Un pool di archeologi è convinto di avere scoperto i resti della mitica città
Gli scavi hanno riportato alla luce delle tavolette incise prima dei sumeri
Tra le rovine del regno di Aratta
la scrittura più antica del mondo
In Iran riemerge una civiltà sepolta: potrebbe cambiare la storia
di VANNA VANNUCCINI *
JIROFT (Iran Sud Orientale) - "Gilgamesh sii il mio amante! Fammi dono della tua virilità! Quando entrerai nella nostra casa la soglia splendidamente dorata bacerà i tuoi piedi". Così Ishtar, la dea dell’amore, si rivolge al leggendario re di Uruk nel più famoso poema epico lasciatoci dai sumeri.
"Splendidamente" è scritto nella traduzione, ma la parola sumera è arattù, ovvero alla maniera di Aratta. Aratta era per i sumeri simbolo di eccellenza, il topos di tutti i miti come Troia lo fu per quelli dell’Asia Minore. I poemi sumerici ne parlano come di una città magica, "distante sette montagne", in cui viveva un sovrano che in alcuni testi è "il Signore di Aratta", in altri è chiamato Ensurgiranna.
Gli studiosi si sono affannati a cercare quale luogo geografico potesse corrispondere a questa leggendaria città. Ma finora il mito era rimasto sospeso nel nulla. La singolarità di Aratta infatti è che mentre nelle fonti letterarie vi sono innumerevoli riferimenti alla città e alle sue ricchezze, il nome non compare in nessuna delle 450.000 tavolette di argilla arrivate inalterate fino a noi, nelle quali i sumeri diligentemente registravano scambi commerciali, elenchi dei tributi ricevuti dai sudditi, derrate agricole o editti dei re. Non può essere un caso, sostengono quegli archeologi che ormai si erano convinti che Aratta non fosse mai esistita.
Ma uno scavo recente potrebbe aver riportato alla luce il mitico regno. Se così fosse, sarebbe la scoperta archeologica del secolo. Una nuova Troia. Che sia così, è il convincimento dell’archeologo iraniano Yussef Majidzadegh, che con una squadra internazionale (di cui fa parte anche l’italiano Massimo Vidale, archeologo dell’Isiao) guida gli scavi di Jiroft, nell’Iran sud-orientale. Majidzadeh sostiene che Jiroft è la più antica civiltà orientale, precedente di almeno un paio di secoli quella sumerica.
L’archeologo presenterà in questi giorni la sua tesi al convegno internazionale di archeologia a Ravenna. "È venuta alla luce una civiltà complessa, pari o per certi versi superiore a quella sumerica per dimensioni urbanistiche, per l’aspetto monumentale e la raffinatezza delle tecniche artistiche. Questo ci obbliga a gettare uno sguardo nuovo sulla formazione delle civiltà tra il IV e il III millennio", dice Massimo Vidale.
La storia comincia a Sumer, è sempre stato il mantra degli archeologi. Perché a Sumer ha inizio la scrittura. Ma dopo la scoperta di Jiroft questo potrebbe non essere più vero. Nello scavo è stato trovato (finora) un mattone con un testo protoelamico, la cui origine si fa risalire a Susa nel 3000 a. C., e tre tavolette con una scrittura ancora indecifrata. Tuttavia la scrittura non sembra avervi avuto un ruolo predominante come tra i sumeri. Per questo, sostiene l’australiano Daniel Potts, Majidzadeh attribuisce a Jiroft una datazione così antica. Secondo Potts Jiroft corrisponde invece a una città più tarda, di grande ricchezza, Marhashi, la cui esistenza è attestata da diversi testi.
Jiroft è una città nella regione di Kerman nota soprattutto per il suo clima umido, subtropicale. Da Kerman, in macchina, ci si arriva in un paio d’ore. Si abbandona la steppa desertica del Dash-e Lut per salire su una zona montuosa, eccezionalmente fresca e verde, per poi ridiscendere nella valle di Jiroft. Da qui non ci sono più barriere montuose fino allo stretto di Hormuz, e l’aria umida del Golfo Persico arriva senza trovare impedimenti. Agrumeti e palmizi da dattero ne fanno la ricchezza. La fonte d’acqua della regione è il fiume Halil, che scende per oltre 400 chilometri dalle montagne del nord.
