IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE E LA CONVIVENZA CON LA MAFIA, LA CAMORRA E LA ’NGRANGHETA ATEA E DEVOTA ....

LA LEZIONE DEL CITTADINO MAGISTRATO ANTONIO INGROIA: ESSERE UN PARTIGIANO DELLA COSTITUZIONE, NON DI UN PARTITO!!!

«Francamente, non capisco le polemiche di alcuni esponenti politici dopo le dichiarazioni di Ingroia - dice Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta - tutti i magistrati sono partigiani della Costituzione, perché sulla Costituzione hanno giurato».
giovedì 3 novembre 2011.
 

[...] «Curioso che faccia scalpore un’affermazione direi elementare, che gli studenti di Giurisprudenza apprendono all’inizio del loro corso. E come tale, si può, anzi si deve ribadire in tutte le sedi: il magistrato è prima di tutto sottoposto alla legge delle leggi, ovvero alla Costituzione, e non più soltanto alla legge ordinaria, come avveniva prima del ‘48. Ed è la stessa Costituzione a prevedere che il magistrato deve dare della legge ordinaria un’interpretazione conforme alla Costituzione: ove ciò non sia possibile, deve sottoporre la legge ordinaria al vaglio della Corte Costituzionale. La Costituzione ha affidato alla magistratura il ruolo di garante della fedeltà costituzionale delle leggi. In questo senso può dirsi che i magistrati sono partigiani della Costituzione». [...]


«Imparziale? No, difendo la Costituzione»

di Lorenzo Salvia (Corriere della Sera, 31.10.2011)

ROMA - «Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione».

Antonio Ingroia, aggiunto della Procura antimafia di Palermo, allievo di Paolo Borsellino e fedelissimo di Giancarlo Caselli, parla al sesto congresso del partito dei comunisti italiani. È il magistrato che ha condotto alcune delle inchieste più difficili sulla mafia, da quella che ha riguardato il senatore pdl Marcello Dell’Utri a quella sull’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, fino alle grandi stragi e alla trattativa fra Stato e Cosa nostra.

La platea del congresso di Rimini si alza, gli regala una standing ovation. E lui spiega il motivo della sua presenza qui, mezz’ora di intervento per parlare di mafia e legalità nella giornata conclusiva di un incontro politico, di partito, sotto lo slogan «La rivoluzione da ottobre».

Partigiano Ingroia lo è davvero, socio onorario dell’Anpi che lo ha premiato ad aprile di quest’anno. Ma la resistenza di cui parla è un’altra. «Fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla - dice il magistrato - so da che parte stare». E ancora: «Ho accettato l’invito di Oliviero Diliberto pur prevedendo le polemiche che potrebbero investirmi per il solo fatto di essere qui. Ma io ho giurato sulla Costituzione democratica e sempre la difenderò».

In effetti le polemiche arrivano subito, tutte targate Pdl. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto usa il sarcasmo: «Ringraziamo il dottor Ingroia per la sua chiarezza. Sappiamo che le vicende più delicate per i rapporti fra mafia e politica sono nelle mani di pm contrassegnati dalla massima imparzialità». Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri dice di voler portare il «comizio e questo scandalo in Parlamento».

Il ministro della Giustizia, ed ex magistrato, Francesco Nitto Palma preferisce il no comment, il falco Giorgio Stracquadanio invoca l’intervento del Csm mentre la colomba Gianfranco Rotondi dice, ironicamente, di avere rispetto perché «non si era mai visto un giudice comunista che venisse fuori con tanta chiarezza».

Ma è Jole Santelli, ex sottosegretario alla Giustizia, a dar voce a quello che nella maggioranza pensano in molti:

«Credo che Ingroia stia preparando il suo ingresso in politica. È ovviamente possibile che tale previsione si riveli errata ma altrettanto probabile che, come altri suoi colleghi, sia nel momento di passaggio in cui la toga serve per acquisire notorietà per la carriera politica».

Dottor Ingroia, allora stanno così le cose, è vero che lei vuole scendere in politica?

