Il Cavaliere a tutto campo a "Radio anch’io". Sulla Liberazione dice: "Non partecipo a feste in cui la verità storica viene stravolta". E su Enzo Biagi fa quasi autocritica...
Berlusconi: "Ridurre le tasse
utilizzando il tesoretto" *
ROMA - "Io impiegherei il tesoretto, che ammonta a 10 miliardi di euro, per ridurre le tasse, e restituire i soldi ai loro legittimi proprietari che sanno certamente impiegarlo meglio di quanto sappia fare questo governo". Lo ha detto il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, intervenendo a "Radio anch’io", su RadioUno. Un intervento a tutto campo, quello dell’ex premier. Che ha spaziato dal 25 aprile al caso Enzo Biagi.
La Liberazione. "Non partecipo a feste in cui la realtà storica viene stravolta e utilizzata da una parte contro l’altra": queste le parole del Cavaliere. E ancora: "Non sono mai andato alle manifestazioni pubbliche del 25 aprile perchè erano tutte manifestazioni di parte", dove "non veniva considerata la festa della Liberazione ma la festa di una parte contro l’altra". Berlusconi ha sottolineato che "in occasione del 25 aprile noi tutti dovremmo ancora dire grazie agli Stati Uniti che con il sacrificio di tanti giovani ci hanno liberato dal nazi-fascismo. Non dimentichiamolo".
Telecom. "Gli istituti bancari e degli imprenditori - ha raccontato Berlusconi - sono andati da Fininvest e Mediaset dicendo che avevano intenzione di proporre una cordata italiana. Di fronte ai nomi che sono stati fatti Finivest e Mediaset hanno detto ’siamo disponibili’. E’ un atto patriottico, ma non ho nessuna pretesa di controllare quella azienda".
Putin. Il leader di Forza Italia è tornato a difendere il presidente russo Vladimir Putin, spiegando che per il Paese è stato "l’uomo della provvidenza" e che lo stesso leader di Mosca gli ha confidato che a fine mandato intende ritirarsi.
Sarkozy. "Molti spunti dei discorsi" del candidato francese all’Eliseo "sono tratti dai miei libri": questo ha sostenuto l’ex presidente del Consiglio. In particolare, ha aggiunto, "io una idea che avevo dato anche ai miei amici francesi: quella di dar vita ad un ministero dell’Immigrazione e dell’identità nazionale".
Biagi. Sulla cacciata del giornalista della Rai, Berlusconi ha fatto quasi autocritica. "Forse ho calcato la mano - ha ammesso - quando dissi che Biagi e gli altri facevano un uso criminoso della tv pubblica, ma resto dell’idea che il servizio pubblico non debba essere utilizzato per fare trasmissioni faziose". Il Cavaliere ha detto poi di "non aver mai detto che Biagi e gli altri non dovevano continuare a lavorare in Rai, ma non dovevano usare la tv pubblica per fare delle trasmissioni di parte. Comunque, ho assistito alla prima puntata e l’ho trovata veramente avvincencte. Complimenti: se continuerà così, lunga vita e permanenza in Rai".
* la Repubblica, 24 aprile 2007
«L’extra gettito fiscale? Restituire i soldi ai legittimi proprietari»
«Bravo Biagi, con lui forse calcai la mano»
Berlusconi: «Ho visto la sua nuova trasmissione e l’ho trovata avvincente». E sull’editto di Sofia: «Io non posi mai veti» *
ROMA - Silvio Berlusconi a ruota libera su Radio Anch’io. Parla di economia, scenari internazionali, di Putin e della festa del 25 aprile. Della gravidanza della figlia Barbara e della semifinale tra Milan e Manchester. Anche sull’extra gettito fiscale dice la sua: «Il tesoretto che è di 10 miliardi lo impiegherei per ridurre le tasse. Bisogna restituire i soldi ai legittimi proprietari» spiega il presidente di Forza Italia.
BIAGI - Ma il Cavaliere sorprende quando dà il bentornato a Enzo Biagi in tv, tornato in Rai con RT -Rotocalco televisivo dopo 5 anni di lontananza. «Ho assistito alla prima puntata e l’ho trovata veramente avvincente. Complimenti: se continuerà così, lunga vita e permanenza in Rai a Biagi». Pace fatta dopo l’editto di Sofia del 2002 ( ■ GUARDA)? «Io - spiega il Cavaliere - non ho mai detto che Biagi e gli altri non dovessero continuare in Rai. Io ho detto che non dovevano utilizzare la Rai per fare trasmissioni faziose. Forse ho calcato la mano ma il servizio pubblico è pagato da tutti, anche da chi non la pensa come Biagi o gli altri».
PARTITO DEMOCRATICO - Berlusconi torna sui congressi dei Ds e della Margherita a cui è stato ospite, e dice di esserne venuto via «col cuore un po’ più leggero di quello che aveva quando sono entrato», perché «in entrambi i casi c’è stata un’accoglienza cordiale e l’intenzione di guardare all’avversario come un uomo da rispettare e non come un nemico». Ma ora, osserva, «vediamo se seguiranno i fatti».
LEGGE ELETTORALE - Parlando della linea da seguire per la modifica della legge elettorale, indica due priorità: premio di maggioranza nazionale al Senato e sbarramento al 4% «che era previsto dalla precedente legge elettorale ed era stato accolto da tutti i partiti».
TELECOM - Soltanto «un interesse patriottico». Così Berlusconi chiarisce l’ipotesi di una partecipazione delle aziende del suo gruppo a un’eventuale cordata italiana per Telecom.
CASO VERONA - Ai microfoni di Radio Anch’io c’è spazio anche per una battuta sulle polemiche interne alla Cdl per le elezioni amministrative di Verona. «Un caso sgradevole», dove «Galan ha sbagliato: non conosce bene le situazioni e se n’è disinteressato. Mi dispiace molto, ma sono ancora convinto che non bisogna andare alle elezioni con tre candidati».
LA FIGLIA BARBARA - Berlusconi conferma, rallegrandosene, la notizia della gravidanza della figlia Barbara. «Sono felice perché il papa è un ragazzo che mi piace moltissimo, è fidanzato con mia figlia da cinque anni e quando ce l’ho al tavolo mi sembra anche lui un mio figlio, quindi sono veramente felice».
25 APRILE - Rispondendo ad una domanda di un ascoltatore sul 25 aprile, racconta: «Non sono mai andato alle manifestazioni pubbliche del 25 aprile perché erano tutte manifestazioni di parte», dove «non veniva considerata la festa della Liberazione ma la festa di una parte contro l’altra». Berlusconi sottolinea che «in occasione del 25 aprile noi tutti dovremmo ancora dire grazie agli Stati Uniti che con il sacrificio di tanti giovani ci hanno liberato dal nazi-fascismo. Non dimentichiamolo».
PUTIN - E passando alla Russia, «Putin è stato uomo della provvidenza per passaggio dal totalitarismo ad una democrazia compiuta. Fra meno di un anno lascerà», rivela Berlusconi che aggiunge: «Ho sempre visto in lui il convincimento e l’atteggiamento del vero democratico».
* Corriere della Sera, 24 aprile 2007
Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull’attività di spionaggio sui giudici
"Il Sismi ha svolto un’attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità"
Toghe spiate, Csm contro il Sismi
"Fu il servizio e non settori deviati" *
ROMA - E’ stato il Sismi e non i "settori deviati" del servizio a svolgere l’attività di spionaggio nei confronti magistrati che è venuta alla luce con la scoperta dell’archivio di via Nazionale a Roma. A dirlo è una risoluzione approvata all’unanimità dal Plenum del Csm.
Secondo il Consiglio superiore della magistratura il Sismi ha svolto un’attività "estranea" ai suoi compiti con lo scopo "intimidire" e far "perdere credibilità " ai magistrati.
Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, prima dell’approvazione da parte del plenum di Palazzo dei marescialli aveva dichiarato che "c’è stato uno sviamento di poteri da parte del Sismi. L’attività del servizio è andata al di là delle proprie attribuzioni e competenze".
La risoluzione del Csm arriva dopo le dichiarazioni dell’ex funzionario Pio Pompa che aveva voluto sminuire l’importanza dell’archivio. "La quasi totalità del materiale sequestrato nei miei pc personali - aveva scritto nella dichiarazione spontanea consegnata ieri pomeriggio al pm Pietro Saviotti - proviene da fonti aperte (internet, organi di informazioni, etc.). Le informazioni contenute nei files attinenti a magistrati sono tutte, ribadisco tutte, di fonte pubblica, giornalistica o informatica".
* LA REPUBBLICA, 4 luglio 2007
Il partito unico
di Furio Colombo *
Alzi lo sguardo e noti con disagio, come in una sequenza stroboscobica (la luce abbaglia e si spegne), che ci sono soprassalti e incongruenze tra una scena e l’altra.
