[...] «Curioso che faccia scalpore un’affermazione direi elementare, che gli studenti di Giurisprudenza apprendono all’inizio del loro corso. E come tale, si può, anzi si deve ribadire in tutte le sedi: il magistrato è prima di tutto sottoposto alla legge delle leggi, ovvero alla Costituzione, e non più soltanto alla legge ordinaria, come avveniva prima del ‘48. Ed è la stessa Costituzione a prevedere che il magistrato deve dare della legge ordinaria un’interpretazione conforme alla Costituzione: ove ciò non sia possibile, deve sottoporre la legge ordinaria al vaglio della Corte Costituzionale. La Costituzione ha affidato alla magistratura il ruolo di garante della fedeltà costituzionale delle leggi. In questo senso può dirsi che i magistrati sono partigiani della Costituzione». [...]
«Imparziale? No, difendo la Costituzione»
di Lorenzo Salvia (Corriere della Sera, 31.10.2011)
ROMA - «Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione».
Antonio Ingroia, aggiunto della Procura antimafia di Palermo, allievo di Paolo Borsellino e fedelissimo di Giancarlo Caselli, parla al sesto congresso del partito dei comunisti italiani. È il magistrato che ha condotto alcune delle inchieste più difficili sulla mafia, da quella che ha riguardato il senatore pdl Marcello Dell’Utri a quella sull’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, fino alle grandi stragi e alla trattativa fra Stato e Cosa nostra.
La platea del congresso di Rimini si alza, gli regala una standing ovation. E lui spiega il motivo della sua presenza qui, mezz’ora di intervento per parlare di mafia e legalità nella giornata conclusiva di un incontro politico, di partito, sotto lo slogan «La rivoluzione da ottobre».
Partigiano Ingroia lo è davvero, socio onorario dell’Anpi che lo ha premiato ad aprile di quest’anno. Ma la resistenza di cui parla è un’altra. «Fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla - dice il magistrato - so da che parte stare». E ancora: «Ho accettato l’invito di Oliviero Diliberto pur prevedendo le polemiche che potrebbero investirmi per il solo fatto di essere qui. Ma io ho giurato sulla Costituzione democratica e sempre la difenderò».
In effetti le polemiche arrivano subito, tutte targate Pdl. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto usa il sarcasmo: «Ringraziamo il dottor Ingroia per la sua chiarezza. Sappiamo che le vicende più delicate per i rapporti fra mafia e politica sono nelle mani di pm contrassegnati dalla massima imparzialità». Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri dice di voler portare il «comizio e questo scandalo in Parlamento».
Il ministro della Giustizia, ed ex magistrato, Francesco Nitto Palma preferisce il no comment, il falco Giorgio Stracquadanio invoca l’intervento del Csm mentre la colomba Gianfranco Rotondi dice, ironicamente, di avere rispetto perché «non si era mai visto un giudice comunista che venisse fuori con tanta chiarezza».
Ma è Jole Santelli, ex sottosegretario alla Giustizia, a dar voce a quello che nella maggioranza pensano in molti:
«Credo che Ingroia stia preparando il suo ingresso in politica. È ovviamente possibile che tale previsione si riveli errata ma altrettanto probabile che, come altri suoi colleghi, sia nel momento di passaggio in cui la toga serve per acquisire notorietà per la carriera politica».
Dottor Ingroia, allora stanno così le cose, è vero che lei vuole scendere in politica?
«Non ci sono i presupposti - risponde il procuratore durante il viaggio di rientro da Rimini - in questo momento non ci sono elezioni e quindi siamo di fronte al solito pretesto per fare il tiro al bersaglio sul magistrato di turno».
Ma questo vuol dire che, se ci fossero elezioni, lei si candiderebbe?
«Non ho detto questo ma ricordo che, in base alla legge, il magistrato ha diritto sia all’elettorato attivo che a quello passivo».
