L’on. Sandro Gozi è Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’autorità di Europol, di controllo e vigilanza in materia d’immigrazione; I Commissione affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni.
L’on. Gozo è una personalità di spicco del nuovo Partito democratico, trentanovenne, una delle menti propulsive della costituenda nuova compagne politica.
La questione sollevata in queste ore sulla nomina del leader del Partito democratico, sembra aver procurato qualche imbarazzo al presidente del consiglio Prodi.
Credo che non ci sia bisogno in Italia, nel centrosinistra, di ulteriori fermentazioni, di creare un ulteriore dualismo: leader Partito Democratico e Premier Primo Ministro. Sarebbe certamente un passo indietro.
E’ chiaro che il PD deve dare anche forza al governo ed è impensabile che si possano cumulare le due figure.
Altra questione, invece, è avere una sorta di coordinatore per coordinare le attività degli organi che dovranno, poi, fare il PD.
Una cosa è certa, il PD dovrà partire dal basso. Non si costruiscono le piramidi partendo dal vertice.
Bisogna, quindi, cominciare a costruire gli organi dal basso, dal territorio. Poi, come ultimo atto, i nuovi organi ed il nuovo congresso, dovranno esaminare e decidere chi sarà il leader politico.
Se in questa fase c’è bisogno di un coordinatore, ben venga n coordinatore. Ma che questo fatto non inneschi un ulteriore dualismo ed ulteriori personalismi.
Di protagonisti pare ce ne siano già abbastanza.
Lei ha un nome, è orientato verso qualcuno in particolare che potrebbe essere il leader?
Al momento ce n’è un solo: Romano Prodi.
Nella lista dei 45 che si dovranno occupare e costituire il futuro PD, però, non sembrano essere stati privilegiati i giovani così come si è predicato, come mai?
Questa è una bella domanda.
A mio parere, questo è stato un errore. Un errore riparabile ma un errore. Il Comitato deve avere una funzione precisa, deve scrivere le regole quindi non è l’inizio del nuovo partito. E’ un organo che deve fare la strada e ciò vuol dire eleggere una assemblea costituente. Quello sarà il vero embrione del nuovo partito. Per questo dico che è un errore riparabile. Certamente è una occasione persa perché il PD deve essere un partito nuovo più aperto alle donne, più giovane, più sensibile ai giovani. Il fatto che non ci sia, nel gruppo dei 45, nessuno sotto i 40 anni, mi sembra un fatto non positivo. Anche perché noi continuiamo a dover lottare come giovani e ad essere considerati giovani, io ho 39 anni, quando in realtà noi dovremmo occuparci dei veri giovani che sono poi quelli al di sotto dei 30 anni. In Italia siamo in ritardo di 15 anni, di tre generazioni visto che queste cambiano ogni 5 anni. Ripeto, una occasione persa. L’assemblea costituente garantirà la massima apertura in cui non solo sarà possibile votare liberamente, ma si potrà anche essere votati liberamente. Garantirà una grande apertura ai giovani ed alle donne.
Mi è sembrato di capire due cose da quanto lei ha detto e cioè, la prima è che praticamente tutti gli esclusi non dovranno preoccuparsi perché, magari, avranno collocazioni di spicco nel prossimo futuro, la seconda.
Tutti possono essere candidati. Le regole su cui noi dobbiamo insistere sono quelle delle massima libertà dell’elettorato sia quello attivo sia quello passivo. Non dovranno esserci membri di diritto. Deve essere un processo completamente aperto. Sono sicuro che con le energie che abbiamo, con il fatto che ci sia una fortissima volontà di riforma e di cambiamento da parte della mia generazione ed in quelle che seguono, questo processo si potrà garantire sin dall’inizio nella assemblea costituente. Il PD dovrà essere un partito più giovane, più rosa.
La seconda cosa, dicevo, che mi sembra d’aver capito, è che ci troviamo al cospetto di una mentalità che connota il nostro paese per quanto riguarda l’età. Voi 39 enni venite considerati giovani quando dovreste essere, in pratica, degli anziani.
