silana per la verifica dello stato delle terre pubbliche dell’altopiano calabrese.

L’emigrazione

Il linguaggio di Emigrazione e imperialismo (Editori Riuniti) rivela subito che la chiave di lettura del fenomeno migratorio, usata dall’autore, è di tipo marxista. Ancora Calabria e Svizzera sono i due principali esempi presi in considerazione per spiegare ai lettori le dinamiche dell’emigrazione, l’una a causa della diminuzione demografica e dell’impoverimento sociale e produttivo cui ha dovuto far fronte nel corso del 1900, l’altra in virtù dei benefici economici tratti dall’aumento della forza lavoro, non sempre ben accetta dagli elvetici. Il perentorio invito di Cinanni è quello di affrontare il problema con un approccio globale, che tenga in debita considerazione tanto gli interessi degli emigranti quanto quelli dei paesi ospitanti, combattendo equivoci, pregiudizi e semplificazioni che accompagnano di solito la trattazione del tema. Esponendo la teoria del valore-lavoro, infatti, l’autore non dimentica di porre l’accento sulla centralità della dignità dell’uomo, che non si deve perdere mai di vista nell’affrontare quest’argomento. «Lasciare il proprio paese è molto triste. Con esso lasci una parte della tua vita vissuta, lasci le abitudini, le amicizie, i tuoi rapporti con gli altri, come si sono venuti spontaneamente intrecciando sin dall’infanzia. Se parti con la famiglia è forse meno triste, ma allora lo lasci per sempre». Ragion per cui la casa vicino alla stazione di Porta nuova, a Torino ? da qui il titolo del libro ? appariva come «il luogo più vicino al nostro paese, quello da dove potevamo partire per raggiungerlo di nuovo».

Francesca Oliverio

già su www.scriptamanent.it


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