Più di uno spiraglio lasciato aperto, insomma. Quest’estate il nome di Ingroia era circolato per una possibile candidatura a sindaco di Palermo. Non se ne farà nulla, ed è lui stesso a spiegare il perché: «È inopportuno che un magistrato si candidi nella stessa città dove è stato in servizio».
E non è inopportuno che un magistrato partecipi ad un congresso di partito?
«Non vedo dove sia lo scandalo, per altro ero stato già invitato in passato da Di Pietro e da Claudio Fava. Semmai il tema è perché alcuni partiti invitano i magistrati a parlare di giustizia e di mafia mentre altri no. Evidentemente alcuni partiti non hanno a cuore questi temi».
Diliberto, appena confermato segretario del Pdci, lo difende rinviando al mittente le accuse: «Ringrazio Ingroia per il suo coraggio. Era ben conscio che la sua partecipazione ad un libero congresso qual era il nostro, ancorché sacrosanta, avrebbe suscitato le schiumanti reazioni di chi odia i liberi congressi».
Il procuratore Scarpinato: non capisco le polemiche
"Ha detto una cosa ovvia il giudice giura sulla Carta"
Ha detto una cosa che gli studenti di legge apprendono all’inizio del loro corso
di Salvo Palazzolo (la Repubblica, 31.19.2011)
PALERMO - «Francamente, non capisco le polemiche di alcuni esponenti politici dopo le dichiarazioni di Ingroia - dice Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta - tutti i magistrati sono partigiani della Costituzione, perché sulla Costituzione hanno giurato».
Si polemizza sul fatto che talune riflessioni di un magistrato sono state fatte in un congresso di partito.
«Curioso che faccia scalpore un’affermazione direi elementare, che gli studenti di Giurisprudenza apprendono all’inizio del loro corso. E come tale, si può, anzi si deve ribadire in tutte le sedi: il magistrato è prima di tutto sottoposto alla legge delle leggi, ovvero alla Costituzione, e non più soltanto alla legge ordinaria, come avveniva prima del ‘48. Ed è la stessa Costituzione a prevedere che il magistrato deve dare della legge ordinaria un’interpretazione conforme alla Costituzione: ove ciò non sia possibile, deve sottoporre la legge ordinaria al vaglio della Corte Costituzionale. La Costituzione ha affidato alla magistratura il ruolo di garante della fedeltà costituzionale delle leggi. In questo senso può dirsi che i magistrati sono partigiani della Costituzione».
Dunque, secondo lei, non si discute della partecipazione dei magistrati alla vita pubblica?
«È tutt’altra questione quella della candidatura di un magistrato. E non discutiamo neanche della partecipazione dei magistrati alla vita politica. Chi vuole portare il dibattito su questo versante forse ha dimenticato i principi fondamentali del diritto. La verità è che la politica passa, lo Stato resta. E la Costituzione è il patto fondamentale dello Stato. Le leggi ordinarie sono invece espressione delle maggioranze politiche contingenti».
Ma quelle maggioranze sono espressione della volontà popolare. Torniamo al tema dei rapporti fra politica e magistratura?
«Non basta la volontà popolare espressa dalle maggioranze semplici per cambiare la Costituzione, occorrono delle maggioranze rafforzate e delle procedure complesse, proprio perché le leggi costituzionali riguardano i pilastri portanti che reggono l’edificio dello Stato. La stessa Costituzione prevede che neppure queste maggioranze speciali possono modificare la forma repubblicana».
Ingroia: perché mi definisco partigiano
Caro direttore,
nel ringraziarla per la correttezza con la quale il suo giornale, al contrario di qualche altra testata, ha sintetizzato il mio intervento di domenica scorsa a Rimini, vorrei cogliere l’occasione per riprovare a sottoporre a confronto il reale senso del mio intervento, che mi pare sia stato purtroppo confermato dal fragore di certi attacchi dai quali, come era prevedibile, sono stato ancora una volta investito. È consentito a un magistrato, famoso o no poco importa, esprimere la propria opinione su tematiche legate alla sua professione come Costituzione, legalità e antimafia? E gli è consentito interloquire con la politica su questi temi, poco importa in quale contesto, purché egli non dimostri collateralismo con alcun partito? Io credo di sì.