Quasi un secolo fa un’alluvione cambiò il suo corso, i vecchi ricordano ancora che i loro nonni raccontavano che il Halil Rud voltò le spalle alla città e se ne andò a 800 metri di distanza. Ma nel 2001, dopo un lungo periodo di siccità, il Halil Rud straripò di nuovo, e questa volta sul terreno eroso dalle acque comparvero veri e propri tesori: monili, offerte funenarie, statuette, vasi di clorite (la tipica pietra locale di colore verde scuro). Il giorno dopo, centinaia di contadini impoveriti da anni di siccità accorrono sulle rive del Halil alla ricerca di oggetti antichi 5000 anni.
Si dividono il terreno, con il consenso delle autorità locali, in lotti di sei metri per sei, uno per ogni famiglia, scavano, tirano fuori oggetti di incomparabile bellezza. Diecimila buche, cinque o sei necropoli interamente saccheggiate, e interamente distrutto quel "contesto" che è fondamentale per gli archeologi per studiare e datare gli oggetti. Dove ci sono i tombaroli ci sono naturalmente anche i mercanti.
Non appena si sparge la voce, intermediari e mercanti arrivano da tutto l’Iran, da Kabul, dal Pakistan - e poi da Parigi, da Londra, da New York. Comprano direttamente dal contadino che scava. Un vaso di clorite scolpito, 50 dollari; una statuetta intarsiata, 100; un’aquila fatta come una scacchiera con pezzi di turchese 150. Si ritroveranno nelle case d’asta europee e americane venduti per centinaia di migliaia di dollari. La passione per "i Jiroft" fa nascere addirittura una produzione di falsi. Anche il Louvre ha acquistato cinque pezzi (veri), di cui il governo iraniano sta cercando ora di tornare in possesso.
Il saccheggio durò un anno. Almeno 10.000 oggetti vengono portati via. Finché l’archeologo Majidzadeh, che aveva insegnato a Teheran prima di trasferirsi in Francia, ottenne dal governo iraniano di cominciare uno scavo sistematico insieme a un gruppo di colleghi di diversi paesi. Ora, ci dice il tassista che ci accompagna all’aeroporto di Jiroft, uno come lui, che ha due ettari di terreno e coltiva cetrioli in serra, non può nemmeno fare una traccia per seminare senza ritrovarsi addosso la polizia.
Ma questo non significa che il saccheggio non continui, più silenzioso e con mezzi più sofisticati. Ai contadini sono subentrati i ben più attrezzati contrabbandieri internazionali, muniti di rilevatori, computer, attrezzature per lavorare di notte. Del resto, come ci fa vedere Ali Daneshi, un giovane archeologo locale lasciato a guardia del sito fino al momento in cui in autunno ricominceranno i lavori, lo scavo guidato da Majidzadeh è solo un inizio: i siti già rilevati sono quasi settecento, in un’area di 400 km quadrati.
Entriamo nello scavo e Daneshi si accorge subito che il vetro blindato messo a protezione di una statua senza testa, alta quasi un metro e mezzo e dipinta di colore ocra giallo e rosso con piccole incisioni nere, è stato rotto. Evidentemente di qui non passa soltanto qualche pasdar solitario di guardia. "Cominciammo a scavare da due collinette, distanti l’una dall’altra 1400 metri" racconta Vidale. "In quella nord è venuta fuori una piattaforma gigantesca a gradoni, uno ziggurat, con una base di 300 metri per 300 e un’altezza di 17 metri. L’intera superficie dell’altra collinetta, 200 metri per 300, si è rivelata una struttura monumentale, costruita su un preesistente accumulo archeologico, circondata da mura larghe 10 metri. Ad est della cittadella trovammo un’altra piattaforma, larga 24 metri, che era il quartiere dei lavoratori del metallo. Insomma siamo di fronte a una città ben strutturata, con la cittadella amministrativa, il tempio, i quartieri residenziali e i luoghi di lavoro".
