Chavez non crede di essere Napoleone, come qualsiasi pazzo che si rispetti, ma crede di essere Simon Bolivar. Spesso, durante i suoi proclami, lascia una sedia vuota in modo che il Libertador possa occuparla, qualcosa che sicuramente è molto improbabile. Bolivar è morto 170 anni fa e non ci è dato sapere se le anime possano stancarsi, anche se si dimostrasse che i defunti si stancano, Bolivar, che era un uomo molto attento, sicuramente in presenza di Chavez vorrebbe stare in piedi e molto vicino alla porta d’uscita. In ogni caso, ancora più pazzi di Chavez sono quei pochi che l’hanno votato, sappiamo come sono andate le elezioni, qui a Caracas si sa che abbiano avuto diritto al voto anche i cubani e i musulmani invitati. Perché sono pazzi? Facile da dimostrare. Un pazzo, secondo la definizione più estesa, malgrado non sia scientifica, è colui che confonde la finzione con la realtà. Uno che agisce contro la ragione, il senso comune e la propria esperienza.
I venezuelani, per esempio, si sono sempre ritenuti vittime di governi arbitrari che impunemente hanno sperperato i soldi della collettività per mezzo di funzionari corrotti. Molto cauti si sono guardati intorno e hanno scelto un militare che ha usato i soldati per polverizzare l’ordine istituzionale. La più grande violazione della legge! Hanno consegnato il paese nelle mani di un golpista che nel 1994 è uscito di galera, dove era stato rinchiuso per tentato golpe, grazie ad un indulto. Lo hanno autorizzato a mettere le mani nelle ricchezze del paese.
Chavez continuerà a sperperare i soldi e a pretende maggior autonomia nella Costituzione. Ha già formalizzato un contratto petrolifero con l’altro pazzo dei Caraibi, Fidel Castro. Questo passo costerà ai venezuelani molti milioni di dollari. Perdere soldi a Cuba è una fatalità da cui nessuno è riuscito a scappare. Cuba non è la paradisiaca isola dei Caraibi ma è un pozzo che ingoia tutto ciò che si avvicina. Ai russi è costata più di 100 milioni di dollari, agli argentini 1.200, agli spagnoli 1.000, ai messicani più di 300. Ai venezuelani chissà quanto costerà. Castro è un rivoluzionario sull’orlo del fallimento e Chavez lo segue a ruota, ma ha il petrolio, e pagherà l’esoso conto in favore del suo amichetto cubano a danno di tutti i lavoratori venezuelani.
Questa ‘elemosina rivoluzionaria’, è un malaffare perché nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di usare il denaro pubblico per soddisfare altre nazioni impegnate nei propri errori. Per molto meno e cioè per aver aiutato Violeta Chamorro a sostenersi nel potere, Carlos Andrés Pérez fu buttato fuori a calci nel sedere. Perché Chavez, sentendo l’ irrefrenabile desiderio di aiutare i suoi amici stalinisti, non utilizza, le donazioni dei membri del suo stesso partito politico, o delle forze armate, che ormai sono il suo partito politico,e non i soldi della nazione? Facile fare gli sbruffoni con i soldi altrui.
Il disastro economico del paese deriva dal fatto che il 70% del PIL è arbitrariamente manipolato da funzionari eletti e designati che rispondono ai propri interessi e non a quelli di tutti. Qualcuno ha detto che i politici non sono diversi dagli altri esseri umani. Hanno ambizioni, vanità, progetti individuali e scendono a compromessi; hanno le proprie fobie e cerchie di amici da favorire e nemici di cui vendicarsi. A differenza, però, di quello che accade nella società civile, i politici sparano con armi altrui, sperperando le munizioni degli altri e non le proprie.
Chi deve rendere conto dei propri atti è il politico o il funzionario. Nello sfortunato continente sudamericano avviene il contrario: gli Stati vigilano i cittadini. I venezuelani, che erano stufi di questa perversione, hanno deciso di cambiarla. Come? Dando poteri assoluti ai propri governanti. Non è anche questo un sintomo di pazzia?
