Burocrazia

Meno male la burocrazia. «Per il futuro, si ritornerà al sistema vecchio, l’informatica non è affidabile» ha detto il ministro Amato

sabato 23 dicembre 2006.
 

di Salvatore Viglia

La burocrazia è la nemica numero uno della tecnologia. Questo tanto odiato sistema elefantiaco misto di lentezza e complicate procedure, evita che la tecnologia possa inficiarne l’efficienza in termini di regolarità.

Dopo aver letto il libro "Agente italiano" e visto il film di Cremagnani e Deaglio, si è insinuata nella mente degli italiani il tarlo del sospetto. E cioè che un milione, dico un milione di schede bianche, avrebbero preso "colore" divenendo azzurre, rosse oppure verdi, nere ecc. Un milione di schede non valide, sarebbero, in poche parole, divenute espressione di un voto valido a favore di uno o più partiti.

Una sola interrogazione a risposta immediata, la n. 3-00082, si registra da parte di parlamentari. L’ha presentata il 3 luglio l’on. Dorina Bianchi della margherita nella seduta n. 017, con la quale chiedeva al ministro degli interni Giuliano Amato: «se non ritenga di adoperarsi per rendere pubblici ed accessibili al più presto i dati delle schede bianche delle elezioni politiche 2006 sia nel numero complessivo sia nel dato comune per comune». Per il resto, niente.

In questa sede, non ci interessa sottolineare o fare delle congetture su quale colore avessero quelle schede bianche. Ci inquieta, e non poco, la facilità di un sistema informatico in grado di sovvertire il responso elettorale senza colpo ferire. Un colpo di Stato "legale", incruento ed, al tempo stesso, efficacissimo.

Una evenienza di questo genere avvilisce la consapevolezza della forza di un paese democratico. Rende sospettosi anche quando non sarebbe il caso, spinge all’anarchia e alla sfiducia in chi è chiamato a governarci.

Il film è stato sollecitato da una serie di coincidenze che, agli autori, sono sembrate veramente singolari. Il centrosinistra che perde 4, 5 punti in percentuale in poco tempo e le fortissime discordanze tra i risultati degli exit pools al confronto dei risultati definitivi. Insomma, fatti che facevano pensare, secondo gli autori, ad un imbroglio, ad una manipolazione, ad un trucco.

Il momento buono per fare il pasticcetto, gli esperti dicono, sarebbe stato quando i verbali dei seggi, passando alla trarmissione finale dei voti mediante l’utilizzo di un software, avrebbe consentito di "colorare" le schede bianche.

E’ questo ciò che ci interessa in questo momento.

L’analisi parte da una domanda: sarebbe stato possibile, manualmente, connotare di un voto, un milione di schede bianche? Oppure, per facilitare, per renderci la vita "moderna" con l’utilizzo dell’informatica, veloce, al passo con i tempi, abbiamo solo trovato una maniera migliore di imbrogliare meglio senza essere scoperti?

Ma che problema c’è? Si va a ricontare le schede bianche giacenti ed accatastate nei magazzini appositi del Viminale e le si confrontano con i risultati ufficiali. Non è un caso che il ministro Amato abbia annunciato già da ora che, per il futuro, si ritornerà al conteggio manuale in quanto quello elettronico si mostra molto vulnerabile.

Se, tra le schede bianche giacenti ed i numeri ufficiali ci sono delle discrepanze, allora si potrà dire che l’imbroglio c’è stato. Non solo, si potrà anche dire, con la massima certezza e prove alla mano, con quale colore sono stare modificate e chi sono i mandanti.

Finalmente, in questo modo, tutti sapremmo la verità. La sapremmo, però, solo grazie al sistema antico come il mondo, quello manuale. Centinaia di bravi ragazzi seduti intorno a lunghi tavoli a scartare le schede, a dichiararne il colore e a prendere nota.

Cosa potrebbe accadere acquisite le prove, una volta scoperto l’imbroglio? Siamo sicuri che neanche le più alte cariche dello Stato saprebbero immaginarlo. Ma soprattutto, non saprebbero cosa fare veramente.