Assolutamente. E’ una questione di mentalità legata alla società italiana. Io dico sempre che gente alla mia età, penso a Blair, già si confrontava con la guida di una nazione.
Noi a 39 anni, siamo considerati giovani. Ed io sono un giovane fortunato rispetto ad altri della mia età che meriterebbero altrettanto quanto me. E’ un problema acuto nella politica ma che si ritrova nell’impresa, nell’Amministrazione, in tutti i posti apicali in cui non troviamo giovani perché siamo un paese gerontocratico.
Degli esclusi dal novero dei 45, per esempio, troviamo Gitti. Non trova che uno come Gitti, invece, doveva essere tra i primi ad essere reclutati?
Sì, secondo me sì. Però ho visto che c’è una ragazza, una donna che fa parte della componente Gitti nel Comitato, non sotto i 40 anni, ma una donna, Paola Caporossi. Diciamo, quindi, che Gitti è rappresentato. A mio parere, Gitti, sarebbe stato benissimo nel Comitato.
A fronte di questa esclusione e di altre ancora, però, c’è stata una accoglienza clamorosa ad un "saltatore" di rango: Marco Follini.
Questo è un altro discorso. E’ un discorso diverso dalla questione generazionale. Ma un discorso, a mio parere, giusto perché il PD deve essere un partito che si apre anche ad altre forze politiche, ad altre personalità politiche. Credo che il PD debba guardare anche molto al centro, ad un centro che voglia veramente riformare il bipolarismo e renderlo più funzionante, più razionale. Da questo punto di vista, la presenza di Follini, la reputo un dato positivo.
E se si tacciasse di opportunismo politico.
Io penso che Follini sia stato molto coraggioso più che opportunista perché mi riferivo all’opportunismo del PD nel reclutarlo.
No. Il PD, molto chiaramente, ha detto, ed è emerso chiaramente ai congressi DS e Margherita, soprattutto in quello della Margherita, che è un partito che dovrà anche aprirsi molto verso il centro, verso il centro politico. Il PD è una forza di centrosinistra quindi, se questa forza di centrosinistra allarga a centro con tutti coloro che sono disposti ad impegnarsi in un progetto di rinnovamento che deve essere della politica, del sistema politico e poi delle istituzioni italiane, sono i benvenuti come Follini.
Stando a quanto si dice, per esempio, da parte della sinistra radicale, il PD non avrebbe nulla di sinistra ma sarebbe, in realtà, un nuovo centro. Lo stesso Fassino è stato bollato come un liberal-sociale.
A me sembrano veramente schemi che denotano aspetti un po’ in ritardo da parte della sinistra italiana. Non possiamo affrontare il 21° secolo, non possiamo affrontare le nuove sfide del nostro paese dicendo quelli non sono di sinistra sinistra, quelli sono di centrosinistra, quegli altri liberal sociali, più o meno liberali ecc.
Perché non credo serva a qualcosa pensare a questo al cospetto del cambiamento climatico, all’immigrazione, all’evoluzione demografica, al problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, al problema di coniugare sicurezza e flessibilità al mercato del lavoro. Tutte queste sono problematiche che richiedono una nuova analisi, una nuova proposta politica e che vogliono tenere conto delle esigenze di maggiore solidarietà e di maggiore coesione sociale.
Mettere il paese nelle condizioni di maggiore competitività nell’Amministrazione come nell’impresa, questa è la sfida.
Le sfide che siamo costretti ad affrontare, sono talmente nuove che stare a perdersi in disquisizioni inutili in discussioni accademiche su chi sia o no un liberal sociale, è anacronistico.
I nuovi problemi cui dovremo dare conto, richiedono nuove soluzioni politiche. Io credo che uno dei valori del PD che io intendo come appartenere al centrosinistra, alla sinistra, sia quello di non perdere mai l’obiettivo della coesione sociale e della solidarietà. Questo, secondo me, è il futuro.