Credo sia un mio diritto come cittadino e un mio dovere come magistrato, e perciò l’ho fatto anche in convegni, manifestazioni o congressi dei partiti che mi hanno invitato per ascoltare il mio punto di vista, e l’ho fatto davanti a iscritti ai partiti politici di diverso orientamento politico-culturale, dai comunisti all’Idv, a «Futuro e libertà», senza aderire a nessuno di essi. E sono pronto a farlo anche in manifestazioni organizzate, perché no, dal Pdl.
Non conta dove si dicono le cose, ma quel che si dice. E ho detto pure che mi sento dalla parte della Costituzione, un partigiano della Costituzione, che dalla resistenza partigiana è nata, restando sempre doverosamente imparziale nell’esercizio delle mie funzioni proprio perché quella stessa Costituzione me lo impone, ma con le opzioni valoriali che quella stessa Carta dei diritti mi indica. Le reazioni, spesso composte, e talune manipolazioni mediatiche del mio intervento, che mi presentano come magistrato parziale e comunista, sono però la conferma dell’imbarbarimento della lotta politica, alla ricerca di facili pretesti per tirare acqua al proprio mulino. E questa è la cosa che più dovrebbe preoccupare tutti.
Venti anni fa a nessuno sarebbe passato per la mente di attaccare un magistrato di fronte a una dichiarazione di fedeltà ai valori costituzionali e l’accostamento della parola «partigiano» alla Costituzione non avrebbe destato scandalo. Oggi, invece, sì. Possibile avviare un serrato ma pacato confronto su questi temi? Io ancora non dispero. Altrimenti, non resta che prendere atto del gravissimo arretramento del dibattito politico-culturale nel nostro Paese, al quale mi auguro che la parte più consapevole del mondo delle istituzioni e dell’informazione sappia porre rimedio.
Antonio Ingroia
procuratore aggiunto a Palermo
* Corriere della Sera, 1.11.2011
Ingroia in campo scarica Di Pietro e i partitini:
«Fate un passo indietro»
Il magistrato rientra dal Guatemala per annunciare che guiderà la lista arancione: «Santoro, vieni con noi»
di Claudia Fusani (l’Unità, 22.12.2012)
ROMA «Io ci sto, se voi ci state. Se c’è un passo indietro dei segretari di partito che devono comunque stare accanto a noi. E se l’avanguardia di questo nuovo soggetto è la società civile». Antonio Ingroia arriva alle due del pomeriggio dal Guatemala. Il tempo di sistemarsi doccia e trucco ristoratore e alle 17 e 40 sale sul palco del teatro Capranica gremito mentre fuori decine di persone rumoreggiano con il servizio d’ordine. Sono tutti qui e lo ascoltano per un’ora e mezza nell’attesa della discesa in campo definitiva del pm palermitano.
Un discorso accalorato anche se alla fine non strappa particolari standing ovation con il libro della Costituzione in mano («Sono qui in nome e per conto di questa») e mentre i principi della Carta scorrono sullo schermo alla sue spalle. Ma non scioglie del tutto la riserva. «Ingroia si candida o non si candida? Per avere questa risposta dovrete ancora aspettare» dice il pm che ha già ottenuto dal Csm l’aspettativa per motivi elettorali.
L’ambiguità non è tanto nelle parole di Ingroia. Ma nel progetto stesso di questo nuovo soggetto politico, «un nuovo polo che però non è quarto, né primo né secondo» che cerca faticosamente di nascere a sinistra del Pd ma che «con il Pd cerca un confronto» e «anche con Grillo, perché no».
Un progetto che ha, al momento, solo poche certezze: no al berlusconismo perché «il ventennio berlusconiano ha sfigurato lo stato di diritto e lavato il cervello a molti italiani e non solo a quelli meno colti». No alle politiche neoliberiste che hanno caratterizzato il governo Monti le cui scelte hanno «demolito i poveri e arricchito i potenti».