Proviamo ad immaginare. Nel caso che le schede si fossero colorate di azzurro si potrebbe dire: «si, l’imbroglio c’è stato e ne abbiamo le prove, ma dato che gli azzurri non hanno vinto allora nulla quaestio» procedimenti penali a parte; nel caso, invece, che le schede bianche si fossero colorate di rosso: «le elezioni vanno invalidate perché il vincitore ha barato». Da qui in poi, potremmo affidarci solo alla immaginazione.

L’Italia è un paese che ha bisogno della burocrazia. Ne ha avuto bisogno, sino al momento in cui non è degenerata, soprattutto perché è un sistema che garantiva il controllo.

La burocrazia è ispettiva, è guardona, maneggia, palpa, pondera e ripondera, vaglia ed esamina con la velocità di un bradipo. Ad essa non sfugge niente, neanche l’errore di battitura. La parole vanno vagliate, i contenuti interpretati più volte, gli impedimenti vengono tutti al pettine.

Era il sistema più sicuro, in fin dei conti, e riconosciuto tale per evitare imbrogli macroscopici, non per eliminarli del tutto.

Tutti conosciamo l’Italia anteriore agli anni ’90 quando furono introdotte la legge n. 241 denominata "Partecipazione, Diritto d’accesso, Semplificazione dell’azione amministrativa, e la legge n. 59 del ’97 comunemente detta legge Bassanini.

La Pubblica Amministrazione di quegli anni era aggravata da una inerzia epocale e da una lentezza esasperante per il cittadino. Firme, visti, passaggi da un ufficio all’altro, sparizioni di pratiche sotto montagne di carta, rendevano la vita impossibile a chi doveva averci a che fare.

Un tale sistema, però, favorì una ulteriore pratica, rese più agevole e "remunerativa" la concussione, più facile da parte dell’impiegato di turno, agevolare la procedura a vantaggio di Tizio piuttosto che di Caio, facilitarne l’accesso, raccomandarla alla "mano" successiva.

Il meccanismo burocratico veniva strumentalizzato per poter "offrire", in cambio di una bustarella, quella efficienza e quella celerità che i fatti negavano. E si trattava comunque di diritti.

Sul meccanismo della concessione e dell’autorizzazione, migliaia di impiegati e dirigenti, si sono arricchiti. Ma, in ogni caso, il gigantismo di tutto il sistema del mostro burocrazia, era un forte guardiano a che il malcostume non dilagasse a tutti i livelli.

Nulla ostava, per l’assoluta mancanza di trasparenza, estrapolare dal fondo del mucchio una pratica dimenticata e farla diventare esecutiva a dispetto dei protocolli e delle precedenze degli aventi diritto.

La trasparenza e la velocizzazione dei procedimenti amministrativi, sono stati e sono un’ottima cosa, ma vi si è giunti per il bisogno di sconfiggere la concussione dei pubblici uffici e solo in seconda battuta, per venire incontro alle esigenze dei contribuenti.

Oggi conosciamo il nome del "responsabile del procedimento" della nostra istanza e, quando non indicato, abbiamo il diritto di chiederne le generalità. Oggi, con l’autocertificazione, non facciamo più estenuanti file agli sportelli. Con i programmi informatici abbiamo ridotto a pochi giorni le attese per una risposta ad una istanza ecc.

La burocrazia, però, consente il controllo reciproco degli impiegati che hanno in mano le nostre istanze, in fin dei conti corrompere tutta la catena amministrativa, dal deposito alla evasione della pratica, diventa assai oneroso. E poi, ci possono essere incidenti di percorso, invidie, denunce di colleghi, insomma, la burocrazia è un grosso muro valicabile a suon di attese e sacrifici, dove le falle, quando si aprono, non possono mai raggiungere dimensioni gigantesche.

Se il sistema elettorale avesse fatto a meno del software di cui sopra ed avesse fatto ricorso al sistema manuale, falsificare un milione di schede, ammesso che sia stato fatto, sarebbe stata una impresa veramente titanica.


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