Nel momento in cui noi affronteremo le riforme del mondo dell’impresa, dell’economia, dobbiamo tenere presente che non si può sacrificare l’esigenza di maggiore diffusione del benessere nel dogma della competitività. Noi dobbiamo portare l’Italia verso una competitività che sappia tenere presente di questi due capisaldi, solidarietà e coesione sociale, della società italiana altrimenti marceremo contro la nostra storia. Ciò detto, tutto il dibattito che io chiamo para-ideologico, sono di sinistra o non sono di sinistra, oppure: la nostra tradizione è quella della DC, la nostra tradizione è quella del PCI, risulta inutile. Guardi che, nel 2009, voteranno nuovi elettori. Sarà gente che è nata dopo il 1989, dopo il muro di Berlino. A quelli, non interessa assolutamente niente se il candidato che votano si ispira alla DC o al PCI. Semplicemente vorranno sapere cosa propone quel candidato per una Università più competitiva, per un passaggio nel mondo del lavoro più giusto che costringe i giovani alla precarietà assoluta ecc. Queste sono le risposte ecco perché a me non interessa questo dibattito.
Ma sarà facile, lei crede, adoperare una sintesi, per esempio con la Pollastrini?
Io credo che le grandi forze di centrosinistra che hanno intrapreso questo processo di rinnovamento, come ad esempio, prima e dopo Blair, sono riusciti a fare delle sintesi felici e positive e su posizioni ben diverse e più profonde da quelle che ci possono essere con la Pollastrini. Questo non mi preoccupa molto.
Per quanto riguarda la due questioni "principe" che potevano inficiare il sodalizio DS-Margherita e cioè la laicità dello Stato e la dislocazione in ambito europeo del PD, far parte o no del PSE, come risolverete questo problema? E’ un problema?
Sulla questione etica, io non credo che ci siano dei partiti etici. E’ difficile avere da statuto una posizione precisa e vincolante per i singoli sulle grandi questioni etiche. Su queste, a mio avviso, deve sempre applicarsi il concetto della libertà di coscienza. Sulla questione della laicità, dobbiamo fare una distinzione. Ormai il dibattito italiano è divenuto un dibattito assolutamente strumentale, ideologizzato. Un conto è la laicità, un conto il laicismo, un conto è il rispetto delle prerogative della Chiesa nella società, un conto è volere costituire un partito dei credenti, come un conto è affermare il principio di separazione Stato e Chesa, un altro conto e fare dell’ attività contro le posizioni della Chiesa un motivo di azione politica, questo è laicismo.
Bisogna tornare a ragionare in termini, allo stesso tempo, moderni e coerenti con la grande tradizione democratica italiana. In uno Stato moderno, è chiara la divisione temporale dalla dimensione spirituale. Non è possibile pensare, in uno Stato moderno, che certe posizioni di partito siano dettate da queste o da quelle credenze religiose. Quando si governa la cosa pubblica non si può pensare di proporre, a volte, addirittura imporre, la propria sensibilità personale. E’ necessario, allora, fare una sintesi, uno Stato laico deve essere rispettoso della presenza della Chiesa cattolica, rispettosa dell’Autorità religiosa. Adoperare una sintesi tra le posizioni legittime dei credenti e le posizioni altrettanto legittime di coloro che non credono. C’è una frase famosa di Kennedy che, da cattolico, divenne Presidente degli USA che diceva:«Se mi si pone un problema tra l’interesse generale e la mia coscienza, io sono costretto ad andarmene, non posso certamente pensare di utilizzare la mia posizione per far diventare la mia obiezione di coscienza, interesse generale». E’ questa la via su cui dobbiamo andare. Fa male, e lo dico da cattolico, alla Chiesa, dare l’impressione, non dico che questa sia la posizione, ma dare l’impressione di parteggiare per una parte politica o che si è più favorevoli a quel partito piuttosto che a quell’altro. Non è questo il ruolo della Chiesa pur avendo diritto di esprimere le proprie opinioni. Il ruolo della politica è quello, ripeto, di essere in grado di fare sintesi positive. Del resto la DC non era il partito della Chiesa. La DC era un partito che faceva sintesi tra le esigenze del cattolicesimo e le esigenze del mondo laico. Credo che questa sia la grande tradizione italiana che dobbiamo proseguire.