In una inquadratura vedi Berlusconi (Berlusconi) festeggiato ai congressi Ds e Margherita. Mormora, in ognuna delle due occasioni: «Per il 95 per cento sono d’accordo». Applausi.
In un’altra inquadratura (negli stessi giorni) Berlusconi grida al colpo di Stato e al regicidio per una legge sul conflitto di interessi che lo stesso primo ministro Prodi ha giustamente definito “blanda” (e infatti due proposte di legge sullo stesso argomento, una della sinistra detta “radicale” alla Camera, una a mia firma al Senato, sono molto più “americane”, dunque molto più esigenti). E c’è chi manifesta stupore sia per la legge («Ma proprio adesso che stavamo andando verso valori condivisi?») sia per la scenata di Berlusconi («Una così brava persona»).
Però è inutile fare i polemici. Ha ragione Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 5 maggio) quando dice che «l’anomalia italiana è una anomalia doppia». Un giorno si punta l’indice e il giorno dopo tutto è perdonato.
Ma se la memoria si aggiunge alla cronaca dei fatti, le dissonanze sono degne di un concerto di John Cage. All’improvviso vedi il tuo Primo ministro che si reca da Bossi come da uno statista, il Bossi di Borghezio, di Gentilini, della schiena da raddrizzare al magistrato disabile, dei proiettili che costano poco, del tricolore al cesso. Rende omaggio alla sua saggezza. Dove siamo finiti noi elettori?
Noi non abbiamo, né avremmo mai potuto avere valori condivisi con chi suggeriva di aprire la stagione della caccia usando gli immigrati come lepri. Certo, governare è un mestiere difficile, ma c’e un filo che non si deve mai rompere, quello con chi ti ha eletto, che continua ad avere fiducia, che guarda volentieri alle cose nuove. Ma chiede di capire. E chiede che il suo voto, quel voto per un’Italia che non assomigli in niente a Berlusconi e a Bossi, continui ad avere un senso e un peso. Vediamo.
I due congressi, Ds e Margherita, sono andati bene, con nobili discorsi, commozione, ricordi, celebrazione e - fra i Ds - separazioni sofferte che fanno pensare ad amicizie più grandi degli eventi e a eventi che chiedono, come accade nella storia, sacrifici personali e decisioni non facili. Strade diverse ma non lontane, lo stesso impegno di non voltarsi a rimpiangere, anche se il percorso e il punto sognato (progettato) di arrivo viene descritto in modo diverso da diverse colonne in marcia da sinistra.
Una è la “Sinistra democratica per il socialismo europeo” riunita in affollata assemblea al Palazzo dei Congressi dell’Eur ieri, sabato 5 maggio. Altre si organizzeranno.
Il Pd che sta per nascere dai due capolinea Ds e Margherita sarà il partito di Prodi. Questa affermazione risponde alle due domande di tanti: perché un’operazione così dolorosa (almeno per i Ds)? e chi sarà il leader?
Romano Prodi a cui si deve questa Italia affaticata e difficile però senza Berlusconi, non poteva essere il capo di un governo e di una coalizione senza un partito. Dunque il capo del governo sarà, anche in linea con chi lo ha votato sia alle primarie del 2005 che alle elezioni politiche del 2006, il leader del nuovo partito. Uno dei due grandi partiti italiani.
Tutto chiaro, tutto bene. Perché allora il senso di vuoto e di disorientamento (Chi sono, adesso? Cosa vogliono da me? Lealtà a che cosa? Dove sto andando?) e anche di solitudine che constati fra deputati, senatori, quadri, e nelle storiche sezioni Ds? Perché hai l’impressione - proprio mentre ferve tanta attività politica - che la distanza dai cittadini sia diventata immensa?
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Provo a confrontarmi con tre spunti (a cui non sono sicuro di sapere dare risposta) che mi giungono da tante mail, da tanti incontri e conversazioni ansiose.
La prima è la questione del Pse, ovvero della collocazione del nuovo nato in Europa. Non è una questione di forma. L’Europa è divisa in due grandi schieramenti popolari, e non concepisce ambivalenze e sospensioni. L’Europa è divisa in due parti, come dimostrano in modo efficace le elezioni francesi: il Pse, con tutto ciò che resta (non poco) del socialismo europeo; e il partito popolare, che è l’altro volto. Comprende Angela Merkel, ma anche Silvio Berlusconi. Rappresenta grandi frenate conservatrici ma anche modi nuovi e diversi di immaginare il futuro. Sono due schieramenti vasti e importanti. Ma non compatibili. Poi ci sono diversi altri interessanti raggruppamenti, ma nessuno può ospitare l’una o l’altra delle anime italiane del nascendo Pd.
La seconda domanda è più pressante, anche se si può affrontare meglio caso per caso che in modo astratto e generale. La domanda è questa: il centro, che è l’area più contigua a una sinistra che voglia essere cauta e moderata, è già saldamente occupato, è tutto un cantiere di lavori in corso, un incrociarsi di gru e di scavi che fanno prevedere fitte costruzioni, dunque un muro limitrofo, una barriera di contenimento.
Ma poiché la direzione di marcia non prevede rivisitazioni a sinistra (o almeno nell’area di progetti, attese e speranze, tradizionalmente definita tale), ecco una terza domanda (o riflessione): quanto moderati si può essere? E dov’è la linea di confine che distinguerà i militanti del Pd dagli altri “moderati”?
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Per rispondere a queste domande (o per approfondire la riflessione sul nascituro Pd) mi sembra utile riferirmi a una espressione che ricorre sempre più spesso. L’espressione è «valori condivisi». Questa affermazione viene di volta in volta enunciata come segno di buona volontà (dunque di tendenza, di sforzo a cercare)o come prova di vera democrazia.
Chiedo attenzione su questo punto: buona volontà (o ricerca ostinata di possibili accordi), sì. Prova di vera democrazia, no. Infatti non c’è limite al volenteroso tentare di andare d’accordo. Ma la democrazia è esattamente la buona gestione del non accordo. È il set di regole per affrontare situazioni complesse, gravi, urgenti, in cui due o più parti hanno visioni, speranze, attese, obiettivi profondamente diversi.
È possibile che mediazioni intelligenti e pazienti portino a soluzioni ravvicinate. Ma se in luogo di un esito condiviso si giunge a una decisione A che nega e respinge la decisione B , la prova della democrazia è nel rispetto delle regole per far prevalere l’una o l’altra decisione, non nello sciogliere una visione nell’altra.
La questione si complica quando si aggiunge l’esortazione, anzi il proposito, di raggiungere, come viene spesso detto, una "sintesi" fra posizioni contrapposte.
Ovvio che questa affermazione indica mitezza e buona volontà che, in sé, sono buone virtù democratiche. Ma nessuna situazione di confronto umano si risolve in una sintesi. Non un processo. Non un dibattito. Non una gara. Non una equazione aperta o una partita a scacchi. E certo non una competizione elettorale.
Naturalmente ogni democrazia è fondata su valori comuni. Ma quando anche su di essi scoppia il contrasto (è stato il caso delle profonde e selvagge modifiche tentate ai tempi di Berlusconi contro la Costituzione italiana), la risposta non è una sintesi tra vandalismo costituzionale e difesa della Costituzione. La risposta è il voto. Nel caso delle tentate alterazioni alla nostra Costituzione, gli elettori italiani hanno detto no, punto e basta. Ecco perché è un errore, un vistoso e curioso errore, affermare, da parte di Prodi, che la legge proposta dal governo sul conflitto di interessi è blanda e mite, come se tali qualità avvicinassero la controparte (Berlusconi, titolare di uno dei più grandi conflitti di interessi del mondo) e rendessero più facile individuare un “valore condiviso”. Infatti - incoraggiato dall’atteggiamento mite del presidente del Consiglio - il capo dell’opposizione ha reagito con furore. Ha definito la “legge blanda” di Prodi un atto di killeraggio (ovvero di assassinio) presentando una tesi unica nel mondo democratico ed enunciata con estrema chiarezza: «I ricchi devono governare perché hanno una marcia in più. Hanno creato ricchezza per sé dimostrando di essere più bravi, più dotati di talento degli altri». E ha reagito - unico nel mondo democratico, ma ben sostenuto dai suoi avvocati, inclusi quelli poi diventati giudizi costituzionali dimissionari, e dal suo partito di proprietà - con sincera repulsione verso l’idea di separare il potere privato da quello pubblico.
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La vicenda esemplare del Family Day è un’altra buona occasione per esplorare il territorio infido dei “valori condivisi”. Viva la faccia di Pezzotta, l’ex sindacalista diventato predicatore, che annuncia: «Venga chi vuole. Ma sia chiaro che questa è una manifestazione contro i Dico». Che vuol dire: siamo contro ogni tentativo, anche mite, anche blando, di dare una mano alle coppie di fatto.