Fissati i confini insuperabili, resta una terra di mezzo amplissima dove ci può stare tutto. Ci può stare il nuovo polo «alternativo a Monti e a Berlusconi» dove la società civile deve essere la protagonista se saprà rispondere il prima possibile a quel «se voi ci state» che viene ripetuto come un mantra nei 75 minuti di intervento.
E qui viene la parte più difficile del progetto di un nuovo soggetto politico. Perché sono molte le somiglianze con il sogno infranto in malo modo di quella che fu la sinistra arcobaleno. E perché la Sicilia di recente ha dimostrato che è molto esiguo lo spazio politico tra la sinistra di governo e il populismo di Grillo.
L’uomo che ha portato a processo, per la prima volta, i boss di Cosa Nostra ed ex ministri della Repubblica, comincia da sé, dalla sua storia. Se lo aspettavano molti, qua, di ritorno dal Guatemala dove da appena un mese era impegnato in una missione Onu. E l’ha fatto. «Se qualcuno dice che il mio intervento qui oggi è la riprova che ero un pm politicizzato, lo deve dimostrare. Io nella mia vita ho fatto il pm e non ho mai indossato nessuna maglia politica». Poi invoca una «rivoluzione civile» per «cambiare la classe dirigente di questo Paese compromessa con la corruzione, che non ha mai combattuto veramente la mafia ma l’ha solo contenuta secondo il principio evitare i morti per strada ma fare affari dietro le quinte».
Il punto è con chi fare questa rivoluzione. Al suo fianco Ingroia vede già gli arancioni di Luigi De Magistris, gli intellettuali e i comitati di «Cambiare si può» ma sembra allergico a certe etichette. Poi chiama all’appello molti. Chiede di fare un passo avanti a Maurizio Landini, segretario della Fiom Cgil, «perché abbiamo bisogno di te». A don Luigi Ciotti e agli uomini dell’associazione Libera. Chiede un passo avanti al giornalista Michele Santoro perché «c’è bisogno di una nuova informazione». Oliviero Beha, che siede nelle prime file, non viene citato. E non ci resta benissimo. Saluta l’adesione di Guido Ruotolo e di Gino Strada. Chiama le donne di «Se non ora quando». In cima alla lista, un suo grande amico, Salvatore Borsellino.
Poi è la volta dei passi indietro. O meglio, «un passo indietro per allinearsi a noi, alla società civile». E l’appello questa volta è diretto ai segretari dei partiti seduti in prima fila, Antonio Di Pietro (Idv), Paolo Ferrero (Rifondazione), Oliviero Diliberto (Comunisti italiani), il verde Angelo Ferrero. «Non voglio rottamare nessuno, meno che mai Di Pietro», dice Ingroia. «Perché noi non siamo né l’antipolitica né contro i partiti. Ma la politica oggi deve fare un passo indietro per consentire un passo avanti alla società civile».
Quasi incurante delle rotture che si sono consumate con il centrosinistra in questo ultimo anno, Ingroia chiama anche Bersani, oltre che Grillo. Il primo «è una persona per bene» a cui chiede «un confronto perché molti fronti di lotta ci vedono uniti». Al leader dei 5 Stelle rimprovera di usare «toni a volte troppo arrabbiati».
Ma poi chiede: «Dobbiamo continuare a rottamare e solo distruggere, o dobbiamo anche cominciare a ricostruire?». Parole che ora servono a lanciare il nuovo movimento ma che sono chiaramente destinate a incontrare dei rifiuti. Ora, al di là delle ambizioni, dei sogni e delle narrazioni, c’è soprattutto la realtà. Una legge elettorale che impone la soglia del 4 per cento per entrare in Parlamento. Alleanze già fissate, tra Pd e Sel, ad esempio anche se al Capranica ci sono molto delusi dalle scelte di Vendola. C’è il tempo che stringe e entro metà mese devono essere presentate liste e simboli. E invece Ingroia prende ancora tempo. «Entro una settimana - dice sibillino -saprete se mi candido oppure no. Al momento sono un funzionario dell’Onu in missione in Guatemala».