Sulla seconda questione che lei chiama "principe" inerente l’Europa, tutti i risultati di tutte le elezioni europee dimostrano che chi scende in campo da solo non può vincere le elezioni. Che c’è una forte esigenza, da parte degli elettori, di avere nove alleanze, nuove aggregazioni di centrosinistra, nuove proposte cosiddette riformiste.
La Francia è l’ultimo esempio. Credo che ci siano tutte le condizioni, anche dopo il congresso del PSE di Oporto, di proporre a livello europeo una alleanza più ampia che vada al di là del PSE. Una alleanza di centrosinistra nel Parlamento europeo che veda i Democratici socialisti ed altre forze progressiste che non si riconoscono nel partito socialista. Noi non chiediamo all’Europa di risolverci un problema, noi chiediamo ai nostri partners europei di prendere atto di una realtà politica e di prendere atto del fatto che il nostro è un progetto estremamente avanzato, una soluzione che potrebbe certamente essere la soluzione anche in un Paese come la Francia, che lo è in Vallonia e che potrebbe diventarlo in Belgio, che lo diventerà in Polonia nel momento in cui il centrosinistra polacco si riorganizzerà per rispondere ad una destra oscurantista. E’ una presa d’atto che già c’è perché ad Oporto si detto che bisogna aprirsi a forze che socialiste non sono.
Sono sicuro che anche nel Parlamento europeo potremo dare vita ad una grande alleanza di centrosinistra, dei socialisti e dei democratici che potrebbe diventare anche il primo gruppo.
La vedo come una opportunità. Non avrebbe senso dire: creiamo una nuova forza politica in grado di risolvere le grandi questioni poste dal 21°secolo e dire al tempo stesso che per fare ciò, dobbiamo diventare socialisti. Dobbiamo vedere, insieme ai socialisti, quali altre nuove alleanze fare. Non dentro, ma con i socialisti.
Il PD ancora non c’è, dunque, un progetto scritto non esiste, ma lei, personalmente, la questione dei giovani dato che parliamo di un partito giovane, come pensa di risolverlo? Questi arrivano tardi a completare gli studi, tardi al matrimonio, tardi al lavoro, tardi ad uscire dalla casa dei genitori, tardi a comprarsi la casa. Tardi per tutto.
Innanzitutto, direi che non c’è una politica per i giovani. Cosa vuol dire giovani? I giovani sono quelli che passano dalle scuole superiori all’Università; giovani sono quelli che dall’Universtità, transitano nel mercato del lavoro, giovani sono coloro che intendono mettere su famiglia, giovani sono i professionisti, quelli che hanno 28-30 anni che sono bene inseriti nell’Amministrazione, nella organizzazione internazionale dell’impresa ecc.
Per risolvere i loro problemi, bisognerà scomporre il mondo dei giovani nelle diverse problematiche. I giovani professionisti sono la risorsa del paese, bisogna ricondurre in Italia tutti quei cervelli emigrati all’estero. Essi porterebbero nuova linfa vitale a tutto il sistema. Il PD dovrà ridurre in maniera drastica la dimensione impatto che si ha sui giovani nelle varie politiche che noi portiamo avanti. Politiche del mercato del lavoro, politiche della ricerca. Dovremmo interrogarci, ogni volta che facciamo qualcosa e chiederci: che impatto avrà sui giovani? Dare tutta una serie di agevolazioni innanzitutto per finire l’Università e poi per facilitarne il passaggio al mondo del lavoro. A mio parere, bisognerà garantire ai giovani che vogliono mettere su famiglia, dei crediti agevolati per i mutui, per il passaggio a sistemi di previdenza personale che permettano a dei precari di cominciare a pensare di avere un avvenire. Intervenire con tutta una serie di provvedimenti che facilitino l’emancipazione dei giovani perché oggi questi non si emancipano, non escono dalle famiglie prima dei 30 anni. Questo è il grande ritardo rispetto agli altri paesi europei. E’ una politica complessa, una politica molto articolata ma prioritaria per il nuovo PD.
