La Consulta degli emigrati è bella e pronta. Il sindaco Nicoletti, il presidente del consiglio comunale Caputi e della commissione apposita Pagliaro esprimono gioia e soddisfazione. A loro, e a nessun altro, si deve il merito, sacrosanto, d’aver confezionato un organo rappresentativo dei partiti di maggioranza, che c’entra nulla col genitivo del nome.
Diciannove membri in tutto, di cui otto scelti per conto degli emigrati. Il resto sono, come nell’Italia di cellulite raccontata da Gian Antonio Stella, alti funzionari di partito, che hanno il compito di garantire l’“imprescindibile raccordo con le istituzioni”. Questa ultima parola è diventata anche a San Giovanni in Fiore un principio evolutivo, innovativo e salvifico, a riesumare riti e convenzioni antiche, con aura di sacertà e magistero.
“In nome delle istituzioni” è ben più solenne e convincente d’altre formule, giuridiche, scientifiche o religiose. È più forte e altero del principium individuationis e, nel caso di specie, anticipa, per l’amministrazione comunale vigente, una letizia più grande di quella che la Chiesa esprime col famoso “annuntio vobis gaudium magnum”, davanti all’elezione del papa.
Dunque, dopo anni di battaglia e divisioni, tutto è compiuto: la Consulta è realtà, e per questo dobbiamo ringraziare e celebrare la squadra di Antonio Nicoletti, riconoscendo lo spirito di abnegazione che l’ha caratterizzata fin dall’insediamento. A nulla sono valsi i ripetuti suggerimenti dei diretti interessati, gli emigrati, che non contano un tubo, “in nome delle istituzioni”. Chiedevamo una rappresentanza effettiva e concreta, una consulta snella e capace di esporre la nostra visione della realtà sociale, culturale ed economica di San Giovanni in Fiore.
Il sindaco Nicoletti aveva giurato in campagna elettorale: “Assicuro la partecipazione del popolo alla gestione della cosa pubblica”. Aveva promesso: “I cittadini avranno più voce e potranno dire la loro, senza restare delusi”. Lo aveva fatto in nome delle elezioni, non delle istituzioni, dal momento che era un candidato, come gli altri concorrenti. Lo aveva detto innanzi alle telecamere di Sila tv, in diretta, nei memorabili confronti cogli avversari: Antonio Barile, Giovanni Greco, Gianteresio Vattimo. Si era assunto l’impegno di tradurre le istanze di giustizia dei governati. Dopo il primo round televisivo, Nicoletti disse a Vattimo che avrebbe aperto ampi spazi alla società civile, qualora scelto. Forse, aveva paura del sostegno del filosofo a Barile, in caso di ballottaggio. Forse, ci fu, in quel convivio, l’influenza anglosassone del politicamente corretto o l’euforia d’un rosso d’eccezione, il “Ronco dei quattro venti”.
Nicoletti bussò alle porte del centro storico, per chiedere il voto. Cosa legittima e non sanzionabile. Ovunque, disse che avrebbe rimediato e, in primo luogo, sarebbe stato lì, in ascolto. Poi, però, s’adagiò sugli allori, dimenticò in fretta, seguì la via dell’abitudine, “in nome delle istituzioni”. Può essere che restò suggestionato dal jazzista Paolo Conte. A Vattimo mandò a dire, forse: “Diavolo rosso, dimentica la strada”. Ad altri, magari emigrati, chiuse la porta “in nome delle istituzioni”, preferendo respingere in blocco i materiali forniti pubblicamente sulla composizione della consulta. Non andava bene un organo che fosse di emigrati, col sindaco e il presidente del consiglio, così come suggerito da tanti.
