Politica

Il tabù infranto dell’europeismo

L’opinione di Ernesto Galli Della Loggia
lunedì 6 giugno 2005.
 

Come oggi tutti riconoscono (oggi però, quando è un po’ tardi e non è più possibile nascondere la testa nella sabbia), l’Europa non piace troppo agli europei. Non piace l’Unione come è venuta sviluppandosi in tutti questi anni, e non piace dunque l’europeismo delle classi dirigenti e dei governi che l’hanno voluta così, e che perciò si trovano logicamente accomunati nella repulsa.

Quello di Bruxelles è stato un europeismo assai lontano dall’europeismo tutto fantastico e fuori dal tempo dei padri putativi, dei Rossi e degli Spinelli. Ma ciò non vuol dire che esso non abbia corrisposto a qualcosa di molto importante. L’europeismo, infatti, ha rappresentato un punto di saldatura decisivo tra le due culture politiche egemoni dell’Europa occidentale in tutto il lungo dopoguerra, quella cristiana e quella socialdemocratica. Anche nell’ambito dei simboli e della propaganda è stato un architrave di questa egemonia.

L’europeismo in versione Ue ha finito per essere la vera, comune politica estera della socialdemocrazia e dei cristiano- democratici, l’unica che entrambi giudicassero in grado di accogliere e dare forma compiuta alle due direttive di fondo che l’ideologia suggeriva loro: il rifiuto di principio della guerra e l’impulso allo sviluppo economico. Ma proprio su questi due punti gli ultimi anni hanno spazzato via molte illusioni. Il rifiuto di principio della guerra ha mostrato il proprio nullismo nell’incapacità europea di prendere in pugno la crisi dei Balcani: da allora, quel rifiuto, se vuole essere qualcosa non può che essere un irenismo vacuo dai puntuali accenti antiamericani.

Quanto allo sviluppo economico, è sotto gli occhi di tutti l’incapacità dell’Unione di fare uscire il Vecchio Continente dalla stagnazione e dal declino che l’opprimono da anni. L’europeismo e insieme le élite ed i governi con esso identificati si sono mostrati incapaci, insomma, di incidere sulle cose che contano: sì, l’euro è stato certamente una ingessatura provvidenziale per l’Italia (e dunque irrinunciabile), ma quali benefici ha portato a francesi e tedeschi? Gli elettori si sono così accorti che dietro il testo del Trattato costituzionale non c’era in realtà quasi nulla, nessun disegno, nessun valore mobilitante, nessuna grande speranza. Si sono accorti che la politica europea e dell’Unione era ormai arrivata a consistere nell’Europa e basta, che l’autoreferenzialità era ormai sul punto di costituire l’unica ragion d’essere dell’Europa.

Anche la fretta di passare da 15 a 25 Paesi non serviva ad altro che a dimostrare di esistere. Il voto franco-olandese delle settimane scorse ha avuto il merito di mandare in pezzi per sempre il giocattolo. Il tabù ora è rotto: nella nuova fase storica segnata dalla globalizzazione e dall’11 settembre il fallimento/esaurimento dell’europeismo appare per quello che è, l’altra faccia del fallimento/ esaurimento della socialdemocrazia e del cristianesimo democratico.

Perché di questo né più né meno si tratta: di un vero e proprio cambiamento di fase storica. Il dopoguerra e le sue culture politiche sono finiti, l’Unione Sovietica è sparita, l’anticomunismo e il welfare state non torneranno mai più, e gli Stati Uniti possono fare a meno di noi. Economicamente l’Europa è ricostruita ma politicamente è ancora più sola che nel 1945. Alle sue spalle, chiusa la parentesi felice ma illusoria dei decenni del Grande Protettorato Usa-Urss e delle loro propaggini socialdemocratico- cristiane, si staglia ancora oggi e sempre solo la grande catastrofe bellica; ed è da lì che essa deve ricominciare. Così come è da lì, dalla immedesimazione e comprensione di quella catastrofe, che deve riprendere il suo discorso l’europeismo se, come è sperabile, intende cominciare una buona volta ad esistere politicamente.

Ernesto GALLI DELLA LOGGIA

su il Corriere della Sera del 6 giugno 2005

(www.corriere.it)


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