Una domanda un po’ provocatoria, quale leader non ha aderito al nuovo PD che lei avrebbe voluto aderisse per capacità, formazione e valori?
Bisogna pensarci.
Salvatore Viglia
Partito e popolo
di Furio Colombo *
Il partito a cui si riferisce il titolo di questo articolo è il Partito democratico. Come tutti i lavori in corso crea una immensità di inconvenienti per coloro che eventualmente beneficeranno della nuova costruzione: non vedono, non sanno, non partecipano. E certo non li rappresentano alcune decine di persone per bene detti i «garanti» per il solo fatto di essere quadri di partito oppure nominati oppure cooptati senza che esistano indicazioni per la nomina e la cooptazione o istruzioni per l’uso (poteri e doveri). Le porte per ora sono chiuse, i percorsi sono al di là delle impalcature, le regole un atto di fede.
«Popolo» è una parola grossa (ricordate quando Alberto Asor Rosa poteva usare questa parola nel titolo del suo libro Scrittori e popolo per intendere, i creatori e i frequentatori di idee?). Bene, io non mi illudo che un’immensa folla prema ai cancelli chiusi del Partito democratico che non è pronto. Ma certo c’è un’attesa, sempre meno tollerante e paziente, che le ultime elezioni non vinte hanno indicato in due diverse tabelle: quelli che ancora hanno votato centrosinistra, e quelli che, per il momento, non hanno votato. Ecco, questo è il popolo di cui sto parlando, gli uni e gli altri, coloro che tengono ancora stretto il filo della fiducia. E coloro, forse meno indifferenti e più appassionati, che hanno battuto il tremendo colpo di gong delle schede bianche e del non voto, nel disperato intento di farsi sentire di là dalle impalcature, dentro il cantiere da cui sono esclusi i «non addetti ai lavori».
Dunque c’è un partito in corso di costruzione (evento arduo e difficile nella storia delle democrazie, con una tradizione simile a quella dei nuovi ristoranti: ne nascono cento, se ne afferma uno). E c’è, presumibilmente, un popolo in attesa. È fatto in parte di gente che sta già sgombrando le sedi, anche psicologiche, interiori, mentali, dei partiti che abitava prima.
E in parte da persone che - pur non essendo militanti di un partito - sono rimaste ostinatamente legate ai grandi valori democratici portati in Italia dall’antifascismo e dalla Resistenza (legalità, scuola pubblica, legge uguale per tutti, lotta alla malavita in tutte le sue incarnazioni, diritti umani, diritti civili) che vorrebbero ritrovare, ma non sono sicuri dove.
C’è anche la separazione nitida e rispettosa tra Chiesa e Stato, in questo elenco di valori dei cittadini che non sono in casa né in piazza, ma non sanno ancora con sicurezza dove dirigersi. C’è anche la separazione tra giornalisti e notizie da una parte e potere dall’altra. Sanno con sicurezza dove non c’è, e anzi viene negata e irrisa, questa separazione. È la casa del conflitto di interessi. Ma molti stanno ancora cercando un nuovo indirizzo.
E c’è la separazione fra i legittimi interessi dell’impresa e il legittimo diritto di difendere il lavoro. In una economia brada il lavoro è affidato all’esito di un continuo scontro e vinca chi può fare più profitto o più danni. In una buona democrazia, e in un buon partito che voglia fare da sostegno e da trave a quella democrazia, ti dedichi alla difesa di chi lavora non perché vuoi la lotta di classe ma, al contrario, perché sai di essere in un mondo moderno ed efficiente in cui si lavora insieme alla pari, non gettando il lavoro tra le scorie di cui la cosiddetta modernità vuole liberarsi. E poi il mercato chiede confronto fra parti altrettanto forti. Se no che mercato è?
