Monitoraggio dell’Università di Stoccolma e International Idea. Il nostro paese, per deputate elette, dopo Svezia, Norvegia ma anche Costa Rica
Quote rosa, Italia solo 48esima
E’ il Rwanda in testa alla classifica
La Spagna di Zapatero è sesta, la Germania tredicesima la Francia arriva ultima nonostante la legge che tutela le donne
di CLOTILDE VELTRI *
SOLO quarantottesima. Non proprio in fondo alla classifica della presenza femminile in politica, ma a metà. Un segno di evidente arretratezza culturale per un paese come l’Italia che dovrebbe essere, a pieno titolo, una democrazia occidentale compiuta. Proprio mentre il ministro Barbara Pollastrini fa sapere che è allo studio una legge sulle quote rosa "che introduca una soglia minima almeno del 33%", come indicato per altro dalla Ue, la classifica mondiale elaborata dall’Università di Stoccolma e da International Idea (Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale) ci ricorda che - sul fronte delle pari opportunità in politica - siamo in ritardo. E parecchio.
Il monitoraggio - sulle quote rosa e sulla partecipazione attiva e passiva delle donne all’attività politica nei rispettivi paesi - effettuato dalle due agenzie internazionali negli stati a democrazia rappresentativa ci colloca dopo Paesi all’apparenza meno avanzati dal punto di vista della cultura politica. Ovviamente dopo Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria e Germania. Ma anche dopo Costa Rica, Nicaragua e Mozambico. Appena prima della Repubblica Domenicana, ma dopo l’Uzbekistan.
La classifica (guarda qui tutti i risultati) - frutto di un database - è fresca di aggiornamento con i dati relativi alle elezioni parlamentari 2006 appena concluse. Certo, rispetto al 2001 - annus horribilis - siamo migliorati, e parecchio. Dopo le politiche di allora - quando vinse il centrodestra e Berlusconi diventò premier - l’Italia si trovò retrocessa al 66esimo posto. Oggi - governo Prodi e maggioranza di centrosinistra - siamo risaliti di una ventina di posizioni, ma questo lento avanzare verso una democrazia più equa nella gestione della cosa pubblica, non ci colloca ancora tra i Paesi più evoluti.
Va detto che, paradossalmente, il paese con maggiore presenza femminile in parlamento è il Rwanda con il 48,8% di donne elette (39 su 80 eletti). La nazione africana si aggiudica il podio grazie a regole rigidissime in fatto di quote rosa. Seguono a ruota la nordica Svezia (45% di deputate, 157 su 349), mentre al terzo posto della classifica si colloca un paese sudamericano, il Costa Rica, che vanta un 38,6% di donne sedute in parlamento superando la Norvegia che ha ’solo’ il 37,7% di presenze femminili (64 su 169).
La Spagna di Zapatero - il premier, come si sa, ha fatto della questione femminile un punto programmatico e una priorità - oggi si garantisce in classifica un onorevolissimo sesto posto (126 parlamentari donne su 350 totali). Per trovare l’Italia, invece, bisogna scorrere molti paesi dei più diversi continenti. Le italiane sedute alla Camera dei deputati oggi sono 109 su 630 seggi disponibili, un misero 17,3%. Al Senato, se possiible, è anche peggio: 44 donne su 322 eletti (13,7%). Persino l’Iraq, percentualmente, sta meglio di noi con 70 donne elette su 275 seggi disponibili in parlamento (25,5%).
Dopo l’Italia si trovano, invece, abbastanza clamorosamente, i cugini francesi che vantano solo 70 deputate su 577 (12,1%). E questo nonostante una legislazione tesa a penalizzare finanziariamente i partiti che non garantiscono un equo accesso al parlamento. Dopo, in classifica, ci sono paesi come il Sudan, l’Ungheria, il Nepal e, ultimo, l’Egitto dove le donne in parlamento sono 9. Su 454 deputati. (6 luglio 2006)
* www.repubblica.it, 06.07.2006
Il presidente della Repubblica ha inaugurato all’Università di Roma Tor Vergata un’epigrafe marmorea celebrativa del sessantesimo anniversario del voto alle donne
Napolitano: "Per donne ai vertici serve più democrazia nei partiti"
Da una ricerca presentata a Palazzo Marini emerge che i due rami del Parlamento raggiungono attualmente una percentuale di donne pari al 16,1%, inferiore alla media europea del 22% *
ROMA - Per avere delle donne ai vertici dello Stato e del governo "i tempi sono maturi da un pezzo anche in Italia", ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, spiegando che il modo per favorire la presenza delle donne in politica "non è tanto quello di approvare norme di legge, quanto quello di apportare modifiche nella vita democratica dei partiti, che poi esprimono le candidature’’.