Ingroia chiama Landini e Santoro E incassa l’appoggio di Bertinotti
di Paolo Festuccia (La Stampa, 22.12.2012)
Parla di nuova «primavera», di «rivoluzione pacifica per cambiare classe dirigente», e soprattutto di nuovo impegno della società civile. Ma per ora da Antonio Ingroia un sì definitivo ad una sua candidatura alle prossime politiche ancora non arriva. Certo, ieri, al teatro Caprarica di Roma presentando il «nuovo polo» («Io ci sto») ha utilizzato frasi e temi da politico consumato. Ha messo i panni del rottamatore e chiesto alla politica un passo indietro. A cominciare da Di Pietro, per passare a Ferrero e Diliberto. Con l’unica assoluzione per Vendola, anche se poi a fine manifestazione Ingroia smentisce che «non c’è nessuna rottamazione per Di Pietro».
«Abbiamo bisogno di associazioni, sindacati, di partigiani della Costituzione - spiega l’ex procuratore aggiunto di Palermo -. È il modo migliore per far fare un passo avanti alla società civile». Ingroia sottolinea che «ciò non significa sparire, perché vi vogliamo con noi nella battaglia». Turn over, dunque, necessario per costituire l’unico vero polo «alternativo a Monti e Berlusconi». Un Polo che nelle intenzioni di Ingroia deve confrontarsi senza pregiudizi con Grillo e Bersani, ma che «non può essere un collage, un’accozzaglia di colori, un arcobaleno, ma una nuova identità». Dunque, l’invito a osare, «ad aprire il libro dei sogni: non vogliamo un polo giustizialista e manettaro»; e l’appello rivolto per la discesa in campo a Michele Santoro, Maurizio Landini, Don Ciotti, Sandro Ruotolo. «Non è un invito a candidarsi, ma l’invito ad accompagnarci al nostro fianco... se poi volete candidarvi, ancora meglio».
La sfida, insomma, appare lanciata. Una sfida che incrocia anche l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti per il quale «c’è bisogno di una lista di alternativa a quest’Europa reale. Sarebbe un bel segno e meriterebbe un incoraggiamento». Un vero e proprio endorsement che non arriva di certo, però, da Fabrizio Cicchitto. Anzi. «Nessuna paura nei confronti di un tipo come Ingroia che non risponde - commenta Cicchitto - perché non sa che rispondere e nasconde solo la sua mancanza di professionalità dietro un settarismo che rischia di screditare la categoria dei magistrati. Ma sappiamo bene - conclude - che fortunatamente di pseudo magistrati come Ingroia ce ne stanno pochissimi». Di opinione diversa il sindaco di Palermo Leoluca Orlando secondo il quale con «Ingroia sta nascendo la primavera d’Italia».
Salvatore Borsellino rompe con Ingroia
Leader agende rosse lamenta penalizzazione dei due giovani da lui indicati in lista: ’Forse volevano solo la mia candidatura’
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, leader delle "agende rosse", rompe col movimento "Rivoluzione civile". Antonio Ingroia avrebbe messo in lista i due candidati indicati da Borsellino, Lidia Undiemi e Benny Calasanzio, dopo altre persone più note o indicate dai partiti.
Nella sua pagina Facebook - che piace a 36.405 persone, Borsellino scrive: "Avevo pensato di dovere aspettare la pubblicazione delle liste, e lo farò prima di prendere una decisione definitiva, ma già da oggi purtroppo posso avere sentore di quello che dovrò leggere. I due rappresentanti del mio movimento che, insieme a tanti altri giovani, mi avevamo dato la disponibilità ad essere candidati nella lista di ’Rivoluzione Civile’ e che io avevo indicato come elementi di punta per il loro curriculum, per le loro qualità intrinseche e per l’impegno e la passione sempre profusa nelle attività del nostro movimento, non hanno trovato posto nella lista di Antonio Ingroia se non posposti, e non di poco,ad altri nomi sia di politici che della società civile. I primi in base alle contrattazioni di vecchio stampo tra i partiti componenti la lista, i secondi scelti in base alla notorietà ed alla visibilità mediatica che non sempre coincidono con l’impegno civile".