Sarà vero che ognuno deve vedersela col nuovo mondo da solo e da bravo, secondo il merito. Ma resta il fatto che all’adunata dei giovani imprenditori, che si celebra come sempre a Santa Margherita Ligure, tutti i partecipanti - a cominciare da Michela Vittoria Brambilla - sono figli e nipoti di imprenditori. E nelle loro fabbriche tutti gli operai (se non sono immigrati) sono figli di operai.
Ovvio che questa è una questione che deve stare molto a cuore a un Partito democratico agile e nuovo. Di partiti in cui tutte le teste televisive parlanti sono pronte a cori di esultanza quando parlano Draghi e Montezemolo (sempre molto apprezzata l’ammonizione al taglio delle pensioni, sempre un po’ di stizza per quei perdigiorno conservatori annidati in fabbrica che vorrebbero, dopo anni, smuovere la barriera perenne dei mille euro al mese e quella "moderna" del contratto a progetto) ce ne è una quantità imbarazzante.
Il problema non è affatto uno scivolare, a seconda degli umori, o un po’ più a destra o un po’ più a sinistra. Però è inevitabile che un Partito democratico moderno si ispiri per forza a grandi voci nella cultura del mondo industriale avanzato, come Amartya Sen che ci ha narrato il cambiamento del poverissimo Stato indiano del Kerala attraverso il cambiamento della condizione delle donne, che sono passate, in una generazione, da nove a due figli (e difficilmente sarebbero state festeggiate all’italianissimo "Family day") che sono andate a scuola, che sono diventate dirigenti e amministratrici anche senza quota rosa. Come Joseph Stieglitz che, da grande economista, non andrebbe mai in giro a dire che la ripresa di un Paese «è merito esclusivo delle imprese». Come John Nash, che dalla sua cattedra di matematico a Princeton ha calcolato «il punto di equilibrio» fra investimento di capitali e investimento di lavoro (e la relativa equa retribuzione) e l’ha definito «l’equazione del socialismo». Come Paul Krugman che, dalla stessa Università di Princeton, calcola e pubblica ogni settimana sul New York Times «lo spreco americano di vite, destini, talenti, lavoro gettati nel buco nero di un precariato senza fine, mentre il punto più basso e quello più alto dei compensi di chi lavora sopra e sotto l’impresa sono mille volte più lontani che dieci anni fa». "Mille volte" non è un modo di dire ma il risultato di un calcolo. Nella visione di Krugman, il mondo dei manager diventa un club di cooptati lungo percorsi di favore, e quello del lavoro diventa polvere. Ho citato premi Nobel per l’economia per restare non fra i sogni ma nei fatti, anzi tra i numeri. Una solida ispirazione, no?
Mi chiederete perché mi impiccio dei lavori in corso per un nuovo partito che non mi ha chiesto niente né dato alcuna notizia, a parte quelle che tutti apprendiamo in televisione (come la curiosa proposta secondo cui il presidente del nuovo partito nomina il segretario del nuovo partito, motu proprio.
Risponderò che nel mondo libero tutti si impicciano, che la speranza è l’ultima a morire e che chi vivrà vedrà. Tre luoghi comuni utili e pertinenti in questo caso. Visto che il partito non c’è ancora, perché non sperare in un mondo più grande, più libero, più creativo dei chiusi e litigiosi vertici notturni di cui siamo spettatori indiretti e lontani, simpatizzanti per sentito dire?
Sul "chiuso" che è tipico dei cantieri, ricorderò una piccola idea geniale di Donald Trump, il grande costruttore americano sospetto di molte scorciatoie legali nel suo Paese, ma non privo di fantasia. Notando che i suoi cantieri incombevano su New York come astronavi aliene e impenetrabili, ha avuto la trovata di inventare i "cantieri aperti". Così adesso tutti possono vedere i lavori da grandi aperture nei recinti di legno o metallo degli scavi. L’ingombro resta ma diminuisce il fastidio perché - volendo - tutti possono seguire ciò che avviene e constatare, di giorno in giorno, il cambiamento nel cantiere.