Nel piccolo museo allestito a Jiroft e catalogato da Majidzadeh, gli oggetti esposti sono stati quasi tutti confiscati ai contrabbandieri, fatta eccezione per una vetrinetta con cinque pezzi ritrovati nello scavo. Vasi di clorite scolpiti con motivi di animali e di piante, soprattutto palmizi, forme umane e creature fantastiche, uomini-scorpioni, uomini-leoni, aquile, serpenti. Gli occhi degli animali carnivori sono tondi, quelli degli erbivori ovali come quelli umani. Ogni oggetto è preziosamente incastonato di turchesi, lapislazzuli, marmo, calcare bianco. In alcuni ci sono straordinarie raffigurazioni stilizzate di edifici, di città, di mura fortificate, che non hanno esempi nel mondo antico. Si può capire come il re sumero Enmerkar, nel poema "Enmerkar e il Signore di Aratta", volesse architetti e decoratori di Aratta per costruire i templi agli dei di Sumer.
* la Repubblica, 3 luglio 2007
Sull’argomento, in rete, si cfr.:
Civiltà di Jiroft *
La scoperta avvenne in modo fortuito, a seguito di un’alluvione del fiume Halil Roud, che portò alla luce nel 2001 gli oggetti custoditi in un’antica tomba, tra cui alcuni vasi in clorite, a volte con incrostazioni di pietre dure. La popolazione locale si dedicò quindi ad un sistematico saccheggio e gli oggetti furono immessi sul mercato antiquario. Nel febbraio dell’anno successivo le autorità iraniane intervennero con arresti e il sequestro di oltre duemila reperti, tra cui oggetti in lapislazzuli e in rame e vasi con raffigurazioni a rilievo, datati al III millennio a.C.. Purtroppo le ceramiche e i reperti non considerati di valore andarono dispersi durante il saccheggio, non consentendo di ricostruire i contesti.
Questa civiltà era in precedenza sconosciuta, non essendo menzionata in alcun testo a noi noto (sebbene alcuni studiosi abbiano considerato la suggestiva ipotesi che possa essere identificata con il "paese di Aratta", dove secondo i miti sumerici era collocata una civiltà rivale di quella di Uruk). I vasi in clorite con rilievi, raffiguranti animali, esseri fantastici e architetture, erano tuttavia già conosciuti agli studiosi per il loro caratteristico stile, ma la loro datazione e la loro zona d’origine erano ancora oggetto di discussione.
Nel febbraio 2003 fu condotta dall’archeologo franco-iraniano Youssef Madjidzadeh una prima campagna di scavi nei siti vicini di Konar Sandal Sud e Nord, che appartenevano probabilmente ad un unico esteso centro urbano, al quale era riferibile la necropoli saccheggiata.
Studi e analisi sono proseguiti negli anni successivi con un’attiva collaborazione internazionale
* Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera - ripresa parziale.
“Tra Noè e Gilgamesh la vera storia di Atlantide”
Glaciazioni e diluvi hanno plasmato le prime civiltà e rivelano il clima del futuro
di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 14.11.2012)
Kurt Lambeck indica le mappe e racconta il suo ennesimo viaggio nel tempo. Scienziato multidisciplinare, oggi sarà a Roma, al Quirinale, insieme con gli altri premiati dalla Fondazione Internazionale Balzan per gli studi sul passato e sul futuro della Terra. L’Egeo - spiega - è uno dei luoghi che testimoniano quanto sia stata tormentata la storia recente del nostro pianeta, periodicamente ricreato dalle bizzarrie del clima. E che ci ricorda che ulteriori cambiamenti sono alle porte.