Ci si dirà che siamo cattivi, ciechi e attaccabrighe. Ma noi questa farsa delle istituzioni proprio non la capiamo. Siamo consapevoli d’essere stati presi per i fondelli. Ugualmente, abbiamo piena coscienza del fatto che, a colpi di maggioranza, si può liquidare tutto, non solo la Consulta degli emigrati. Ma le consultazioni, sino a prova contraria, si tengono periodicamente. Alla prossima, molti ricorderanno ciò che la maggioranza di Nicoletti ha deciso per gli emigrati, “in nome delle istituzioni”. Lì, si giudicherà della costante esclusione della base, la società civile, la gente. Si farà la conta. Fin qui, il sindaco Nicoletti non ha mai mantenuto l’impegno di considerare l’opinione e le esigenze rappresentate da associazioni, categorie, individui.
Stranamente, “in nome delle istituzioni”, il primo cittadino non ha incontrato la comunità per spiegare che cosa è avvenuto alla casa di riposo accanto all’abbazia florense. E, sempre “in nome delle istituzioni”, non ha mai risposto per iscritto a cittadini del rione “Timpone”, in merito a un pericolo pubblico riconosciuto dalla stessa Asl 5. Così, non ha mai chiarito le ragioni di alcune decisioni gravemente lesive dei diritti dei più deboli. Sarà perché le istituzioni sono lontane? Può darsi che c’è ancora tempo, e c’è solo bisogno che un moderno server prenda a funzionare, trasmettendo in rete le scuse del sindaco, “in nome delle istituzioni”.
Emiliano Morrone
già su il Crotonese del 22 giugno 2007
La Voce deve promuovere un incontro fra cittadini e giunta? A che titolo? A qual pro? Smettiamola, ti prego, coi modelli americani. La giunta di Nicoletti ha tante cose da spiegare pubblicamente. Si faccia carico per conto proprio di incontrare il popolo: ci spieghi che cosa è avvenuto alla casa di riposo, che cosa sta succedendo all’ospedale, che cosa avviene da un quarto di secolo all’ufficio tecnico, che cosa accade cogli operai dell’ex Fondo sollievo e come farà ad approvare il prossimo bilancio, giusto per fare un esempio.
Ci dicano giunte e sindaco le ragioni per cui dentro il municipio se ne fottono altamente delle istanze scritte e non danno loro alcun peso, quasi che fossero su carta igienica. Confermando, dunque, che il difensore civico sarebbe una iattura per il palazzo.
Riguardo alla Consulta, caro Giuseppe, chi ne ha seguito la vicenda da fuori ha sempre pensato che potesse essere uno strumento, se concepito bene, perché gli emigrati avessero voce. Io penso, come Tiano, Militerno, Vattimo e molti altri, che la società si costruisca dal basso, a partire dalla strada, per intenderci.
E mi pare che, nel suo piccolo, la giunta di Nicoletti non faccia che replicare il disgraziato atteggiamento con cui il legislatore nazionale (della maggioranza di allora, di centro-destra) ha risolto l’attuale legge elettorale, fatta solo per i partiti.
Cari saluti.
Emiliano Morrone
Caro Giuseppe,
che somme si devono tirare? Apri gli occhi: a San Giovanni in Fiore come in gran parte della Calabria e dell’Italia, c’è una classe politica che pensa solo ai propri affari. Ti invito ad avere un atteggiamento più critico e rabbioso verso chi ci amministra. E non lo scrivo per qualunquismo o sufficienza. In genere, quando le cose sono troppo evidenti non si vedono. Non credo più ai momenti democratici e alle iniziative di confronto, peraltro sempre promosse da "la Voce", a proprie spese. Sai quanto modi ha l’amministrazione locale, per chiarire, spiegare, informare?
Lancio un appello, semmai qualcuno volesse raccoglierlo, per un confronto pubblico tra noi e il sindaco sull’ufficio tecnico. Che vuoi che gliene importi? Sarebbe fiato sprecato. Un’ultima cosa sulle programmazioni nella sanità: inutile sperarci. Guarda che cosa è capitato alle asl. La Calabria è in ginocchio.
Salutoni.
Emiliano Morrone
Apprezzo molto il tuo ottimismo e la tua grinta. Bisogna unirsi. Ci sono due categorie politiche, in Calabria: Ndrangheta e coscienza. Noi, tu, io, stiamo nella coscienza. Torna pure a scriverci e suggerirci, caro Giuseppe.
Salutoni.
emiliano