Con quest’auspicio Napolitano ha inaugurato, presso la piazzetta della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo romano di Tor Vergata, un’epigrafe marmorea celebrativa del sessantesimo anniversario del voto alle donne. Con il presidente c’erano la moglie Clio, la giornalista ed editorialista di Repubblica Miriam Mafai, e il rettore dell’università capitolina Alessandro Finazzi Agrò.
"Quando, tra le rovine della guerra, restituita la democrazia in Italia venne il suo popolo dopo lunghi anni chiamato a darsi nuove istituzioni di pacifico governo - ricorda il testo dell’epigrafe - per la prima volta le donne votarono anch’esse, perché finalmente trovasse pienezza la libertà della nazione intera, dopo secoli di sofferta discriminazione".
"Credo che abbia ragione Miriam Mafai quando - ha detto ancora Napolitano a Tor Vergata - dice che quando c’è una democrazia funzionante e se ci sono anche all’interno dei partiti politici procedure democratiche, le donne possono ottenere il riconoscimento che a loro spetta. Quindi forse più che con altri mezzi che non sono stati efficaci, la strada maestra è questa".
Il presidente ha, infine, ricordato che in Italia ci sono "esempi positivi di donne che hanno raggiunto responsabilità di governo anche notevoli". "Ma - ha concluso - sono esempio ancora molto limitati".
Un’osservazione che trova ampia conferma nel rapporto "Donne e politica. Alle radici della diseguaglianza di genere", presentato stamane a Roma a Palazzo Marini. Dalla ricerca emerge che l’Italia ha una percentuale di donne alla Camera pari al 17,3% e una ancora più modesta, pari al 13,7%, di donne senatrici. Nel complesso i due rami del Parlamento raggiungono attualmente una percentuale di donne pari al 16,1% con un andamento discontinuo nel corso degli anni tanto che alla Camera si è passati dal 15% del 1994, all’11% del ’96 per poi risalire al dato attuale solo nel 2006.
In virtù di questa scarsa presenza di donne alla Camera l’Italia, rileva la ricerca, si pone in una posizione più bassa rispetto ad altri Paesi comunitari, la cui media complessiva è del 22%. Sempre l’Italia, si colloca al 59° posto anche nella graduatoria di donne presenti nelle "Camere basse" di più di 180 Paesi, superata da molti Paesi del Sud del mondo.
Le statistiche mostrano percentuali basse anche sulla presenza femminile negli enti locali: le consigliere comunali sono il 17,7%, gli assessori donna il 18,1%, ma solo il 9,6% dei sindaci è donna.
* la Repubblica, 21 novembre 2006
Ricerca del World Economic Forum, realizzata da Hausmann e Tyson
Status delle donne, l’Italia è in ritardo
Siamo al 77° posto su 115 paesi. Solo Cipro è più indietro nell’Ue, ci superano anche molti paesi in via di sviluppo *
Se volete sapere chi, nel mondo, sta andando bene, chi così e così, chi decisamente male, la cosa può essere riassunta in questo modo: l’Italia tende al malaccio, i Paesi dell’Europa del Nord vanno bene come anche Germania e Gran Bretagna, quelli del Medio Oriente sono in guai seri e per il resto siamo su un pianeta sorprendente, dove per esempio le Filippine, ma non solo esse, avranno probabilmente un futuro molto migliore del presente. Lo si capisce da una classifica pubblicata oggi sullo status della condizione femminile in 115 Paesi che coprono il 90% della popolazione mondiale.