Ai fratelli venezuelani mi rivolgo: - è Chavez che comanda e ci toglie la libertà di pensare, di parlare e di sperare in un futuro migliore per noi, per i nostri figli, che non sapranno cos’è la libertà Sta chiudendo le televisioni, dopo RCTV sarà il turno di GLOBOVISION, dopo ci toglierà tutto. Siamo sicuri che vogliamo trasformare il nostro paese in una specie di Cuba? In realtà non posso crederlo. Ma la pazzia è incontrollabile. Chissà che improvvisamente non si impazzisca anche in Italia e si accetti, inermi, che si chiudano giornali e televisioni libere. In fondo è più facile governare un popolo ignorante, tenuto all’oscuro di tutto.
Avveniva in Romania, in Albania e in tutti quei paesi dove si è lottato, con le unghie e con i denti per liberarsi dall’incredibile ferocia della dittatura, che, secondo me, è orribile in tutte le sue tonalità, che sia rossa o che sia nera è soltanto ‘cacca’.
Anche noi, come Celia Cruz, scappando dal nostro paese diremo di essere immortali, perché, lasciando il cuore in Venezuela, non potremo mai morire in nessun’altra parte del mondo. Una speranza c’è, le ultime notizie raccontano che l’Europa ha condannato il gesto di Chavez, che Lula dal Brasile non condivide i suoi metodi stalinisti, allora possiamo sperare che il Venezuela diventi un paese libero. Le foto sono chiare e i messaggi anche, la gente e il popolo è per la strada a chiedere a gran voce la libertà e la democrazia che il dittatore sta cercando di eliminare. Io rispetto il credo politico di tutti, ma qui non si tratta di colori, stiamo parlando di assenza di democrazia.
COSMO DE LA FUENTE
GUARA LE FOTO QUI, IN ESCLUSIVA, BASTA... PER CAPIRE
.-Venezuela, quarto mandato per Chavez
Il presidente si riconferma col 54,4%, Capriles al 44,4% *
CARACAS, 8 OTT - Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo vincendo le presidenziali col 54,4% dei voti. Il suo sfidante Henrique Capriles ha avuto il 44,4% delle preferenze. ’’Grazie al mio amato Pueblo! Viva Venezuela! Viva Bolivar!’’, ha commentato a caldo su Twitter il leader bolivariano.
AMERICHE - mondo
Chávez sì, Chavez no. In Venezuela è arrivata l’ora della scelta
di Geraldina Colotti (il manifesto, 6.10.2012)
Domani 19 milioni di venezuelani potranno decidere se confermare per la quarta volta l’attuale capo di stato o puntare sul candidato dell’opposizione. "Fame zero" e classe media: entrambi gli schieramenti invadono il campo avverso Gli indecisi sarebbero circa il 30% dell’elettorato. Si vota con un sistema giudicato a prova di brogli
«Vigileremo a che tutto si svolga in pace e con allegria». Con queste parole, Tibisay Lucena, presidente del Consejo Nacional Electoral (Cne), ha ufficialmente chiuso la campagna politica per le elezioni presidenziali in Venezuela, a mezzanotte di giovedì. Domani, 18 milioni e 900.000 aventi diritto potranno decidere se riconfermare per la quarta volta l’attuale capo di stato, Hugo Chávez Frias, o puntare sul candidato di opposizione, Henrique Capriles Radonski, che corre per la coalizione di centrodestra Mesa de la unidad democratica (Mud). In ogni caso, affideranno le loro preferenze a un sistema elettorale automatizzato, unanimemente riconosciuto a prova di brogli.
Nella IV Repubblica - prima che Chávez venisse eletto, nel 1998, con il 56% delle preferenze - per votare bastava mostrare la tessera. Adesso, prima di entrare nell’urna, ogni elettore deve lasciare la propria impronta digitale, che viene confrontata con quella custodita nel database generale, utilizzato per il rilascio della carta d’identità. Poi, per evitare il doppio voto, l’impronta viene registrata nell’archivio telematico il cui software è criptato: prima di installarlo, sono stati convocati gli schieramenti politici, ognuno dei quali ha ricevuto una password. La conta dei voti si fa a riscontro con il calcolo della macchina.
Un sistema elettorale maturo
Il sistema elettorale oggi «è sufficientemente maturo da non richiedere osservatori internazionali», ha affermato Tibisay Lucena, e perciò il Cne non ha rivolto inviti in questa forma. In compenso - ha aggiunto - sarà presente l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) per una «missione di accompagnamento» che implica «rispetto e considerazione tra pari». In questo quadro, il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) ha accreditato circa 51.000 invitati da ogni parte del mondo. L’opposizione, intorno ai 52.800.
