Emigrazione

San Giovanni in Fiore: il sindaco Antonio Nicoletti batte Pinocchio sulla Consulta degli emigrati e varie questioni politiche?

martedì 26 giugno 2007.
 

La Consulta degli emigrati è bella e pronta. Il sindaco Nicoletti, il presidente del consiglio comunale Caputi e della commissione apposita Pagliaro esprimono gioia e soddisfazione. A loro, e a nessun altro, si deve il merito, sacrosanto, d’aver confezionato un organo rappresentativo dei partiti di maggioranza, che c’entra nulla col genitivo del nome.

Diciannove membri in tutto, di cui otto scelti per conto degli emigrati. Il resto sono, come nell’Italia di cellulite raccontata da Gian Antonio Stella, alti funzionari di partito, che hanno il compito di garantire l’“imprescindibile raccordo con le istituzioni”. Questa ultima parola è diventata anche a San Giovanni in Fiore un principio evolutivo, innovativo e salvifico, a riesumare riti e convenzioni antiche, con aura di sacertà e magistero.

“In nome delle istituzioni” è ben più solenne e convincente d’altre formule, giuridiche, scientifiche o religiose. È più forte e altero del principium individuationis e, nel caso di specie, anticipa, per l’amministrazione comunale vigente, una letizia più grande di quella che la Chiesa esprime col famoso “annuntio vobis gaudium magnum”, davanti all’elezione del papa.

Dunque, dopo anni di battaglia e divisioni, tutto è compiuto: la Consulta è realtà, e per questo dobbiamo ringraziare e celebrare la squadra di Antonio Nicoletti, riconoscendo lo spirito di abnegazione che l’ha caratterizzata fin dall’insediamento. A nulla sono valsi i ripetuti suggerimenti dei diretti interessati, gli emigrati, che non contano un tubo, “in nome delle istituzioni”. Chiedevamo una rappresentanza effettiva e concreta, una consulta snella e capace di esporre la nostra visione della realtà sociale, culturale ed economica di San Giovanni in Fiore.

Il sindaco Nicoletti aveva giurato in campagna elettorale: “Assicuro la partecipazione del popolo alla gestione della cosa pubblica”. Aveva promesso: “I cittadini avranno più voce e potranno dire la loro, senza restare delusi”. Lo aveva fatto in nome delle elezioni, non delle istituzioni, dal momento che era un candidato, come gli altri concorrenti. Lo aveva detto innanzi alle telecamere di Sila tv, in diretta, nei memorabili confronti cogli avversari: Antonio Barile, Giovanni Greco, Gianteresio Vattimo. Si era assunto l’impegno di tradurre le istanze di giustizia dei governati. Dopo il primo round televisivo, Nicoletti disse a Vattimo che avrebbe aperto ampi spazi alla società civile, qualora scelto. Forse, aveva paura del sostegno del filosofo a Barile, in caso di ballottaggio. Forse, ci fu, in quel convivio, l’influenza anglosassone del politicamente corretto o l’euforia d’un rosso d’eccezione, il “Ronco dei quattro venti”.

Nicoletti bussò alle porte del centro storico, per chiedere il voto. Cosa legittima e non sanzionabile. Ovunque, disse che avrebbe rimediato e, in primo luogo, sarebbe stato lì, in ascolto. Poi, però, s’adagiò sugli allori, dimenticò in fretta, seguì la via dell’abitudine, “in nome delle istituzioni”. Può essere che restò suggestionato dal jazzista Paolo Conte. A Vattimo mandò a dire, forse: “Diavolo rosso, dimentica la strada”. Ad altri, magari emigrati, chiuse la porta “in nome delle istituzioni”, preferendo respingere in blocco i materiali forniti pubblicamente sulla composizione della consulta. Non andava bene un organo che fosse di emigrati, col sindaco e il presidente del consiglio, così come suggerito da tanti.

Ci si dirà che siamo cattivi, ciechi e attaccabrighe. Ma noi questa farsa delle istituzioni proprio non la capiamo. Siamo consapevoli d’essere stati presi per i fondelli. Ugualmente, abbiamo piena coscienza del fatto che, a colpi di maggioranza, si può liquidare tutto, non solo la Consulta degli emigrati. Ma le consultazioni, sino a prova contraria, si tengono periodicamente. Alla prossima, molti ricorderanno ciò che la maggioranza di Nicoletti ha deciso per gli emigrati, “in nome delle istituzioni”. Lì, si giudicherà della costante esclusione della base, la società civile, la gente. Si farà la conta. Fin qui, il sindaco Nicoletti non ha mai mantenuto l’impegno di considerare l’opinione e le esigenze rappresentate da associazioni, categorie, individui.

Stranamente, “in nome delle istituzioni”, il primo cittadino non ha incontrato la comunità per spiegare che cosa è avvenuto alla casa di riposo accanto all’abbazia florense. E, sempre “in nome delle istituzioni”, non ha mai risposto per iscritto a cittadini del rione “Timpone”, in merito a un pericolo pubblico riconosciuto dalla stessa Asl 5. Così, non ha mai chiarito le ragioni di alcune decisioni gravemente lesive dei diritti dei più deboli. Sarà perché le istituzioni sono lontane? Può darsi che c’è ancora tempo, e c’è solo bisogno che un moderno server prenda a funzionare, trasmettendo in rete le scuse del sindaco, “in nome delle istituzioni”.

Emiliano Morrone

già su il Crotonese del 22 giugno 2007


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