«Non ci sono i presupposti - risponde il procuratore durante il viaggio di rientro da Rimini - in questo momento non ci sono elezioni e quindi siamo di fronte al solito pretesto per fare il tiro al bersaglio sul magistrato di turno».

Ma questo vuol dire che, se ci fossero elezioni, lei si candiderebbe?

«Non ho detto questo ma ricordo che, in base alla legge, il magistrato ha diritto sia all’elettorato attivo che a quello passivo».

Più di uno spiraglio lasciato aperto, insomma. Quest’estate il nome di Ingroia era circolato per una possibile candidatura a sindaco di Palermo. Non se ne farà nulla, ed è lui stesso a spiegare il perché: «È inopportuno che un magistrato si candidi nella stessa città dove è stato in servizio».

E non è inopportuno che un magistrato partecipi ad un congresso di partito?

«Non vedo dove sia lo scandalo, per altro ero stato già invitato in passato da Di Pietro e da Claudio Fava. Semmai il tema è perché alcuni partiti invitano i magistrati a parlare di giustizia e di mafia mentre altri no. Evidentemente alcuni partiti non hanno a cuore questi temi».

Diliberto, appena confermato segretario del Pdci, lo difende rinviando al mittente le accuse: «Ringrazio Ingroia per il suo coraggio. Era ben conscio che la sua partecipazione ad un libero congresso qual era il nostro, ancorché sacrosanta, avrebbe suscitato le schiumanti reazioni di chi odia i liberi congressi».


Il procuratore Scarpinato: non capisco le polemiche

"Ha detto una cosa ovvia il giudice giura sulla Carta"

Ha detto una cosa che gli studenti di legge apprendono all’inizio del loro corso

di Salvo Palazzolo (la Repubblica, 31.19.2011)

PALERMO - «Francamente, non capisco le polemiche di alcuni esponenti politici dopo le dichiarazioni di Ingroia - dice Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta - tutti i magistrati sono partigiani della Costituzione, perché sulla Costituzione hanno giurato».

Si polemizza sul fatto che talune riflessioni di un magistrato sono state fatte in un congresso di partito.

«Curioso che faccia scalpore un’affermazione direi elementare, che gli studenti di Giurisprudenza apprendono all’inizio del loro corso. E come tale, si può, anzi si deve ribadire in tutte le sedi: il magistrato è prima di tutto sottoposto alla legge delle leggi, ovvero alla Costituzione, e non più soltanto alla legge ordinaria, come avveniva prima del ‘48. Ed è la stessa Costituzione a prevedere che il magistrato deve dare della legge ordinaria un’interpretazione conforme alla Costituzione: ove ciò non sia possibile, deve sottoporre la legge ordinaria al vaglio della Corte Costituzionale. La Costituzione ha affidato alla magistratura il ruolo di garante della fedeltà costituzionale delle leggi. In questo senso può dirsi che i magistrati sono partigiani della Costituzione».

Dunque, secondo lei, non si discute della partecipazione dei magistrati alla vita pubblica?

«È tutt’altra questione quella della candidatura di un magistrato. E non discutiamo neanche della partecipazione dei magistrati alla vita politica. Chi vuole portare il dibattito su questo versante forse ha dimenticato i principi fondamentali del diritto. La verità è che la politica passa, lo Stato resta. E la Costituzione è il patto fondamentale dello Stato. Le leggi ordinarie sono invece espressione delle maggioranze politiche contingenti».

Ma quelle maggioranze sono espressione della volontà popolare. Torniamo al tema dei rapporti fra politica e magistratura?

«Non basta la volontà popolare espressa dalle maggioranze semplici per cambiare la Costituzione, occorrono delle maggioranze rafforzate e delle procedure complesse, proprio perché le leggi costituzionali riguardano i pilastri portanti che reggono l’edificio dello Stato. La stessa Costituzione prevede che neppure queste maggioranze speciali possono modificare la forma repubblicana».


-  L’UNITA’ D’ITALIA E IL PARLAMENTO "CON LA COPPOLA", QUELLA DI "FORZA ITALIA" E DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’".


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