Ma è ancora più clamorosa la vicenda del presidente della Cei, monsignor Bagnasco, se posta a confronto con quella del giovane presentatore del concerto del Primo maggio Andrea Rivera.
«Non lasceremo solo l’arcivescovo Bagnasco», è stato detto dopo le scritte insultanti a lui dedicate. È stata una formulazione un po’ curiosa. È difficile che un uomo di punta della Chiesa più grande del mondo possa essere lasciato solo. Ma è apparsa giusta come simbolo di solidarietà contro il pericolo. Giusto anche ignorare del tutto le affermazioni pesanti e gravi dedicate da monsignor Bagnasco a chi non condivide i suoi “valori condivisi” parlando persino (prima delle scritte) di terrorismo. Il vescovo non parlava del terrorismo dei terroristi, ma di quello di coloro che, sulla libera scelta delle donne e sui modi di amarsi e di vivere insieme, non condividono i valori della Chiesa cattolica.
Tutta l’Italia dunque ha fatto finta di niente e ha dato - giustamente - tutta la sua solidarietà al prelato. Non uno, neppure un sindacalista, ha detto, sul momento, una sola parola in difesa di Andrea Rivera. Che cosa aveva fatto Rivera, chiamato poi terrorista (è una mania) dall’Osservatore Romano?
Aveva ricordato che Pinochet, Franco e una celebrità della banda della Magliana avevano avuto il funerale e sepoltura in chiesa, mentre il povero corpo di Welby era stato lasciato fuori. Che bello se Rivera avesse mentito e fosse stato sgridato per avere detto una bugia.
Ma ciò che ha detto Andrea Rivera è la narrazione di uno dei fatti più tristi della vita italiana: il corpo di Piergiorgio Welby è stato effettivamente lasciato in strada, fuori dalla chiesa, per essere morto di troppa, insopportabile sofferenza. Ecco dunque il punto finale di questa riflessione. Per esistere, per vivere, per generare senso e calore e dunque attrazione, il Pd deve tracciare una linea di confine, segnare i propri punti fermi e irrinunciabili, dire di che cosa è alternativa, novità, cambiamento. Non vi sembra che le centinaia di migliaia di ragazzi del Primo maggio, mentre cantavano ancora e ancora «Bella ciao» con allegria e con passione, proprio questo stessero aspettando, la riposta alla domanda «adesso chi siamo»?
Sono giovani, avventurosi e poco inclini a ritornare verso il passato. Però guardandoli si capiva che ai loro occhi (ma questo vale anche per chi scrive) non tutti i valori sono valori, non tutti i valori sono “condivisi”. E non vorrebbero (non vorremmo) - tutti quei ragazzi del Primo maggio italiano - essere folla di un partito unico. Cercano (cerchiamo), netta e chiara, come in ogni democrazia, la linea di confine.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.05.07, Modificato il: 06.05.07 alle ore 16.42
INTERVISTA
«Non siamo in un Paese normale. I magistrati? Li vorrei più coraggiosi»
di GERARDO D’AMBROSIO
MILANO - «Non siamo un paese normale». Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore di Milano che dal 2006 è senatore dell’Ulivo, reagisce alla sentenza di ieri con parole analoghe, ma di opposto significato, rispetto ai commenti dei sostenitori di Silvio Berlusconi.
Tutta la Casa delle libertà tuona che l’assoluzione è la riprova dell’«uso politico della giustizia», del «vergognoso accanimento» dei magistrati di Milano.
«Vergognose sono le leggi ad personam che certi legislatori hanno approvato al solo fine di impedire i nostri processi, di evitare una sentenza quale che fosse. Se si può giudicare solo nel 2007 un fatto di corruzione commesso nel 1991 e scoperto nel 1995, lo si deve proprio a una norma ad hoc che è stata dichiarata incostituzionale! La legge sul falso in bilancio, la stessa che ha reso non più punibili le accuse più gravi all’imprenditore Berlusconi, perché nessuno lo ha mai processato per le sue idee politiche, quella è ancora in vigore. Per rimediare a errori veri o presunti, ci sono tre gradi di giudizio con mille garanzie. E’ il deformare le regole che crea un danno irrimediabile alla giustizia e alla credibilità del Parlamento».
Questa volta non sono i politici, ma i giudici d’appello di Milano a dire che Berlusconi è innocente.
«Le sentenze si rispettano sempre, ma si possono anche criticare. Prima delle motivazioni, non faccio commenti di merito. Dico solo che il dispositivo della sentenza mi sembra estremamente singolare. Parlo dei 434 mila dollari usciti dai conti della Fininvest, passati sul conto dell’avvocato Previti e finiti sul conto del giudice Squillante: neppure il presidente Castellano, in primo grado, se l’era sentita di assolvere Berlusconi. Il tribunale aveva concesso solo a lui le attenuanti che avevano fatto cadere il reato in prescrizione».
Ora invece il collegio del presidente Nese lo ha assolto «per non aver commesso il fatto» in base al «secondo comma» dell’articolo 530.
«Appunto, quindi la corruzione c’è stata. Anche questa sentenza dice che Previti ha corrotto Squillante, ma ritiene insufficiente la prova che Berlusconi sapesse che il suo avvocato pagava il capo dei gip di Roma... con i soldi della Fininvest! Mah... La procura generale aveva chiesto cinque anni di reclusione, è prevedibile che farà ricorso in Cassazione. Alla stessa Cassazione che ha reso definitive le condanne di Previti e del giudice Metta per la corruzione da mille miliardi di lire del caso Imi-Sir».
Alla stessa Cassazione che, proprio per questi 434.404 dollari, ha annullato le condanne inflitte in tribunale e confermate in appello per Previti e Squillante, ordinando di rifare a Perugia un processo ormai prescritto.
«Qualsiasi persone civile non può che restare profondamente amareggiata dall’andamento così tortuoso di un processo a un alto magistrato imputato di aver svenduto le proprie funzioni».
Ora che ha smesso la toga e non rischia più sanzioni, risponda con franchezza: dodici anni di attacchi hanno intimidito anche la magistratura? Lungo silenzio.
«Sono domande che si fanno tutti. Gli episodi ormai sono tanti e il dubbio s’insinua. Fare solo i processi alla criminalità comune è sicuramente più facile. Tra il ’92 e il ’94 siamo stati ingenui: pensavamo che ottenere 1408 condanne definitive per tangenti bastasse a dare un colpo decisivo alla corruzione. Invece quando abbiamo toccato interessi più forti, ci hanno cambiato le leggi. Contro questa criminalità superiore, in ogni periodo storico, ci vogliono magistrati eccezionalmente capaci, autorevoli e preparati. E anche più coraggiosi. Ora questa sentenza servirà a far credere che eravamo tutti toghe rosse compreso Davigo: Berlusconi lo ripete da 15 anni. Prima del Vajont, l’unica giornalista che denunciò la frana era bollata come comunista. Di me e Alessandrini lo dicevano già quando indagavamo sui terroristi di destra per la strage di piazza Fontana. Dopo 30 anni, la Cassazione ci ha dato ragione. Alla fine è la storia a giudicare la giustizia».
Paolo Biondani
*(Corriere della Sera, 28 aprile 2007)
Fatti accertati. Misteri insoluti
di Marco Travaglio (l’Unità, 28 aprile 2007)
Naturalmente come si dice in questi casi, bisogna attendere le motivazioni della sentenza.Ma già dal dispositivo della II sezione della Corte d’appello di Milano nel processo Sme-Ariosto qualcosa si può arguire. DunqueSilvio Berlusconi «non ha commesso il fatto». O, meglio,non ci sono prove sufficienti che lo abbia commesso. Questo vuol dire infatti il comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale.
Il fatto però c’è, tant’è che gli altri imputati - gli avvocati Previti e Pacifico, e il giudice Squillante - furono condannati in primo e secondo grado per corruzione (semplice per i due legali, giudiziaria per l’ex magistrato), salvo poi salvarsi in corner grazie alla sentenza della Cassazione che l’anno scorso, smentendo se stessa, decise di spedire il processo a Perugia perché ricominciasse da capo. Anzi, non ricominciasse affatto perché, mentre le carte viaggiavano dal Palazzaccio verso Perugia, è scattata la prescrizione.