"A questo punto - prosegue - con rammarico e pur sempre riservandomi di giudicare con maggiore attenzione le liste una volta che saranno pubblicate, debbo purtroppo anticipare che difficilmente potrò confermare il quell’appoggio che, dopo alcune perplessità iniziali, avevo dato alla lista di ’Rivoluzione Civile’. Probabilmente qualcuno era interessato unicamente alla mia candidatura e una volta venuta a cadere questa ipotesi e dopo che io ho preteso con forza una smentita che pure è tardata ad arrivare, non ha ritenuto di volere dare fiducia a questi giovani".
INGROIA A S. BORSELLINO, NOI NON SIAMO ANTIPOLITICA - "Conoscendolo, capisco anche il suo disappunto per il fatto che la lista civica che abbiamo organizzato contenga anche esponenti di punta di partito, ma Salvatore deve sapere che noi non siamo antipolitica. Noi crediamo nella possibilità di mettere insieme le energie migliori della società civile e della buona politica". Lo dice Antonio Ingroia rispondendo a Salvatore Borsellino. "Chiedo - aggiunge - a Salvatore Borsellino di avere pazienza, verificando che i nomi inseriti nelle nostre liste certamente non sono stati scelti in base alla notorietà e alla visibilità mediatica, ma selezionati in base a storie lunghe e dolenti di impegno civile, spesso segnate da tragedie come quella di Salvatore. Un solo nome per tutti, Franco La Torre. Chiedo a Salvatore quindi di rispettare questi nomi e questi nostri candidati".
"Conosco e apprezzo i giovani da lui segnalatimi, eleggibili, ai quali avevo proposto l’inserimento in posizione eleggibile proprio in Sicilia, in base al meccanismo delle candidature plurime in più regioni imposto dalla cattiva legge del Porcellum - conclude - Avrebbero avuto ottime possibilità di essere eletti in Sicilia, portatori di quello stesso impegno che da sempre dimostra Salvatore Borsellino. Saverio Lodato ha portato avanti per anni l’impegno antimafia nel mondo dell’informazione e continua a farlo. Perfettamente in linea con l’intransigenza di Salvatore. Lodato ha accettato lo stesso posto in lista di quei ragazzi che hanno rifiutato, e perciò lo ringrazio".
Giudici contro
La lezione di Falcone è il senso della misura
di Nando dalla Chiesa (il Fatto, 02.02.2013)
Ma quale maledetta cupio dissolvi si sta riversando sul paese che chiede legalità e pubblico decoro? Quale patto con la follia abbiamo mai stretto per gli appuntamenti decisivi della nostra democrazia? Ci mancava pure il duello Ingroia-Boccassini, con i suoi contorni velenosi, con il suo mettere in palio anche le memorie più care. Per quel che mi riguarda provo gratitudine per Giovanni Falcone, che fece l’impossibile per darmi giustizia (e ancora mi rimprovero di non averlo difeso con ogni energia dalle insinuazioni con cui lo colpì a un certo punto un’ala del movimento antimafia). Provo gratitudine per Ilda Boccassini, per come ha retto le prove a cui l’ha chiamata nelle diverse fasi della sua vita l’interesse della Repubblica. Provo gratitudine per Antonio Ingroia, per i rischi che si è assunto cercando di portare ai livelli più alti la ricerca della verità sulla storia sconcia dei rapporti tra mafia e politica, mafia e istituzioni.