Professore, al cuore delle sue ricerche ci sono molti elementi, ma il più spetta colare quello che colpisce la nostra immaginazione e sconvolse i nostri antenati sono i bruschi cambiamenti del livello dei mari.
«I cambiamenti dei mari furono processi complessi, diversi a seconda dei luoghi. Sono stati il risultato dello scioglimento di enormi distese di ghiaccio alla fine di ogni glaciazione, ma anche dei modi in cui il pianeta reagì, a cominciare dal campo gravitazionale. Ecco perché lo studio dei cambiamenti nell’Egeo ha richiesto l’accumulo di dati diversi, da quelli oceanografici a quelli archeologici, in una continua oscillazione multidisciplinare».
I suoi viaggi nel tempo, in realtà, si spingono più indietro: fino a quando?
«Fino a 20 mila e a 140-150 mila anni fa, in corrispondenza delle ultime ere glaciali. Studiare ciò che accadde nei periodi intermedi - quelli interglaciali - è importante, perché permette di raccogliere informazioni con cui capire meglio sia il clima attuale sia come potrà evolvere».
Se tra 20 e 10 mila anni fa l’Egeo era una terra com patta, com’era il resto del mondo?
«I ghiacci ricoprivano il Nord Europa così come l’America settentrionale e tutte quelle masse d’acqua risucchiate dai mari e dagli oceani ne fecero crollare il livello».
Di quanto?
«Di almeno 120-130 metri».
Lei ipotizza che quel mondo così diverso dall’attuale deve avere avuto conseguenze de cisive sugli albori della civiltà, facilitando i flussi delle mi grazioni verso il Mediterra neo e il Golfo Persico.
«Quando gli strati di ghiaccio cominciarono a sciogliersi, i mari si innalzarono rapidamente e la mia ipotesi è che le popolazioni sparse sulle coste furono costrette a spostarsi costantemente. Nel Golfo Persico ci furono periodi in cui l’acqua allagò le terre a un tasso di 1 km l’anno. Poi, 6 mila anni fa, l’avanzata si interruppe e iniziò l’era degli insediamenti permanenti. Credo che i sumeri abbiano risalito la Mesopotamia, finché si fermarono per fondare le loro città. Ma solo l’archeologia subacquea potrà fornirci le prove definitive».
Lei è tra gli studiosi convinti che le tracce della prima espansione umana, oltre l’Africa, giacciano nascoste sotto i mari.
«Sì. E’ là che dovremo cercare molte testimonianze». Forse sono quelle prove na scoste la vera Atlantide? «Atlantide è la materializzazione della memoria collettiva dell’umanità, che per un lungo periodo ha lottato contro la forza delle acque. Non a caso i miti del diluvio si diffusero in ogni cultura, incarnandosi nell’eroe Gilgamesh e nel dio Enki fino a Noè. E, oltre che tra sumeri ed ebrei, la stessa leggenda si ritrova ovunque, dall’America fino all’Australia».
Le sue ricerche sono un esempio di scambi continui tra discipline diverse: in concreto che cosa significa?
«Ho cominciato la mia carriera nel settore dei programmi spaziali, studiando come la gravità influenzasse le orbite dei satelliti. Ma per definire questi modelli era necessario capire la tettonica e per quantificare quest’ultima ho dovuto rivolgermi al problema della “viscosità”, cioè come si deformano le placche. Così ho approfondito la geofisica e da questa sono arrivato alla glaciologia e, mentre i dati si accumulavano, ho allargato le collaborazioni con team di oceanografi e archeologi. E’ un viaggio eccitante».
Che cosa insegna il passato sul clima di oggi?
«Da un secolo stiamo registrando cambiamenti evidenti, dalle temperature ai mari, ma, quando analizziamo le variazioni del passato, non disponiamo ancora di strumenti abbastanza sofisticati per capirne la velocità rispetto a quelli del presente».
La sua conclusione?
«Che i cambiamenti a cui assistiamo sono anomali: non c’è dubbio che siano dovuti all’influenza dell’uomo! ».