Qual è dunque il fatto? Il bonifico bancario di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) che il 5 marzo 1991 partì dal conto svizzero Ferrido della All Iberian (cassaforte estera di casa Fininvest, alimentata dalla Silvio Berlusconi Finanziaria) e in pochi minuti transitò sul conto svizzero Mercier di Previti e di lì al conto svizzero Rowena di Squillante. Un bonifico molto imbarazzante per Berlusconi, che di Squillante era amico (si telefonavano per gli auguri di Capodanno, Squillante lo inquisì e lo interrogò e poi lo prosciolse nel 1985 in un processo per antenne abusive, poi il Cavaliere tentò di nominarlo ministro della Giustizia e gli offrì pure un collegio sicuro al Senato). Tant’è che l’allora premier tentò di sbarazzarsi delle prove giunte per rogatoria dalla Svizzera (legge sulle rogatorie, 2001), poi del giudice Brambilla che lo stava giudicando in primo grado (trasferito nel gennaio 2002 dall’apposito ministro Castelli), poi direttamente del processo (lodo Maccanico-Schifani del 2003 sull’impunità per le alte cariche dello Stato). Fu tutto vano. Ottenuto lo stralcio che separava il suo processo da quello a carico dei coimputati, Berlusconi fu poi processato da un altro collegio e ritenuto colpevole per quel fatto. Ma si salvò per la prescrizione, grazie alla generosa concessione (per la settima volta) delle attenuanti generiche.
Contro quel grazioso omaggio, la Procura ricorse in appello affinché, spogliato delle attenuanti, il Cavaliere fosse condannato. A quel punto l’imputato, tramite il suo onorevole avvocato Pecorella, varò una legge che aboliva i processi d’appello dopo i proscioglimenti di primo grado: per esempio, il suo. La legge fu bocciata da Ciampi in quanto incostituzionale. Lui allora prorogò la legislatura per farla riapprovare tale e quale. Poi la Consulta la cancellò in quanto incostituzionale, e l’appello ripartì. Ieri s’è concluso con questa bella sentenza.
Insomma la condotta berlusconiana non somigliava proprio a quella di un imputato innocente. «Mai visto un innocente darsi tanto da fare per farla franca», commentò efficacemente Daniele Luttazzi. Tant’è che ieri, alla notizia dell’assoluzione (per quanto dubitativa e ancora soggetta a un possibile annullamento in Cassazione), il più sorpreso era proprio lui, il Cavaliere. Era innocente o quasi, ma non lo sapeva. O forse non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi.
In attesa delle motivazioni, che si annunciano avvincenti, la questione è molto semplice. Cesare Previti è stato definitivamente condannato a 6 anni per aver corrotto un giudice, Vittorio Metta, in cambio della sentenza Imi-Sir del 1990 (tra l’altro, la sentenza che lo dichiara pure interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, è del 4 maggio 2006, ma a un anno di distanza l’onorevole pregiudicato interdetto è ancora deputato a spese nostre).
Due mesi fa la Corte d’appello di Milano l’ha condannato a un altro anno e 8 mesi per aver corrotto lo stesso giudice Metta in cambio della sentenza che, due mesi dopo di quella Imi-Sir, toglieva la Mondadori a De Benedetti per regalarla a Berlusconi (che, processato come mandante di quella mazzetta, è uscito da quel processo grazie alle attenuanti generiche e alla conseguente prescrizione). Restava da definire il ruolo di Berlusconi in quel versamento estero su estero a Squillante, risalente a un mese dopo la sentenza Mondadori: marzo 1991. Tre tangenti giudiziarie in 5 mesi, tra la fine del 1990 e l’inizio del ’91. Se Previti, com’è irrevocabilmente accertato, pagò Metta per conto della famiglia Rovelli per vincere la causa (altrimenti persa) dell’Imi-Sir; se Previti pagò Metta per conto di Berlusconi per vincere la causa (altrimenti persa) del lodo Mondadori; ecco, se è vero tutto questo, per conto di chi Previti pagava Squillante? E perché Squillante, nel 1988, al termine della causa Sme vinta da Berlusconi e Barilla e persa da De Benedetti, ricevette 100 milioni estero su estero tramite Previti e Pacifico da Barilla, cioè dal socio di Berlusconi che non conosceva né Pacifico, né Previti, né Squillante? Questi erano i termini della questione che ieri i giudici dovevano risolvere. Hanno stabilito che, per i 100 milioni di Barilla a Squillante, «il fatto non sussiste»: sarà stato un omaggio a un giudice che stava particolarmente simpatico al re della pasta (che però non lo conosceva). Quanto ai 500 milioni della Fininvest a Squillante, Previti avrà fatto tutto da solo. Pur non essendo coinvolto personalmente in alcun processo (all’epoca, almeno), pagava il capo dell’ufficio Istruzione di Roma con soldi di Berlusconi, ma all’insaputa di Berlusconi, che non gli ha mai chiesto conto dei suoi quattrini (ma adesso lo farà, oh se lo farà: andrà da Previti, presso la comunità di recupero per tossicodipendenti dove sta scontando la pena, lo prenderà per il bavero e lo strapazzerà a dovere, per avergli causato tanti guai con la giustizia). O almeno non c’è la prova, nemmeno logica, che Berlusconi lo sapesse. Squillante, quando gli telefonava per gli auguri di Capodanno o negoziava il suo seggio al Senato, non gli parlò mai di quei generosi bonifici in Svizzera. Che so, per ringraziarlo. Invece niente, nemmeno una parola gentile. Che ingrato.
Cancellato il film di Moretti su Berlusconi: è polemica. Scontro fra Cossiga e Rai su Funari.
La pay tv: "Nessuna pressione esterna, decisione autonoma della rete"
Par condicio, via "Il caimano"
autocensura preventiva di Sky
di ERNESTO ASSANTE e ALDO FONTANAROSA *
Un momento del film "Il caimano" di Nanni Moretti ROMA - Da settimane gli spot di Sky davano appuntamento al 25 aprile per la prima televisiva del "Caimano" di Nanni Moretti. Il film che il regista ha dedicato a Silvio Berlusconi era in programmazione sul canale "Cinema Mania", ore 21. Ma chi ieri sera si è messo davanti al televisore è rimasto deluso e forse a bocca aperta. Invece del film di Moretti, Sky ha mandato il francese "Il gusto degli altri" mentre scorreva la seguente scritta: "A causa dell’applicazione delle norme sulla par condicio, il film previsto non può essere trasmesso durante la campagna elettorale in corso". Niente "Caimano", dunque, alla vigilia del voto amministrativo che si svolgerà in alcuni Comuni e alcune Province tra la Sicilia (il 13 e 14 maggio), la Valle d’Aosta (il 20 maggio) e un pugno di altre regioni (il 27 e 28 maggio).
Rintracciato (ironia della sorte) mentre sta entrando in un cinema, un portavoce di Sky si giustifica: "La decisione è stata presa nelle ultime ore senza alcuna pressione esterna". Insomma: né Forza Italia né altri partiti del centrodestra avrebbero bussato alla porta della pay-tv di proprietà di Rupert Murdoch per sollecitare il blocco del film. Continua il portavoce: "Ci siamo mossi in questo senso per evitare di incorrere nelle pesanti sanzioni come multe o oscuramenti previste dalle norme sulla par condicio. Pur rimanendo da parte nostra dubbi sull’applicabilità della legge per il film in questione".
Chi proprio non ha dubbi sul caso è Nicola D’Angelo, uno degli otto commissari che lavorano all’Autorità per le Comunicazioni, che è poi la sentinella della par condicio durante la campagna elettorale (iniziata il 12 aprile). D’Angelo nega che l’Autorità abbia dato alcuna indicazione sul film di Moretti. Quindi contesta la scelta di Sky: "Mi sembra una cosa che non sta né in cielo né in terra e neanche sul satellite". Per un caso del destino anche Vincenzo Vita era davanti a Sky per vedere, anzi per rivedere "Il Caimano", ieri sera: "Sono quasi incredulo", dice l’ex sottosegretario diessino padre della par condicio, "siamo di fronte a un’interpretazione strumentale delle regole".
Nervi tesi anche a Viale Mazzini. Francesco Cossiga attacca la Rai e si dichiara lui pure vittima della par condicio, o meglio di una sua errata interpretazione. Con un comunicato, l’ex capo dello Stato annuncia che non andrà ad Apocalypse show, nuova trasmissione di Funari, da sabato su RaiUno, dove era stato invitato. Sulla sua partecipazione, sarebbe caduta "la scure del direttore delle Rete, un ometto di cui non mi ricordo il nome, e del pavido Cappone", che è poi il direttore generale della Rai. Aggiunge Cossiga: "A dire il vero, debbono pur bene cercare di salvarsi il c... anche loro, con i tempi che corrono".