Nella vita pubblica tutto ciò si chiama comunicazione. Forse spiriti liberi ed esperti di comunicazione come Gad Lerner potrebbero suggerire di rubare un’idea a Radio Radicale. Meglio, di chiedere a Radio Radicale di trasmettere, quando si può in diretta, e se no in differita, ogni seduta, confronto, discussione, litigio del costituendo Partito democratico. Di colpo l’atmosfera si farebbe diversa, la partecipazione meno impossibile, la fiducia più alta. O almeno un’attesa meno depressa, sottomessa e remota. Non è poco.
Vorrei raccomandare caldamente questa piccola trovata del cantiere aperto, attraverso l’espediente della trasmissione. Occorre ricordare che sono in corso due sgomberi, già di per se disorientanti, ognuno nel territorio dell’altro ma con un pesante bagaglio di cose proprie, cose di prima e progetti di dopo, che non sarà facile ricollocare. Ma mentre avvengono i due sgomberi e gli scambi di territorio, eventi di per sè disorientanti (specie se i leader parlano solo tra loro e spesso in codice) arriva - o potrebbe arrivare - il corteo di coloro che prima non c’erano e che ora esitano sulla soglia del voto, i cittadini senza gerarchie di partito detti, con un po’ di fastidio, "la società civile". Ma se ne potrebbero andare di brutto (e andare per sempre) se trovano le porte sbarrate e sono destinati a ricevere notizie solo dai "panini" dei telegiornali o dagli umilianti talk show che riproducono per sempre un’Italia immobile nel passato, come un brutto museo delle cere.
Intanto incombono, promettenti o minacciosi, nuovi eventi che chiedono nuova politica.
Propongo un parziale elenco di materie incombenti, che preoccupano tanti davanti alle porte chiuse perché il partito non è pronto ma le vecchie case sono state smontate ed è cominciata una lunga attesa. Coloro che aspettano sono carichi di oggetti smarriti e bagagli che ancora non sanno se e dove depositare. Per esempio.
Il costo della politica. Mentre scrivo mi passano rasenti sopra la testa nel centro di Roma, gli aerei militari che partecipano alla parata del 2 giugno, la parata dei settemila "soldati del futuro" con cui gli italiani sono invitati a celebrare la festa della Repubblica. E di colpo mi viene in mente una immensa parte sommersa dei costi della politica. Sono i costi delle grandiose spese di forma e di rappresentanza di questo Paese antico e barocco che si svena per questioni di forma. Ricordate il summit, realizzato con i fondi della Protezione civile, nel set teatrale di Pratica di Mare che, credo, data la stravaganza e l’incredibile eccesso di spesa, nessuno dei partecipanti ha dimenticato?
Giusto andare a vedere con comprensibile astio il costo di un cappuccino alla bouvette di Montecitorio. Ma intanto un mare di auto blu circola su tutte le strade e a tutti i livelli (i tre poteri e poi lo Stato-istituzione, e poi lo Stato-politica, e poi lo Stato-burocrazia con tutte le sue agenzie e poi Regione, Provincia, Comuni moltiplicato per tutti i suoi ambiti territoriali e poi tutte le authorities). E una flotta di aerei di Stato attraversa i cieli. E, alle scadenze dovute, le risorse non grandi della Difesa italiana vengono bruciate per fare bella figura, con costi difficili da immaginare, che infatti le corrispondenti autorità di altri Paesi europei si guardano bene dall’organizzare, tenendosi fuori dal costo dello spettacolo.
È solo un modo per dire che tutto ciò che furiosamente e sarcasticamente si elenca come dissipazione pubblica, quando arriva la brutta stagione per la parte visibile della politica, non è che una scheggia di un immenso oggetto sconosciuto e, in parte, impenetrabile.