Una contrapposizione sconcertante
Per questo vedo ora con sconcerto due di loro litigare senza esclusione di colpi brandendo la memoria del primo, il più grande di tutti, Giovanni Falcone. Perché che Falcone sia stato un faro di conoscenza, di dottrina, di cultura antimafia non c’è dubbio. Senza nulla togliere ad altri grandi maestri, da Rocco Chinnici ad Antonino Caponnetto a Paolo Borsellino, il “fratello putativo” di Giovanni.
Ma è altrettanto indubbio che questa sua grandezza sconsiglia a chiunque di appropriarsene, di considerarsene l’erede o l’interprete, di farne il punto di partenza per scomuniche pubbliche o per botta e risposta che sembrano ideati da un implacabile regista negli studi di Arcore.
Lo dico da osservatore (ma anche per memoria diretta). Non è vero che Falcone parlava solo con le sentenze. Ho sulla mia scrivania “La posta in gioco”, raccolta dei suoi interventi in decine di convegni, pubblicata postuma nel 1994. Ricordo un incontro alla festa dell’Unità a cui partecipai con lui e Gerardo Chiaromonte, una folla immensa e tesissima. O una sua presenza al circolo “Turati” di Milano. Le sue interviste televisive. E quel capolavoro di sapienza antimafiosa che è ancora oggi “Cose di Cosa Nostra”, il libro intervista realizzato nel 1991 con la giornalista Mar-celle Padovani. O le sue presenze universitarie, tra cui l’ultima all’università di Pavia dal suo amico Vittorio Grevi. Non parlava affatto “solo con le sentenze”. E faceva bene. Perché aveva bisogno di spiegare, di far capire, di svolgere la sua funzione preziosissima di pioniere intellettuale. Semmai la lezione di Falcone è un’altra: ed è il senso della misura.
Nemmeno la certezza della morte lo fece scomporre
Infinito. Come la sua pazienza, come il suo senso della responsabilità, esercitato a dispetto del decennio drammatico e insanguinato in cui gli toccò di vivere. Ricordo una telefonata con lui, in cui mi espressi criticamente contro l’allora ministro dell’Interno Antonio Gava e l’allora presidente della prima sezione penale della Cassazione, Corrado Carnevale. Lui smussava, temperava; cercava, anche in privato, di valorizzare le loro ragioni. Mai lo si sentì attaccare in pubblico i suoi avversari, che erano molti e ovunque. Nemmeno la certezza di essere destinato alla morte lo fece sentire libero da quel dovere eroico della misura. Al massimo, dopo che avevano attentato alla sua vita con il tritolo dell’Addaura, parlò di “menti raffinatissime”.
La questione dei magistrati che scelgono la politica
Mai volle dare l’immagine di istituzioni alla mercé di gelosie o rivalità viscerali, nemmeno dopo l’ingiuria che gli fece il Csm dei “giuda” (espressione di Borsellino) sbarrandogli la strada a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo. Mai insultò, mai diede l’immagine di un’antimafia lacerata. E anche di questo dobbiamo essergli grati. Questo viene spontaneo di pensare assistendo increduli al rimbalzo delle accuse.
Ma una cosa va aggiunta. Personalmente non ho condiviso la scelta di Ingroia, come di Grasso, di candidarsi, e nel caso di Ingroia di farsi leader politico. Per molte ragioni, a partire dalla convinzione che la magistratura debba sempre essere e sembrare al di sopra delle parti. L’uno e l’altro mi hanno rappresentato le proprie obiezioni, che non trascuro. Devo però dire che non ho mai visto in decenni di magistrati candidati al Parlamento una concentrazione di forze e di espressioni ostili, anche abissalmente diverse per reputazione e intenzioni, come quella che si è realizzata contro Ingroia. D’accordo, si è candidato a leader. D’accordo, ha messo in fibrillazione i più alti poteri dello Stato. D’accordo, c’è paura per il premio di maggioranza al Senato in Lombardia. Ma non è scattata ancora una volta la Grande Punizione? Sotto le critiche legittime, sotto le eterne asprezze delle campagne elettorali c’è un odore inconfondibile di zolfo. Guai a non sentirlo.