La televisione di Stato è "sorpresa" dalle parole dell’ex presidente. E’ vero: le regole sulla par condicio impedivano la sua presenza in un programma di intrattenimento. Proprio il direttore generale Cappon, però, si è mosso perché Cossiga potesse godere di una "speciale deroga". In sostanza Cappon ha telefonato a Landolfi, deputato di An e presidente della commissione parlamentare che vigilia sulla Rai. E Landolfi ha concesso il "lasciapassare" televisivo a Cossiga. Ma l’ex capo dello Stato e senatore a vita non torna sui suoi passi: "Ho la mia dignità e me ne f... di Cappon (o Cappone?), di Petruccioli, di Del Noce" e anche di un "ignoto", aggiunge, che pure avrebbe avuto ruolo nella storia.
* la Repubblica, 26 aprile 2007
Napolitano sul 25 Aprile «Rispettare la Liberazione»
A Cefalonia il ricordo della Acqui
di Vincenzo Vasile *
A mezzogiorno c’è una battuta volante di Berlusconi sul 25 aprile «festa di parte» cui si vanta di non aver «mai partecipato»; lui pensa che si dovrebbe «dire grazie» soltanto «agli Americani» (e non si capisce perché non ai britannici e agli altri Alleati). E c’è una riflessione di Napolitano, nel pomeriggio al Quirinale, sul cemento unitario e di rinnovamento di quei «valori» non solo da «ricordare» ma da «rispettare». Il ricordo torna a quando l’allora capo del governo, nel precedente settennato, rifiutava con pretesti meschini gli inviti alle cerimonie resistenziali di Ciampi. Clima e situazioni diversi, oggi: l’opposizione sotto forma delle rappresentanze istituzionali sarà, per esempio, regolarmente presente questa mattina alla cerimonia del Vittoriano.
E Napolitano ha avuto ieri una prima occasione per un discorso pacato e argomentato davanti alle associazioni dei combattenti e dei partigiani, per la prima volta convocate assieme sul Colle. Non è una replica voluta alla battuta di Berlusconi, si tratta piuttosto di una coincidenza oggettiva, ma significativa. Perché la Liberazione non fu, per Napolitano, opera di un solo protagonista, ma «il frutto di innumerevoli sforzi coerenti nello spirito e negli scopi, anche se distinti nei modi». Quelle battaglie non furono sterili, certe volte «anticiparono», in altre occasioni «accompagnarono» e «spesso integrarono» l’intervento, «pur determinante delle forze anglo-americane». E l’elenco dei partecipanti a questo coro è lungo: «La lotta partigiana in armi, le azioni di combattimento delle forze armate in Italia e all’estero dopo l’8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei lager e quella spontanea delle città, come dei piccoli comuni, fino all’azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli cittadini». Insomma, ogni anno ci porta a riflettere su come il paese uscì dalla barbarie del nazi-fascismo e della guerra e a ricordare quanti «furono artefici insieme alle forze degli alleati di un doloroso ma decisivo passaggio della storia del nostro paese». Perché la lotta di liberazione «fu innanzitutto moto spontaneo delle coscienze e sacrificio di tantissimi italiani, insieme con vaste schiere di giovani soldati americani, inglesi, francesi, canadesi, polacchi e di altri paesi alleati».
Tra i luoghi simbolo c’è dunque l’isola greca di Cefalonia dove il presidente si recherà oggi a ricordare il sacrificio di 9.500 militari della Divisione Acqui che, dopo l’8 settembre, non vollero accettare la resa pretesa dai nazisti. In continuità con quel sacrificio, è la missione delle nostre Forze Armate. Sicché Napolitano raccomanda che pur di fronte a «un pesante debito pubblico», esse «conservino standard quantitativi e qualitativi comparabili a quelli dei principali partner europei». È un input al governo e al Parlamento: bisogna provvedere «con tutta la gradualità e la capacità di selezione e qualificazione della spesa» imposta dal gravame del debito pubblico. In specie tenendo a mente i compiti svolti dal nostro apparato militare nelle missioni di pace, dove «ci ispira oggi il grande moto di libertà e di progresso che noi associamo alla storica giornata del 25 aprile».
* l’Unità, Pubblicato il: 25.04.07, Modificato il: 25.04.07 alle ore 10.37
25 aprile, da Napolitano lezione di storia a Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere: "Non ho mai partecipato perché è una celebrazione di parte"
"I valori della Liberazione ancora guidano l’Italia"
Il capo dello Stato incontra al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma. Oggi a Cefalonia in Grecia per celebrare il sacrificio della Divisione Acqui
di GIORGIO BATTISTINI *
ROMA - Napolitano, lezione di storia a Berlusconi. Una messa a punto chiara e indiretta, ma senza infierire. "La Liberazione fu per l’Italia il frutto di innumerevoli sforzi, coerenti nello spirito e negli scopi, anche se distanti nei modi". Sforzi che "anticiparono, accompagnarono e spesso integrarono l’intervento pur determinante delle forze angloamericane", ha detto ieri il presidente della Repubblica parlando al Quirinale alle Associazioni combattentistiche e d’arma. Per la prima volta riunite tutte insieme, in occasione del 25 aprile.
Una sintesi estrema, quella di Giorgio Napolitano, per nulla in sintonia con le parole che poche ore prima aveva diffuso, per radio, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che nei suoi cinque anni di guida del governo mai aveva partecipato alle cerimonie ufficiali organizzate da Ciampi al Quirinale. Secondo il Cavaliere "in occasione del 25 aprile noi dobbiamo ancora dire grazie a una grande democrazia che ci ha salvato dal nazifascismo per ridare a noi libertà e dignità. Credo che questo ce lo dobbiamo ricordare anche di fronte a certo antiamericanismo ideologico della sinistra". Berlusconi, intervistato dalla radio, va oltre. Dice di non aver mai partecipato alle feste della Liberazione perché nelle ricostruzioni "la realtà storica viene stravolta, e vengono utilizzate una contro l’altra". La Liberazione, ammette, "è stata merito dei partigiani, ci mancherebbe altro. Ma sono avvenute anche cose molto sanguinose come ben illustra il libro di Pansa".
Di tutt’altro stile le parole di Napolitano, al Quirinale, in attesa della celebrazione formale che prevista per oggi a Cefalonia, in Grecia. La Lotta di Liberazione, spiega il presidente dando quasi l’impressione di una lezione privata di storia a uso esclusivo dell’ex presidente del Consiglio, fu "innanzitutto moto spontaneo delle coscienze, che si estese dalle Fosse Ardeatine a Marzabotto, da porta san Paolo a Cefalonia, dalle montagne italiane ai Balcani, dalle carceri di Regina Coeli e san Vittore ai lager nazisti. E fu sacrificio di tantissimi italiani, insieme con vaste schiere di giovani soldati americani, inglesi, francesi, canadesi, polacchi e di altri Paesi alleati". Quasi una rassegna dei cimiteri di guerra sul territorio italiano, a smentire alla radice qualsiasi accusa di trascuratezza.
Non basta. Spiega Napolitano (a Berlusconi, e certo non solo a lui) parlando degli sforzi italiani che "anticiparono e accompagnarono" l’intervento "pur determinante delle forze angloamericane" quello che fu il ruolo determinante ed essenziale della Resistenza popolare. Nelle sue varie forme. "La lotta partigiana in armi, le azioni di combattimento delle Forze armate in Italia e all’estero dopo l’8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei lager e quella spontanea delle città come dei piccoli comuni, fino all’azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli cittadini". Ecco perché, dice Giorgio Napolitano (primo capo dello Stato proveniente dalla storia del Pci) la Liberazione fu in effetti anche "premessa e condizione per un’Italia nuova, per la Costituzione, per la faticosa ed entusiasmante edificazione di una democrazia vitale per la rinascita economica e sociale, per lo sbocciare della realtà istituzionale dell’Europa e delle organizzazioni internazionali". E dunque "anima e strumento del multilateralismo" in vista del "superamento della contrapposizione tra i blocchi ideologici e militari. Alla presenza, nel salone degli specchi al Quirinale, del ministro della Difesa Parisi (impegnato a ricordare come "le Forze armate guardano con orgoglio alle gesta dei combattenti di allora") il presidente della Repubblica ha ringraziato i cittadini in armi impegnati ad "affermare i valori italiani sia in Patria sia nei diversi teatri impegnativi dove i nostri sono chiamati ad operare".
* la Repubblica, 25 aprile 2007
Via alle celebrazioni della festa della Liberazione
Napolitano prima all’Altare della Patria e poi a Cefalonia
25 aprile, Amato: "La Resistenza non fu fatta da una minoranza"
Prodi: "Il Paese è sulla strada della riconciliazione politica"
Fini: "Verità storica, non faziosità ideologica" *
ROMA - L’avvio l’ha dato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E’ stato lui, deponendo una corona di alloro all’Altare della Patria, a far iniziare le celebrazioni del 62esimo avviversario della Liberazione. Al suo fianco ministri e rappresentanti delle istituzioni. Compreso Romano Prodi che vede un paese "sulla via della riconciliazione", che deve "rinnovare la memoria, perchè la memoria ferma viene uccisa dal tempo".