Diversi rappresentanti della Mud si sono espressi contro la modalità di voto elettronico perché - dicono - intimorisce gli elettori. Però hanno scelto di utilizzare il sistema anche per le loro primarie interne. Un’ambivalenza che ha caratterizzato anche la campagna elettorale dell’opposizione. In quasi 14 anni, il governo "bolivariano" ha avuto il sostegno del voto popolare: 13 elezioni vinte e solo un referendum perso, per un pugno di voti. Per spazzarlo via, la destra ha giocato un po’ su tutti i tavoli: quello del golpe a guida Usa (2002) e della micidiale serrata petrolifera (2002-2003); quella del referendum per revocare Chávez (2004); quella del boicottaggio elettorale e del discredito, basato sul controllo che le deriva dai principali mezzi di informazione.
Sui siti della Mud, il modello delle «rivoluzioni arancioni» costruite nelle stanze dei poteri forti e i consigli di Gene Sharp che spiega nei suoi libri come innescarle, spopolano. Per quest’ultima tornata di elezioni (alle presidenziali seguiranno le regionali, a dicembre, e le comunali, ad aprile 2013), il blocco di centrodestra ha però deciso di rifarsi il look: avvalendosi - ha scritto la stampa di San Paolo - dei consigli del pubblicitario brasiliano Renato Pereira, capo strategia dell’impresa Prole.
Il volto presentabile del centro
Capriles - rampollo delle grandi famiglie, attivissimo nel golpe del 2002, uomo di destra proveniente dalle fila del partito Primero Justicia - si è presentato allora come il volto accettabile del moderatismo centrista: appetibile per i mercati internazionali e per quanti vedono come il fumo negli occhi qualunque tentativo di scalfire i grandi monopoli. Si è ammantato, anche, di un po’ di vernice progressista. Così, il programma della Mud («Petroleo para el progresso») che mira a riconsegnare il paese nelle mani dei grandi potentati economici, sostiene anche di voler mantenere (ma in termini assistenziali) alcune delle misure sociali portate avanti dal governo Chávez: non certo la nuova legge sul lavoro, che garantisce ampi diritti ai lavoratori e contro la quale si sono scagliate le imprese. Non la riforma tributaria, che prevede maggiori controlli fiscali e contro la quale i grandi imprenditori hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale. E tantomeno il piano di edilizia popolare della Mision vivienda. Si parla di un «Plan Hambre Cero», con un richiamo al programma «Fame zero» adottato in Brasile durante la presidenza di Lula da Silva. Capriles è d’altronde arrivato a dichiarare a più riprese la sua simpatia per l’ex presidente del Brasile, cercando di accreditare un presunto sostegno brasiliano alla sua linea politica. Solo che, in diretta dal Foro de São Paulo, dov’erano presenti tutte le sinistre latinoamericane, Lula ha espresso invece il sostegno totale del suo partito e il proprio personale alla candidatura di Hugo Chávez: «La sua vittoria sarà la nostra vittoria», ha dichiarato fra gli applausi Lula.
In basso a sinistra
Una politica della confusione, quella della destra, ben sintetizzata dallo slogan elettorale scelto da Radonski, «In basso a sinistra»: una indicazione per la scheda elettorale dov’è situato il suo simbolo, ma anche un richiamo (quantomai incongruo, dato il pedigree del personaggio e dei suoi alleati) alla campagna zapatista contro il verticismo dei governi.
Trasformismi per cacciare voti anche fra i ceti popolari, fidando sull’inevitabile usura del governo Chávez e sulla platea degli indecisi, valutata intorno al 30% dell’elettorato. Un dato enfantizzato oltremisura per delegittimare l’eventuale vittoria chavista, sostiene il campo della sinistra. In estate, persino un sondaggio di Datanalisis (appartenente a Vicente Leon, che sostiene l’opposizione) ha dichiarato che il 62% dei venezuelani considera positivo il bilancio del governo Chávez e lo rivoterebbe. Ma poi, altre inchieste di medesima provenienza hanno registrato una progressiva erosione del vantaggio tra l’attuale presidente e il suo sfidante.