Il Centro Calamandrei aderisce all’appello dell’Associazione Iran Libero e Democratico e chiede a tutti gli amici di firmarlo. *
L’alto numero di impiccagioni e la perpetua violazione dei diritti umani in Iran destano profonda preoccupazione
La violazione dei diritti umani in Iran da più di tre decenni non conosce sosta. Durante la presidenza di Rouhani ci sono state oltre 2000 impiccagioni, cosicché l’Iran è il primo paese per numero di impiccagioni rapportato alla sua popolazione. Inoltre in Iran avviene il numero più alto di impiccagioni di minori.
Amnesty International il 23 luglio scorso in un comunicato stampa ha denunciato che “dall’inizio del 2015 fino al primo luglio in Iran ci sono state 694 impiccagioni e questo è un salto senza precedenti. Se il ritmo rimarrà questo - ha affermato Said Boumedouha, vice direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa - arriveremo a più di mille esecuzioni quest’anno”.
L’Iran detiene il numero più alto di esecuzioni di minorenni. Le impiccagioni di appartenenti alle minoranze etniche e religiose si sono intensificate. Alcuni sacerdoti cristiani si trovano in carcere per il loro credo. In Iran le violazioni dei diritti delle minoranze, delle donne e dei cittadini sono istituzionalizzate.
19 ottobre 2015: il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha condannato l’esecuzione in Iran di due minorenni la precedente settimana, esprimendo preoccupazione per l’aumento delle esecuzioni nella Repubblica Islamica. Ban ki-Moon è profondamente rattristato dalla notizia dell’esecuzione di due minorenni la scorsa settimana in Iran", ha detto l’ufficio stampa di Ban in un comunicato, aggiungendo che Teheran ha ratificato sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici che la Convenzione sui diritti del Fanciullo, che vietano la pena di morte per chiunque non abbia ancora diciotto anni. La nota descrive Ban come preoccupato che le esecuzioni dei minorenni "riflettano una inquietante tendenza in Iran." "Sono oltre 700 le esecuzioni segnalate finora quest’anno, di cui almeno 40 pubbliche, che rappresentano il totale più alto registrato negli ultimi 12 anni".
L’Iran è il più grande carcere di giornalisti in Medio Oriente: nelle carceri iraniane si trovano decine di giornalisti. L’ Iran è uno dei clienti più attivi nell’acquisto di strumenti di censura della rete e ha bloccato circa cinque milioni di siti che trattano di arte, questioni sociali, notizie, i blog e i social network.
Nell’ estate 1988, in seguito ad una fatwa di Khomeini, sono stati impiccati oltre 30.000 prigionieri politici, di cui la maggior parte appartenevano ai Mojahedin del popolo iraniano (PMOI), perché non erano disposti a rinnegare le loro idee politiche. Molte organizzazioni di difesa dell’uomo hanno definito questo come crimine contro l’umanità. Molti dei responsabili di quel crimine oggi fanno parte della classe dirigente del regime. Mostafa Puormohammadì e Ebrahim Reisì - due membri del comitato della morte creato su ordine di Khomeini per quel genocidio - oggi sono rispettivamente ministro della Giustizia e procuratore generale della Repubblica islamica.
Il 5 agosto 2015 l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani ha espresso le sue preoccupazioni sulla situazione dei diritti umani in Iran e ha dichiarato che “l’uso delle impiccagione in Iran e’ stato un problema per lungo tempo”.
Noi, condannando le impiccagioni in Iran, chiediamo al Governo italiano di condizionare ogni negoziato e i rapporti commerciali all’arresto delle impiccagioni e al rispetto dei diritti umani.
Noi chiediamo, altresì, al Governo italiano che nelle sedi internazionali, tra cui le Nazioni Unite, prema sull’Iran affinché il regime fermi le esecuzioni capitali.
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CHIEDIAMO DI FIRMARE L’APPELLO (Nome, Cognome, Comune di residenza) e inviarlo a:
irandemocratico@libero.it