E se il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha definito l’antifascismo, "una sola grande religione civile", è stato il titolare dell’Interno, Giuliano Amato, a sottolineare il ruolo di coloro che si opposero al nazifascismo: "Non furono un’esigua minoranza coloro che parteciparono alla Resistenza". Il ministro ricorda così "gli italiani che si fecero fucilare, ma non dettero al nemico i nomi che avrebbero potuto salvar loro la vita, comunità intere che si ribellarono ai raid di occupanti e nazifascisti e cominciarono a ricostruire le fondamenta del Paese". Azioni che Amato definisce "tasselli preziosi di dignità nazionale, che furono alla base della rinascita della patria in Italia". A quei valori, prosegue Amato, "siamo chiamati a restare fedeli oggi in un tempo meno avventuroso".
E il ricordo "dei combattenti di allora" è stato il fulcro dell’intervento del ministro della Difesa Arturo Parisi: "Quando tutto sembrava perduto, le nostre tradizioni e perfino la stessa identità nazionale, proprio allora iniziò il faticoso cammino del riscatto". Due interventi che sottolineano la continuità dei valori e degli insegnamenti della lotta di Liberazione, già indicati ieri dal capo dello Stato come attuali e fondanti. Un distinguo, invece, arriva da Gianfranco Fini. Per il leader di An: "Il 25 aprile non deve essere una festa all’insegna della verità storica e non della faziosità ideologica".
E oggi il presidente Napolitano ha conferito medaglie al merito a Comuni, personalità e associazioni che durante la Liberazione e negli anni del fascismo si adoperarono a difesa degli ebrei, dei perseguitati politici e per assistere la popolazione colpita da rappresaglie e atti di guerra. Napolitano poi è partito per l’isola greca di Cefalonia, dove ricorderà i 9.600 caduti della Divisione Acqui, che rifiutando di consegnare le armi ai tedeschi, diedero vita, dopo l’8 settembre 1943, a uno dei primi atti della resistenza al nazifascismo.
* la Repubblica, 25 aprile 2007
Conflitto d’interessi, il 14 maggio in aula la nuova legge
Da Bertinotti un calendario rigido e Forza Italia protesta: "Tempi ridicoli" *
ROMA - Il ministro Di Pietro fa una battuta ecclesiale: «Berlusconi», spiega, «deve decidere se essere prete oppure sacrestano, se fare il politico o l’imprenditore». Non sono parole causali. La questione del conflitto di interessi torna ai primi posti dell’agenda politica.
Dopo mesi di estenuante confronto nelle commissioni parlamentari, le nuove regole proposte dall’Unione arriveranno il 14 maggio all’esame dell’aula. Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo, lascia capire che la vicenda Telecom, con il possibile ingresso di Fininvest in una cordata di compratori italiani, non permette altri rinvii. Franceschini vuole anche rassicurare forze minori dell’Unione come il Pdci preoccupate che Berlusconi accetti una riforma elettorale a patto di una ritirata del centrosinistra su conflitto d’interessi e legge tv. In questo scenario, Fausto Bertinotti, presidente della Camera, stringe i bulloni e fissa tempi certi per l’approvazione del testo sul conflitto: 10 ore potranno essere spese nella discussione generale ed altre 16 ore nell’esame dei singoli articoli. E’ un tempo abbastanza ampio, visto che le misure sulle intercettazioni hanno ricevuto solo 14 ore. Ma Elio Vito, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, lo considera davvero troppo breve, anzi: «Ridicolo».
Bertinotti non gradisce, chiede a Vito di ritirare l’aggettivo e osserva che i tempi «sono ormai maturi per l’approdo in aula». Ma Forza Italia non arretra e avverte che alzerà alte barricate prima alla Camera e poi al Senato. Dice l’ex ministro La Loggia che l’Unione ha costruito un «testo illiberale, inquisitorio, lesivo degli interessi dei singoli e dei loro familiari, soprattutto concepito per colpire un solo uomo, Silvio Berlusconi». Larga parte dell’Udc è con Forza Italia. Spiega Maurizio Ronconi: «Il provvedimento non lascia scampo al Cavaliere, che dovrebbe cedere le sue aziende nel giro di poche settimane oppure affidarle ad un soggetto indipendente, a un "blind trust" che avrebbe pieni poteri, compreso quello della vendita».
* la Repubblica, 25 APRILE 2007
L’Italia incompatibile
di Furio Colombo *
Giorni come il 25 aprile tracciano linee di confine, demarcazioni nette fra un prima e un dopo, fra un destino e un altro destino, un’Italia e un’altra Italia. Non resta che sperare che niente di questa data diventi cerimonia e abitudine e che ci sia sempre chi la spiega nelle scuole ai più giovani con pazienza e chiarezza.
Non c’è niente in questa frase che condanni irreversibilmente qualcuno, vita, scelte, idee, sentimenti, o che stabilisca (troppo tardi, comunque) una lista di reietti. Niente che non rispetti i morti. Quanto ai vivi, gli esseri umani cambiano in meglio o in peggio e si trasformano tutto il tempo come la natura, il paesaggio, la storia. Dipende dal momento in cui si scatta la fotografia il rapporto col tempo, passato e futuro.
Ma date come il 25 aprile non spostano di un millimetro il senso di ciò che è avvenuto e che ha salvato tutti, persecutori e perseguitati, anzi ha salvato - con il suo impetuoso sbocco nella libertà - sopratutto i persecutori che sarebbero stati costretti a continuare nella loro triste missione, ondata di morti dopo ondata di morti.
Per questo chiunque, la sera del 22 aprile, si sia incontrato con il programma «RT, Rotocalco televisivo, Speciale Resistenza e resistenze», di Enzo Biagi, su Raitre, ha un debito in più verso il vecchio maestro che non rinuncia. E dopo cinque anni di esilio riprende con gli italiani, tra montagne di spazzatura e di vergogna, il discorso di libertà esattamente dal punto in cui lo avevano forzato a interrompere.
Come ricorderete Enzo Biagi è il primo, nella lista di alcuni protagonisti della televisione italiana (tra cui Michele Santoro, Daniele Luttazzi) licenziati personalmente con un potere che non aveva - ma che alla Rai, tramite personale subalterno, è diventato immediatamente esecutivo - dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Molti di noi hanno frequentemente citato con scandalo la motivazione di quel licenziamento: «attività criminosa». Con queste parole Silvio Berlusconi che - ci viene detto - non è nemico ma solo avversario, intendeva descrivere ogni attività di opposizione. E a molti di noi è sembrato naturale definire “regime” la situazione politica in cui un governante vuole e può mettere a tacere chi non lo esalta.
Ora, cambiato il tempo, il governo - e, un pochino anche il Paese e la Rai - Enzo Biagi ritorna. E con la sua trasmissione dedicata alla Resistenza, nel senso originale del 25 Aprile e nel senso perenne del non piegarsi solo perché qualcuno è più ricco e potente e ti può anche mettere al bando, racconta con la sua implacabile pacatezza che esiste una Italia incompatibile con l’Italia libera e democratica evocata da quel giorno e descritta nei dettagli dalla Costituzione. E che non è questione di sentimenti (inimicizia o gentile confronto) ma di nessun punto di corrispondenza fra un’Italia e l’altra. Dice che non bastano né le lacune della memoria né la potenza dei media (tuttora in prevalenza orientati a non offendere un grande editore che può comprare tutto, e può comprare molti) a oscurare l’incompatibilità di un’Italia con l’altra.
Credo che possa essere utile confrontare il sommario della trasmissione con cui Biagi torna in Tv con l’articolo di fondo de Il Giornale (autore Massimo Teodori) dello stesso giorno. Quell’articolo celebra la buona accoglienza riservata a Berlusconi nei due congressi fondanti del nascente PD, ma poi elenca le tappe, che per l’autore sono esecrabili, della “delegittimazione di Berlusconi”. L’Italia di Biagi si apre con Roberto Saviano e la piovra della camorra con cui non si può convivere, si chiude con Tina Anselmi, mai dimenticata investigatrice della P2, passa attraverso la Resistenza come guerra partigiana e lotta al fascismo.
Ci fa riascoltare la voce limpida di Primo Levi che descrive con la famosa chiarezza come si distrugge un essere umano. Ascolta Vittorio Foa da giovane: si poteva non resistere?
E colloca al centro il magistrato Gherardo Colombo, verso cui molti italiani si considerano debitori (come verso tutto il Pool di Mani pulite) per la coraggiosa, tenace, difficilissima difesa della reputazione dell’Italia, mentre stava per essere ricoperta da un blob di corruzione tra i più vasti e più estesi al mondo.