Anche il governo bolivariano ha cercato di pescare nel campo avverso, mettendo fortemente l’accento sulle misure erogate a favore della classe media. Chávez ha peraltro condotto una campagna elettorale all’insegna del «Plan 1×10?», ovvero sull’impegno a moltiplicare per dieci ogni attivista bolivariano. E senza trionfalismi: «Vinceremo, ma non abbiamo ancora vinto. Non bisogna abbassare la guardia», ha affermato nell’ultima settimana di comizi. Entusiasmo da stadio
Per il discorso conclusivo di giovedì, Capriles ha scelto l’Avenida Venezuela di Barquisimeto, nello stato Lara, una delle più grandi strade del paese. Il mare di camicie rosse che sostiene «il processo bolivariano» ha invece invaso, simbolicamente, sette vie di Caracas, per affluire infine in Piazza Bolivar ad ascoltare il discorso di Chávez: «Il 7, sarà 7 a zero», dicevano i cartelli in piazza, sintetizzando l’entusiasmo da stadio che investe il paese a ogni tornata elettorale. Di fronte alla folla che lo acclamava sotto una pioggia battente, il "comandante" ha invitato questa «moltitudine bolivariana» a manifestarsi nelle urne: «In questo modo - ha concluso - gli daremo una bella batosta».
CHAVEZ O BARBARIE
di Fulvio Grimaldi *
Nella nostra condizione di schiavi coloniali non riuscivamo a vedere che la “Civiltà Occidentale” nasconde dietro alla sua scintillante facciata una muta di jene e sciacalli. E’ l’unico termine da applicare a chi si aggira per realizzare “compiti umanitari”. Una belva carnivora che si nutre di genti disarmate. Ecco cosa fa all’umanità l’imperialismo. (Che Guevara, all’Assemblea Generale dell’ONU, 1964)
* VEDI: CHAVEZ O BARBARIE | Informare per Resistere
http://www.informarexresistere.fr/2012/10/04/chavez-o-barbarie/#ixzz28dbk1Vuu
Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Sig. Sulas lei non capisce proprio una mazza! Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Si definisce «un canale pluralista», la Tsve [che ha incamerato con esproprio i macchinari etc della RCTV, unica tv che non si è piegata al regime, con Globovision]. La verità è che a questo punto 10 dei 12 canali tv nazionali sono sotto il controllo dello Stato. E gli altri 2, pari solo al 15% della copertura, come si è già ricordato hanno cessato di fare opposizione. Quando Chávez andò al potere controllava direttamente una tv, due radio e nessun giornale. Adesso ha 10 tv statali, 18 tv "comunitarie", 145 radio e un centinaio di giornali, di cui due nazionali. E anche la maggior parte delle 36 tv regionali è vicina al regime, se non altro per quieto vivere. In più il regime paga un bel po’ di bloggers e internauti che si infilano dappertutto, tant’è che la Wikipedia in spagnolo nei suoi articoli sul Venezuela è stata ribattezzata "wikichávez".
I TENTACOLI DEL DITTATORE Ma non manca chi all’Assemblea Nazionale, tutta controllata dal regime, sta proponendo una legge su Internet in stile cubano, dopo che già dall’anno scorso per i minorenni è arrivato il divieto di servirsi dei cybercafè. All’opposizione resta Globovisión: un’emittente coraggiosa, che però trasmette solo nella parte centrale del Paese. E resistono alcuni giornali prestigiosi: il quotidiano di centro-destra "El Universal", con una tiratura di 80.000 copie nei giorni normali e di 200.000 la domenica; il quotidiano di centro-sinistra "El Nacional", che è chavista pentito, e che sta sulle 170.000 copie; e il più elitario "Tal Cual", fondato dall’ex-guerrigliero e coscienza civica della sinistra anti-chavista Teodoro Petkoff. Ma "Ultimas Noticias", il giornale più venduto, fa il pesce in barile. E su tutti pende poi la spada di Damocle di una Legge sulla Stampa che i giornalisti hanno espressivamente ribattezzato "Legge Mordacchia", e in base alla quale "Tal Cual" è stato multato di 50.000 dollari per un articolo satirico. Maurizio Stefanini, Il Foglio
PS La tirannia ancora all’opera bloccate le telefonate dal Venezuela a Radionexx, che faceva filo diretto sul Venezuela in tutto il mondo. Ennesimo scempio della libertà.