Scuola, nella confusione del momento, partito di prima, partito di dopo, laici, credenti e valori condivisi, qualcuno si è accorto che i versamenti alla scuola privata (scuole religiose, non asili) sono improvvisamente aumentati (dunque a danno della scuola pubblica); e che, per la prima volta, con una grande violazione costituzionale, il voto di religione farà media con greco, latino, storia, geografia e matematica negli scrutini di fine anno del 2007? Forse i due partiti che arrivano a incontrarsi provenendo dal polo laico e da quello religioso, si scambiano doni, in occasione dello storico incontro. Ma "scambiare" non è la parola giusta. Noi vediamo i doni fervidamente offerti alla Chiesa. Ma lo "scambio" avviene in un modo curioso. Coloro che dicono di rappresentare la Chiesa, ora che ci mettiamo insieme, chiedono di più, molto di più di quando erano "partito cristiano". Il grido sessantottino immortalato dal libro di Balestrini "Vogliamo tutto" è diventato il motto del nuovo militantismo religioso che si insedia nel centrosinistra, fra inchini, saluti e cenni severi che ti dicono «bisogna tener conto della sensibilità cattolica». Ho capito, ma delle sensibilità estranee alle preferenze del Papa non dobbiamo tenere alcun conto?
Infatti dei Dico non si sente più parlare. Il "Family day" ha emesso la sua fatwa e non si deve irritare la sensibilità religiosa ai valori della famiglia che noi, non credenti, non possiamo neppure immaginare.
Quanto al testamento biologico, che vuol dire decidere in anticipo sulle cure che vorrai o non vorrai ricevere quando non sei più in condizione di decidere da solo (una legge che esiste in tutto il mondo libero), si tratta di un progetto preparato con meticolosità e competenza dalla Commissione Sanità del Senato presieduta da Ignazio Marino, medico noto e scrupoloso legislatore. Nella sua commissione sono stati sentiti gli esperti del mondo, scienza, legge, religione. Non importa. La "sensibilità" è scontenta.
Riusciremo a portare questo oggetto, simbolo della civiltà contemporanea, di là dalle porte chiuse del partito in costruzione quando quelle porte saranno aperte e chi vorrà potrà entrare? Che segno sarà se oggetti simboli di un Paese nuovo saranno lasciati fuori, per esempio abbandonandoli nelle insondabili dilazioni delle procedure parlamentari?
Un incubo è la legge Mastella sulle intercettazioni giudiziarie.
In essa ogni colpa, responsabilità e pena (pesantissima) sono esclusivamente a carico dei giornalisti. Con quella legge un governo e una maggioranza di centrosinistra metterebbero una pietra tombale sul diritto-dovere di informare e perfino sulla possibilità materiale di farlo. È chiaro, è ovvio che quella legge non si può votare. Ma la domanda è: che messaggio manda il nuovo partito lasciando sulla porta del suo nuovo insediamento la testa tagliata della libera stampa?
Infine vorrei scuotere i fondatori nominati o cooptati del nuovo partito da una curiosa indifferenza che sembra averli colti. La difesa e la liberazione di Ramatullah Hanefi, dovrebbe essere la causa del nuovo partito.
E in questi giorni la bandiera dovrebbe essere la moratoria mondiale contro la pena di morte da votare subito alle Nazioni Unite e per cui Marco Pannella rischia di nuovo con lo sciopero della sete iniziato ormai da sei giorni. È vero che il governo italiano ha tenuto fede, finora, al suo impegno per ottenere la moratoria. Ma una bandiera contro la pena di morte è un bel simbolo per un nuovo partito. Meglio che discutere di nomine, autonomie e cooptazioni. Altrimenti si impone e domina il grigio del vecchio mondo partitico. Ad esso tanti cittadini italiani hanno già voltato le spalle.
* l’Unità, Pubblicato il: 03.06.07, Modificato il: 03.06.07 alle ore 12.27