Dunque, lo stesso giorno in cui è andata in onda la trasmissione-manifesto di Enzo Biagi, Massimo Teodori ha scritto: «La storia (della delegittimazione e demonizzazione del “nemico” politico, Ndr) cominciò dal colle più alto con Oscar Luigi Scalfaro che distorse i poteri presidenziali contro il premier». Come è noto «li distorse» per impedire che il plurinquisito Previti, ora condannato in via definitiva, diventasse ministro della Giustizia, evitando dunque un grave insulto alla Repubblica e all’immagine dell’Italia nel mondo. L’articolo di Teodori continua: «La storia proseguì con l’accanimento giudiziario in sintonia con l’ala giustizialista dei post-comunisti». Si capisce l’intento.
“Accanimento giudiziario” deve diventare il titolo di un capitolo della storia italiana, quello dei processi a Silvio Berlusconi. L’autore evidentemente conta sul fatto che a poco a poco smetteremo di insistere nel raccontare ciò che è avvenuto davvero e finiremo per dire che, sì, quelle gravissime imputazioni non erano che vaneggiamenti di giudici comunisti. L’affermazione viene dalla casa che non ha esitato a dire e a ripetere che «bisogna essere mentalmente tarati per fare i giudici».
Ma l’autore del fondo de Il Giornale implacabile continua:
«Infine i girotondi espressero, ai limiti del grottesco, quell’animus giacobino tanto gradito ai piani alti della politica illiberale e della gauche caviar, la cui nobile aspirazione era vedere in manette il parvenu della politica».
Poiché i girotondi sono mobilitazione spontanea, diventa interessante l’evocazione dei «piani alti della politica illiberale» che vuol dire: è illiberale chi invoca «la legge uguale per tutti» e denuncia le leggi ad personam che la rendono «legge di uno solo». La frase è affetta da palese assurdità fattuale, logica e storica. Ma Teodori ha un punto di forza su cui poggiare la sua costruzione orwelliana del “ministero della verità”. Dice infatti in conclusione: «Se il Partito Democratico servirà a tenere a freno le pulsioni antidemocratiche tanto radicate nei politici di sinistra (ovvero l’ostinazione a ripetere : “la legge è uguale per tutti”, Ndr) sarà un passo avanti per l’Italia civile e liberale». Sembra chiaro che qui si sta accennando all’Italia di Previti, Dell’Utri, Cuffaro, dei beneficiari di condono continuo, degli evasori lodati perché «a un certo punto diventa legittimo frodare il fisco», degli scrupolosi autori dei falsi in bilancio, di personaggi come il sindaco An di Trieste che ha sempre rifiutato di recarsi alla risiera di San Sabba dove fascisti e nazisti massacravano gli ebrei.
Del resto il capo di tutta questa gente mai si è fatto trovare - lui che è dappertutto - ad una celebrazione del 25 aprile durante i cinque anni del suo celebrato governo costellato di canzoni e di allegre passeggiate a Villa Certosa. L’Italia di Tina Anselmi, di Oscar Luigi Scalfaro, di Gherardo Colombo, dei girotondi ne ha fatto a meno.
Come si vede la questione - che è giusto ripetere nel giorno della Resistenza incoraggiati dal libero ritorno in video di Enzo Biagi - non è di buona educazione (anche se è bene mostrare buona educazione quando Silvio Berlusconi si presenta al congresso di un partito che ha appena finito di considerare autore di «delitti, morte e miseria»). È una questione di incompatibilità. L’Italia della Liberazione e della Costituzione è incompatibile con l’Italia della illegalità che ha cercato, senza successo, di cancellare il 25 aprile e metà della Costituzione italiana nata dal 25 aprile. La scelta fra queste due Italie è una decisione drammatica che tocca agli elettori. A noi spetta il compito di rendere chiara l’alternativa.
* l’Unità, Pubblicato il: 25.04.07, Modificato il: 25.04.07 alle ore 8.40
Conflitto d’interessi: la legge
di Furio Colombo *
Rispondo a centinaia di e-mail che continuano ad arrivare nella mia posta elettronica e al giornale, e pubblico in questo editoriale la proposta di legge sul conflitto di interessi che ho depositato al Senato. Per ora reca solo la mia firma ma spero che altre, più autorevoli della mia, si aggiungeranno.
Come sapete un’altra legge è depositata alla Camera dalla maggioranza a cui appartengo e comincerà ad essere discussa in maggio.
Con la mia proposta di legge, profondamente diversa, spero di essere di aiuto sia perché penso di rappresentare, con gli intenti di questa legge, idee e sentimenti di coloro che ci hanno votato, sia perché, scrivendola, ho voluto evitare vuoti di memoria, e la inclinazione a pretendere che nei cinque anni del governo Berlusconi non sia successo niente, che a volte viene presentata come gesto necessario per riconoscerci tutti da una stessa parte.
Continuo a pensare che non siamo tutti da una stessa parte (altrimenti non esisterebbe la politica) e che visioni contrapposte e diverse siano i tratti essenziali della democrazia.
La visione espressa in questa legge considera pericolosa la commistione di vasti e potenti interessi privati di qualcuno con l’interesse pubblico di tutti. Il testo di legge che segue si propone di tracciare una netta linea di demarcazione che protegga il Paese dal grave pericolo che abbiamo già sperimentato.
* * *
Onorevoli colleghi, il problema del conflitto di interessi - ovvero di incompatibilità dei titolari di funzioni di governo che siano anche titolari di rilevanti attività aziendali - è lo scopo di questa proposta di legge. Con essa si vuole impedire la paralisi della normale vita politica di un paese che si verifica quando una persona, oltre che responsabile di attività di governo, è anche alla guida di rilevanti attività economiche. Questa proposta di legge tende a colmare due vuoti legislativi pericolosi e allarmanti. Il primo riguarda la portata e le dimensioni dell’attività privata che - facendo capo a una persona che svolge funzioni di governo - tende a creare il problema gravissimo di una sovrapposizione o aggancio fra responsabilità pubblica e interesse privato.
Il secondo vuoto riguarda l’attenzione scarsa o nulla finora prestata al delicatissimo settore imprenditoriale delle comunicazioni intese in tutte le possibili forme, modi e settori in cui tale attività si può svolgere, dalla Tv, alla radio, ai giornali, alla telefonia, all’informatica.
Il problema, in tutti e due i percorsi indicati, è materia così delicata e rilevante al fine di definire incompatibilità e separazione completa di responsabilità pubblica e interesse privato, che la sua regolamentazione non può essere rinviata ai criteri decisionali, che possono essere di volta diversi, di una autorità garante.
Nessuna autorità può essere messa in condizioni di decidere su un conflitto di interessi in assenza di una legge che stabilisca le modalità per risolverlo. Non è ragionevole chiamare qualcuno - per quanto autorevole - a decidere su un conflitto già in atto fra attività di governo e interessi privati. Infatti quando tale conflitto è insorto, si sono già stabilite le condizioni di pericolo per la legalità che possono rendere inagibile l’azione di una eventualità Autorità incaricata di risolvere il problema.
È persuasione di chi presenta questa proposta di legge che ogni aspetto della incompatibilità tra funzioni e interessi e ogni regola sul come identificare, impedire o fermare un conflitto di interessi debba essere definito e diventare legge della Repubblica prima che il conflitto insorga, così come avviene per ogni comportamento giudicato - da una comunità e dai suoi legislatori - pericoloso per la vita della repubblica e i rapporti fra i cittadini. Nel caso che stiamo discutendo, è in gioco la credibilità e rispettabilità di un governo e dei suoi membri, il rispetto per le norme e decisioni di quel governo, la certezza che in nessun caso e per nessuna ragione possa esservi dubbio sul completo disinteresse di ogni azione e decisione di governo, il costante rispetto di ogni norma vigente, l’armonia con i principi della carta costituzionale, prima fra tutte è la prescrizione, che è anche vincolo comune: «La legge è uguale per tutti».
Il conflitto di interessi in atto infrange, prima di tutto, tale fondamentale principio. Infatti attribuisce al titolare del conflitto la disponibilità di un doppio criterio decisionale: l’efficacia erga omnes di una determinata norma o decisione; ma anche la possibile convenienza privata di quella norma o decisione nell’ambito degli interessi personali di chi governa, se chi governa è titolare di conflitto. Ovvero è in grado di decidere sul proprio beneficio privato.
Questa legge indica le dimensioni, ovviamente cospicue, del tipo di interesse privato, finanziario, azionario, proprietario o manageriale cui si intende porre argine e stabilire impedimento.