Ancora un volta, si tratta di una classifica, di quelle che fanno discutere e nella Penisola si tende a mettere sotto il tappeto. Ma che in questo caso è importante per almeno due ragioni. Prima di tutto, lo status delle donne nel mondo non è solo una questione di parità ma oggi può essere preso come un indice (certo non perfetto ma molto significativo) delle prospettive di un Paese: sia la loro partecipazione all’economia che alla politica sono infatti elementi chiave della crescita, sia nei Paesi avanzati sia in quelli in via di sviluppo. Detto diversamente: chi, nell’era della globalizzazione, non chiude il gap tra la condizione delle donne e quella degli uomini è destinato a soccombere. In secondo luogo, l’indice sul quale è costruita la classifica è piuttosto serio: pubblicato dal World Economic Forum, l’organizzazione famosa per il summit invernale di Daovs, è stato realizzato da due super economisti: Ricardo Hausmann, direttore del Centro sullo Sviluppo Internazionale della Harvard University, e Laura Tyson, che oggi è rettore della London Business School e fu la prima donna, con la presidenza di Bill Clinton, a dirigere il Consiglio economico della Casa Bianca.
Gli esperti hanno preso una serie di pubblicazioni e condotto indagini - il rapporto dettagliato si trova all’indirizzo web www.weforum.org/gendergap - per assegnare a ciascun Paese un punteggio in ciascuna di quattro aree: partecipazione e opportunità economica delle donne, cioè un’analisi dei salari, dei livelli di partecipazione al mondo del lavoro e del grado di accesso alle posizioni più qualificate; l’accesso all’educazione, sia quella di base che quella più elevata; l’influenza politica, cioè il grado di partecipazione alle strutture decisionali; le differenze tra uomo e donna in termini di salute e di aspettative di vita. I quattro indici, poi, sono stati riassunti in uno generale che è la base della classifica finale.
L’Italia ha un risultato disastroso: numero 77 su 115, ultima dell’Unione europea se non si considera Cipro, e superata da decine di Paesi in via di sviluppo. Nei quali, evidentemente, la condizione della donna è relativamente più vicina a quella dell’uomo che da noi. Nei quattro indicatori, il peggiore è quello della partecipazione delle donne italiane all’economia: siamo 87esimi. In questo campo, nessun Paese al mondo ha un indice uguale a uno, che significherebbe parità assoluta (mentre zero significa disuguaglianza assoluta) ma l’Italia si ferma a 0,5265, non arriva cioè alla sufficienza. Non è una sorpresa. E’ invece piuttosto clamoroso, sempre nel campo della partecipazione al mondo del lavoro, il fatto che ai primi posti arrivino Paesi ad altissima emigrazione femminile come la Moldavia (seconda), le Filippine (quarta), la Giamaica (settima), la Tailandia (tredicesima): segno evidente che sono le donne, come in molti altri Paesi, a guidare l’emersione dalla povertà.
In termini di educazione, l’Italia non va male: 26esima con 0,997. Ci sono però 11 paesi al mondo che in questo settore hanno chiuso completamente il gap di genere, hanno cioè indice uno (tra essi Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Regno Unito - e ancora le Filippine). Nella Penisola, c’è ancora qualcosa da fare, insomma. Molto peggio, anche se non ce lo si aspetterebbe, quando si passa alla salute e alle aspettative di vita: l’Italia è nella posizione numero 77, lontana dai 34 Paesi che stanno al primo posto a pari punti (ci sono ancora la Moldavia, le Filippine e la Tailandia). L’accesso femminile al potere politico è il territorio in cui le cose vanno peggio in tutto il mondo. Nessuno guadagna una sufficienza piena: la Svezia - che è il Paese che arriva al numero uno in questa classifica come in quella generale - si ferma a 0,5501. Ma l’Italia è davvero in condizioni pessime: non tanto per il 72° posto ma per il punteggio, 0,0872, che è come non prendere nemmeno 1 in un compito in classe. Le Filippine, almeno, arrivano a 0,2695, che è il 16° posto.
Una classifica non per scandalizzarsi: questo lo si fa da decenni. Piuttosto per sapere che, con metà della popolazione ai margini, non si cresce e non si compete. Tanti Paesi, anche in modo sorprendente, l’hanno capito e probabilmente tra non molto se ne vedranno i risultati.
Danilo Taino
* Corriere della Sera, 21 novembre 2006