L’esperienza, anche recente, insegna che esercitare funzioni di governo - mentre si rappresentano vasti interessi privati - è situazione in grado di travolgere l’autonomia di qualunque Autorità (per esempio attraverso insistenti ed efficaci campagne di intimidazione e delegittimazione mediatica, campagne facilmente orchestrabili con mezzi adeguati). La stessa esperienza dimostra la capacità di condizionare una assemblea legislativa (certo la parte di assemblea che sostiene il titolare di un vasto conflitto di interessi) sia attraverso il peso mediatico, sia attraverso la versatilità e varietà di interventi, premi e vantaggi in svariati settori e in luoghi diversi della vita pubblica e privata, in modo da rendere compatto il consenso ogni volta che esso riguardi una legge "ad personam".
Le leggi "ad personam", di cui è stata costellata la legislatura precedente, sono il capolavoro del conflitto di interessi, nel senso di manifestazione perfetta del danno nei confronti di un paese, delle sue leggi, dei suoi cittadini. Dimostrano che un potente titolare di conflitto di interessi tende a usare la condizione anomala esattamente nel senso per il quale tale condizione deve essere preventivamente proibita; ovvero, per il suo esclusivo, privato, personale interesse. E poiché, come si è visto e constatato di recente in Italia, è in grado di farlo usando l’obbedienza compatta di una maggioranza, si ha la dimostrazione che il conflitto di interessi - quando esiste in dimensioni abbastanza grandi - è in grado di rompere il patto fra lo stato e i cittadini, di relegare in posizione irrilevante il dettato della Costituzione e di usare un vasto consenso, creato dall’uso spregiudicato del conflitto di interessi, per favorire e sviluppare tutti i modi - che sono in sé l’opposto dell’interesse pubblico - in cui quel conflitto si può esprimere.
Ciò dimostra quanto sia arduo e irrealistico immaginare che una Autorità garante - che è parte delle istituzioni umiliate e vilipese dal conflitto - possa smantellare le difese di un potere pubblico-privato ormai insediato, mentre quel potere è già in grado di intimidire, disinformare e creare gogna per i propri avversari.
Questa proposta di legge indica dunque una definizione chiara, un intervento preventivo, e le norme che rendono impossibile l’instaurarsi di una condizione di conflitto in atto, nella persuasione - già provata da recente esperienza - che un conflitto in atto tende ad allargarsi e, con i frutti di convenienza illegale che ne ricava, è in grado di rendere vana ogni contestazione alla grave situazione di illegalità che il conflitto stesso produce.
L’impegno di questa proposta infatti non conta sul deterrente di multe sempre inefficaci, per quanto severe, verso le grandi ricchezze. Si propone invece di rendere impossibile l’instaurarsi, presso qualsiasi carica di governo, di una situazione di conflitto di interessi che è la peggiore infezione nella vita pubblica e nella moralità di una comunità e di un paese.
* l’Unità, Pubblicato il: 29.04.07, Modificato il: 29.04.07 alle ore 8.17
Avanti sul conflitto d’interessi Berlusconi: «È killeraggio»
Il premier: il blind trust è americano
«È soltanto un provvedimento di killeraggio nei confronti degli oppositori». Così, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha replicato da Trapani al premier Romano Prodi che da “Radio anch’io” ha ribadito che la legge sul conflitto di interessi andrà avanti.
La legge sul conflitto di interessi «è un impegno del governo» sul quale «è giusto che si vada avanti», ha spiegato il premier , sottolineando che la legge all’esame del Parlamento è anche «più blanda che in altre democrazie». Quanto al principio del blind trust, non si chiede all’individuo «di diventare San Francesco, ma di non amministrare direttamente la ricchezza» nel momento in cui entra in politica. È una cosa, ha sottolineato Prodi, «americana, americana, americana».
«Questo ddl -ha detto Berlusconi- sarebbe l’ulteriore dimostrazione di volontà di eliminare il più pericoloso concorrente, e cioè il leader dell’opposizione, cioè me stesso». Quindi, con un tono che suona come un avvertimento, ha aggiunto: «Credo che farà molto male alla sinistra questa volontà se attuata fino in fondo, perché gli italiani si renderanno conto di come questa sinistra vuole agire per eliminare gli avversari politici. Hanno tentato con la via giudiziaria e finora gli è andata male, ci ritentano con questo provvedimento che impedisce a chiunque abbia un’impresa e abbia perciò fatto bene nella vita sua anche procurando lavoro agli altri, di dedicarsi alle cose della politica e di dare il suo apporto al Paese».
Il blind trust «è una cosa che non sta nè in cielo nè in terra», ha replicato immediatamente il leader di Forza Italia. «Vogliono fare come il sistema americano -ha osservato- ma noi non siamo in America, siamo in Italia e qui le cose funzionano in maniera diversa». E ha aggiunto: «Quello che loro mettono come soglia al di là della quale uno dovrebbe vendere tutto e affidare a un signore che può fare delle sue sostanze ciò che vuole, è appunto una cosa che non sta né in cielo né in terra».
* l’Unità, Pubblicato il: 04.05.07, Modificato il: 04.05.07 alle ore 15.15
Il Cavaliere spara a zero: "Quelle norme sono un atto di killeraggio politico"
ma il Professore insiste: "E’ prevista nel programma di governo, la faremo"
Conflitto di interessi, Berlusconi attacca
Prodi: "E’ una legge tipicamente americana"
La replica del leader della Cdl: "Ma noi siamo in Italia e le cose funzionano in modo diverso"
L’ex premier: "Gentiluomini anche a sinistra. Questo ddl non passerà" *
TRAPANI - "E’ un provvedimento di killeraggio nei confronti degli oppositori". Così Berlusconi, a Trapani in visita elettorale, commenta le parole del premier Romano Prodi che questa mattina a Radio Anch’io ha detto che "sul conflitto di interessi la maggioranza andrà avanti". "Questo ddl - continua Berlusconi - sarebbe l’ulteriore dimostrazione della volontà di eliminare il più pericoloso concorrente, cioè il leader dell’opposizione. Quindi credo che farà molto male alla sinistra questa volontà se attuata sino in fondo perché gli italiani si renderanno conto di come questa sinistra vuole agire per eliminare gli avversari politici".
In serata il Cavaliere torna sull’argomento e aggiunge: "Penso però che alla fine questo ddl non passerà. I gentiluomini esistono anche a sinistra".
"Hanno tentato - prosegue il Cavaliere - con la via giudiziaria e finora gli è andata male. Ci ritentano con questo provvedimento che impedisce a chiunque abbia un’impresa, e abbia perciò fatto bene nella vita, anche dando lavoro agli altri, di dedicarsi alla politica e di dare il suo apporto al governo del Paese".
Ma Prodi ricorda che il conflitto di interessi è una legge tipicamente americana. "Era un impegno del governo - ha ricordato il premier - è una legge più blanda che nelle altre democrazie e io credo che sia giusto che si vada avanti".
Quanto alla questione della ineleggibilità, Prodi ricorda che "c’è il blind trust". "Uno mica deve diventare San Francesco... - ironizza il premier - Il blind trust non è una roba strana, è tipicamente americano. E’ americano, americano, americano. E cioè, tu puoi rimanere ricco, ma non puoi amministrare direttamente la tua ricchezza quando hai potere politico, altrimenti la democrazia si indebolisce".
Ma anche sul blind trust Berlusconi replica: "Quello che loro mettono come soglia al di là della quale uno dovrebbe prendere tutto e affidarsi ad un signore che possa fare delle sue sostanze ciò che vuole è una cosa che non sta nè in cielo nè in terra". Al riferimento a come funziona in America, Berlusconi obietta: "Ma noi non siamo in America, siamo in Italia e le cose funzionano in modo diverso".
Le reazioni. Nettamente spaccati di due poli. Con il centrodestra che parla di tentativo di "distruggere" Berlusconi e il centrosinistra che richiama il rispetto delle regole. "Le parole di Berlusconi sono fuori misura - dice il segretario dei Ds Piero Fassino - Noi vogliamo fare una legge sul conflitto di interesse e non contro qualcuno". Ma l’opposizione non ci sta e attacca: "Il conflitto di interessi è un pretesto della sinistra per mettere fuori gioco il capo dell’ opposizione" scandisce il segretario della Democrazia cristiana, Gianfranco Rotondi. "E’ la fine della stagione del dialogo" tuona Sergio De Gregorio, eletto con Di Pietro e ora schierato con la Cdl. E se al comunista Olivero Diliberto il disegno di legge sempre persino "troppo blando", il verde Angelo Bonelli afferma sibillino: "Oggi la normativa sul conflitto d’interessi che il Parlamento approverà, varrà per il futuro, che certamente non vedrà Berlusconi leader dell’opposizione".
* la Repubblica, 4 maggio 2007